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Robert Fisk: Hajj Amin? Un filo-palestinese

Robert Fisk è un “esperto di Medio Oriente”. Lavora per il “The Indipendent”. In quanto esperto, i suoi errori storici grossolani gli sono stati più volte rimarcati, per esempio quelli del suo The Great War of civilization da Efraim Karsh: Gesù nacque a Betlemme, non, come scrive Fisk, a Gerusalemme. Il califfo Alì, cugino del profeta Maometto e suo genero, fu ucciso nel corso dell’anno 661, non nel 8 ° secolo. L’Emiro Abdallah divenne re di Transgiordania nel 1946, non 1921, e sia lui che suo fratello minore, il re Faisal I dell’Iraq, non proveniva da una “tribù del Golfo”, ma piuttosto dagli Hashemiti, dall’altra parte della penisola arabica.

Robert Fisk

La monarchia iraqena fu rovesciata nel 1958, non nel 1962, Hajj Amin al-Husseini, il mufti di Gerusalemme, fu nominato dalle autorità britanniche, non eletto; l’Ayatollah Khomeini trasferi’ il suo esilio dalla Turchia verso la città santa sciita di Najaf non durante il regime di Saddam Hussein, ma quattordici anni prima che Saddam prendesse il potere. La risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza  fu approvata nel novembre 1967, non nel 1968; Anwar Sadat firmo’ un trattato di pace con Israele nel 1979, non nel 1977, e fu assassinato nel mese di ottobre 1981, non del 1979. Yitzhak Rabin fu ministro della Difesa, non Primo ministro, durante la prima intifada palestinese, e al Qaeda fu fondata nel 1998, non un decennio prima. E così via.

Le “frasi celebri” di Fisk

Frisk è specializzato nelle accuse contro Israele; le sue accuse – che spesso è stato obbligato a ritrattare- sono documentate fin dal 1994. Per esempio, della crescita del radicalismo islamico in Libano, diceva:

Ho visto il volgersi della popolazione musulmana da amichevole ad odiatrice dell’occidente … Tutto è iniziato con l’invasione israeliana del Libano nel 1982. Quell’anno cambiò il Libano per sempre.”

Naturalmente in Libano la polarizzazione religiosa e l’anarchia politica non iniziarono nel 1982, ma dodici anni prima, nel 1970, quando il fallito tentativo  dell’OLP di rovesciare Re Hussein di Giordania favori’ l’entrata di una marea di palestinesi dalla Giordania in Libano.

L’afflusso di combattenti dell’OLP e la creazione di un mini-stato dell’OLP in Libano accelero’ il deterioramento del fragile rapporto tra gruppi musulmani e cristiani libanesi. Nel 1975 le tensioni tra cristiani, musulmani sunniti, sciiti e Palestinesi erano sfociate in vera guerra civile. Non una parola di questo apparve nei “documentari” di Fisk.

Il 18 novembre 2013, su “The indipendent” appare un articolo di Fisk:

Il vero veleno è da ricercarsi nell’eredità morale di Arafat.

Nell’articolo Fisk rigetta la tesi dell’avvelenamento ma nello stesso tempo tenta un’opera di riabilitazione di Arafat e del suo pluridecennale coinvolgimento in attacchi terroristici mortali contro gli Israeliani, e ridicolmente sostiene che il suo più grande difetto fu essere ‘troppo fiducioso’  nei confronti dei leader israeliani.

Ha fatto così tante concessioni a Israele – perché stava diventando vecchio e voleva andare in “Palestina” prima di morire – che i suoi discendenti politici stanno ancora pagando. Arafat non aveva mai visto una colonia ebraica nei territori occupati quando accetto’ gli accordi di Oslo. Si fidava degli americani. Si fidava degli israeliani. Si fidava di chi sembrava dire le cose giuste. E deve essere stato faticoso iniziare la sua carriera come un super-“terrorista” a Beirut e poi essere accolto sul prato della Casa Bianca come un super-“statista” e poi ri-creato da Israele come un super-“terrorista” di nuovo .”

Ma la bugia più eclatante per omissione appare più avanti, quando riferisce di una conversazione tra Arafat ed Edward Said, in merito a Hajj Amin El Husseini, mufti’ di Gerusalemme:

Edward Said mi disse che Arafat affermo’ nel 1985 che “se c’è una cosa che non voglio è essere come Haj Amin. Lui aveva sempre ragione e non ha ottenuto nulla ed è morto in esilioBraccato dagli inglesi, Haj Amin, il Gran Mufti di Gerusalemme, ando’ a Berlino durante la seconda guerra mondiale, nella speranza che Hitler avrebbe aiutato i palestinesi.”

Cosi’ il filo-nazista Hajj Amin, diventa qualcuno che cerco’ Hitler nella speranza di salvare i Palestinesi!!! Il rapporto di CAMERA (basato sulla documentazione  del libro di Jennie Lebel ‘ Il Mufti di Gerusalemme : Haj Amin el- Husseini e il nazional-socialismo ‘) rende chiaro il desiderio di Haj Amin non di “aiutare i Palestinesi” ma di annientare gli Ebrei .

Haj Amin el- Husseini , che fu nominato muftì di Gerusalemme nel 1921 aiutato da simpatici funzionari britannici , sostenne l’opposizione violenta ad ogni insediamento ebraico nel Mandato per la Palestina e incitò gli Arabi contro la presenza ebraica in crescita. Lebel descrive la violenza del 1929 , in cui Haj Amin diffuse la storia che gli Ebrei pianificavano di distruggere la Cupola della Roccia e la moschea di Aqsa . Usando foto falsificate della moschea in fiamme e diffondendo la propaganda presa in prestito dal falso anti- ebraico , i ” Protocolli dei Savi di Sion “, il mufti istigo’ un terribile pogrom contro gli Ebrei in Palestina . Il 23 agosto, gli Arabi irruppero a Gerusalemme e attaccarono gli Ebrei . Sei giorni dopo , una seconda ondata di attentati provoco’ 64 morti a Hebron

Il Mufti si rese responsabile di instillare il sentimento anti-ebraico, basato religiosamente, nella nascente coscienza nazionale palestinese …. presagendo moderne proposte di boicottaggio contro l’insediamento ebraico, Haj Amin invito’ tutti i musulmani a boicottare le merci ebraiche e organizzo’ l’attacco arabo del 10 aprile 1936. …

Vedeva in nazisti e fascisti italiani alleati naturali che avrebbero fatto ciò che gli inglesi non erano disposti a fare – liberare la regione dagli Ebrei e aiutarlo a stabilire uno Stato arabo unitario in tutto il Medio Oriente … Credendo che l’Asse potesse prevalere nella guerra, il mufti si assicuro’ l’ impegno sia dell’Italia che della Germania per la formazione di uno Stato arabo a livello regionale. Chiese anche di poter risolvere il problema ebraico con lo “stesso metodo che verrà applicato per la soluzione del problema ebraico negli Stati dell’Asse.” Il 28 novembre 1941, incontro’ per la prima volta Adolf Hitler e rese partecipe il leader tedesco della convinzione araba che la Germania avrebbe vinto la guerra e che questo sarebbe andato a vantaggio della causa araba.

Mentre Hitler condivideva la convinzione del mufti che l’attuale guerra avebbe determinato il destino degli Arabi, la sua priorità era la lotta contro “gli Ebrei che controllano la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica.” Lebel rivela la promessa di Hitler che, una volta l’esercito tedesco avesse raggiunto i confini meridionali del Caucaso, avrebbe annunciato al mondo arabo che era giunto il momento della liberazione. I tedeschi avrebbero annientato tutti gli Ebrei che vivevano in zone arabe. …

Il punto di vista degli Ebrei come contaminatori della società e cospiratori malevoli oggi ritornano nella Carta fondazione di Hamas.

In una trasmissione radio dalla Germania il 16 novembre 1943 … Haj Amin rese nota la sua visione del conflitto con gli Ebrei: 

“Gli Ebrei portano la povertà nel mondo, guai e disastri … distruggono la morale in tutti i paesi … falsificano le parole del profeta, essi sono portatori di anarchia e di sofferenza nel mondo. Sono come tarme che mangiano tutto il bene dei paesi. Hanno preparato la macchina da guerra di Roosevelt e portato disastro per il mondo. Sono dei mostri e la causa di tutti i mali del mondo …. “

Come l’ex ufficiale nazista Wilhelm Melchers testimonio’ dopo la guerra:

 Il mufti era un nemico abile degli Ebrei e non nascondeva il suo desiderio di vederli tutti liquidati. 

E ‘chiaro che il rapporto di Haj Amin con Hitler non fu una semplice “alleanza di convenienza”, ma si baso’ su fantasie antisemite eliminazioniste condivise. Come Jeffrey Herf ha scritto nel suo libro del 2009, ‘Propaganda nazista per il mondo arabo‘,

il Mufti “svolse un ruolo centrale nella fusione culturale tra le tradizioni europee ed islamiche di odio per gli Ebrei; è stato uno dei pochi che domino’ i temi ideologici e le sfumature del fascismo e del nazismo, così come gli elementi anti-ebraici all’interno del Corano e i successivi commentari “.

Per Robert Fisk, Haj Amin era solo un ‘filo-palestinese’; tanto varrebbe allora descrivere Adolf Hitler come un semplice ‘pro-ariano’.

QUI

Antisemitismo: meno se ne parla meglio è?

L’antisemitismo è in crescita ovuque, in Europa e nel mondo. Sono molte le voci che imputano questa recrudescenza alla crisi economica che attanaglia, anche se in misura diversa, quasi tutti i Paesi. La solita tesi che si rifà all’antico bisogno, in momenti di crisi, di un “capro espiatorio”, un gruppo sociale sul quale far ricadere la “colpa”. Gli Ebrei sono tradizionalmente i più esposti a questo genere di rischio. Oggi, nel 2013, come nella Germania del 1933, l’Ebreo che regge le sorti della finanza, che “succhia il sangue” ai “veri” cittadini, quelli non contaminati da strane ascendenze “straniere”, è un discorso del quale si vergognano in pochi.

Vignetta del 1938, Germania: la classe operaia nutre l’insaziabile Ebreo

Sono centinaia, migliaia, centinaia di migliaia, le pagine internet che ci raccontano di come le Banche (per definizione di proprietà ebraica) tengano in mano il mondo, di come poche famiglie Ebree siano proprietarie dei destini di milioni di uomini. Poco importa se nell’elenco dei più ricchi non figurino nomi ebraici. La “percezione” popolare è questa e ovviamente qualcuno che politicamente la cavalchi si trova sempre. Quindi è a causa della crisi che l’avversione e i complottismi contro gli Ebrei rinverdiscono e prolificano?

Ma nel 2004 la crisi economica non faceva ancora cosi’ paura, vero? Eppure George Bensoussan, in un’intervista che rilascio’ a Primo Info, ci diceva qualcosa che potrebbe essere stato scritto un’ora fa. L’intervista, che fece molto discutere, fu poi rimessa on line da Debriefing, nel 2009. Diamo uno sguardo, dato che la Francia – nel rapporto annuale sull’antisemitismo – è risultata essere il Paese nel quale si sono registrati maggiormente episodi violenti.

Vignetta tedesca nazista: l’Ebreo corrompe la gioventù tedesca

Primo : Qual è la vostra opinione circa le manifestazioni di questo inverno, durante le quali si sono sentiti discorsi d’odio, impunemente urlati in pubblico? 

Georges Bensoussan : Cio’ che mi ha colpito in queste manifestazioni è stata, intanto, la vicinanza tra l’estrema sinistra francese e gli imam. Abbiamo una volta di più constatato che l’ultra sinistra non guarda per il sottile in merito alle sue alleanze, ed è pronta ad allearsi con quanto di peggio si trova tra la reazione clericale. Cioè, un movimento anti femminista, omofobo e ostracista. Se la sinistra è antifascista, diceva Georges Orwell, non è pero’ anti-totalitaria.

E’ cio’ che la storia del XX° secolo ci ha abbondantemente mostrato, dall’URSS fino alla Cina per arrivare alla Cambogia dei primi tempi del regime dei Kmer rossi. Fino ad allearsi, oggi, almeno per il tempo di una manifestazione, con l’islamismo. Un secondo punto: la focalizzazione quasi nevrotica dell’estrema sinistra nei confronti di Israele, che abbiamo in molti denunciato, appare oggi in tutta la sua crudezza, la sua violenza, mentre tace silenziosa sulla crudeltà del regime islamista iraniano.

Aspettiamo invano di ascoltare i suoi appelli in sostegno della resistenza iraniana contro il fascismo dei bassiji.

Manifestazione in Scozia, 10 gennaio 2009

Primo : Avete percepito un’evoluzione nei “discorsi” di queste manifestazioni?

Georges Bensoussan : A Metz e a Strasburgo, nel gennaio scorso, nel momento della dispersione di una manifestazione, si è levato un grido: “Alla sinagoga!” Duecento manifestanti, si sono allora precipitati per circondare la sinagoga. Si sono contentati di intimidire. I quattro poliziotti di guardia non sono dovuti intervenire. Questa azione ha fatto suoi gli slogan antisemiti, urlati in strada durante l’Affaire Dreyfus nel 1898-1899. Non avevamo più visto scene simili in Francia da quell’epoca. 

Primo : Ma c’è stato un silenzio totale da parte della stampa!

Georges Bensoussan : Si’ e questo è inquietante. Perché questa azione presenta come verità incontestabile la confusione tra l’azione militare israeliana, della quale ognuno è libero di pensare cio’ che vuole, e la comunità Ebraica di Francia. Gli Ebrei sono assimilati allo Stato d’Israele, e la sinagoga di Metz alla sua ambasciata. Questo slittamento che esclude gli Ebrei dalla comunità nazionale, non è stato rilevato. Il silenzio prudente su questi fatti la dice lunga sullo stato della società francese. Non si vuole soprattutto stigmatizzare, come se una paura non detta paralizzasse questo paese.  Ci rifiutiamo di affrontare il pericolo, sperando che cosi’ facendo si possa fargli fronte, che sparirà da se.  Eppure sappiamo cosa fu negli anni 30 e anche il seguito, il giugno 40 e la dittatura dello Stato francese.

Primo : A proposito delle banlieues, che ne pensate degli scontri del 2005 ?

G.B. : Un gran numero di osservatori si sono stupiti che non sia successo prima. in certe banlieues, che somigliano a volte a zone relegate, prevale in effetti una situazione socialmente pre-esplosiva.  Più di cento auto bruciano ogni notte in Francia, non ci facciamo nemmeno più caso. Questo abituarsi costituisce un segno inquietante, come se facesse parte di un quotidiano banale. Certi territori sono quasi abbandonati (vedere le forze di polizia a Seine Saint Denis), e sempre più spesso la polizia non ci entra. E’ la realtà quotidiana di migliaia di Francesi che hanno il sentimento di essere cittadini di serie B.

Primo. : La violenza è perpetrata da una popolazione sempre più giovane

G.B. : La violenza descritta nel  2002 in “I Territori perduti della Repubblica” impallidisce di fronte a quella vissuta oggi in alcune scuole. Molti insegnanti raccontano ben di peggio di quanto raccontammo nel 2002.  Le scene di violenza armi in pugno sono ormai frequenti.

All’inizio dell’anno, nelle terze classi, si presenta un poliziotto in uniforme per sensibilizzare gli allievi sul ruolo civico della polizia. Un allievo chiede cortesemente: “Perché voi avete diritto alle armi e noi no?” Ingenuità a parte, questo parla della de-istituzionalizzazione della società. L’affondamento del simbolico e della Legge,  quindi delle istituzioni che le rappresentano, è la genesi della violenza. Il giurista e psicoanalista Pierre Legendre dice delle nostre società che sono post-naziste. Che la parte del simbolico distrutta dal nazismo non ha mai più potuto essere ricostruita. … Chi è chi? Chi fa cosa? Chi ha fatto cosa? Quando le tracce della filiazione sono rimescolate, si è nella follia e nella violenza. Solo la Legge istituzionalizza e umanizza.

Occupy Wall Street

Primo : Il risveglio sarà doloroso?

G.B.: Possiamo ingannarci per un po’; come diceva Churchill, possiamo ingannare « un po’, e un momento ma non tutti e non sempre». Ci sarà il risveglio. Ma a che prezzo? E alla fine dei conti quanto costerà il disastro? La tattica che consiste nel pensare che tacere sotterrerà il pericolo è ingenua e vigliacca come se non parlare di un problema gli impedisse di esistere. Prima dell’aprile 2002 il Partito Socialista pensava che meno si fosse parlato di violenze antisemite nelle banlieues e meglio sarebbe stato. La situazione, invece di calmarsi si è aggravata.

Gridare “Morte agli Ebrei” è antisionismo o antisemitismo?

Tuvia Tenenbom, nato a Tel Aviv, è un direttore artistico, sceneggiatore, scrittore e giornalista, fondatore dell’unico teatro Ebraico anglofono a New York, il Jewish Theater of New York. Fra i suoi scritti, I sleep in Hitler’s Room, un viaggio problematico nella Germania di oggi. Ma è quando è uscita la traduzione tedesca,  del suo libro “Allein unter Deutschen – Eine Entdeckungsreise”,  che è scoppiata la polemica: la critica non è stata unanime nei suoi giudizi; se il Der Spiegel lo ha definito un libro paragonabile alle teorie complottiste di Michael Moore, il settimanale Judische Algemeiner lo ha descritto “il nettare amaro della pura, non filtrata verità“.

Le polemiche hanno coinvolto anche il direttore della Fondazione del Memoriale di Buchenwald, Volkhard Knigge, il quale ha rifiutato di autorizzare la pubblicazione di un’intervista a Tenenbom che lo scrittore aveva ricordato nel suo libro, avvenuta durante un incontro a Gerusalemme, quando il direttore Knigge aveva consigliato a Tenenbom un bar chiamato “Uganda”, descrivendolo come luogo frequentato da “spiriti liberi”. Il bar in questione è frequentato da sostenitori della causa palestinese ed il nome del locale fa riferimento alla vecchia idea secondo la quale gli Ebrei avrebbero dovuto trasferirsi in Uganda piuttosto che in Palestina. E’ lo spirito che ha spinto i proprietari del locale a scegliere quel nome ed è anche l’idea che Knigge non sembra felice di far conoscere. Knigge ha accusato Tenenbom di mentire; dal canto suo lo scrittore ha ritenuto inopportuno che il Direttore del Memoriale di Buchenwald si permettesse apertamente riferimenti al conflitto arabo/israeliano.

Campo di concentramento di Buchenwald

Cosi’ è partita la crociata di Knigge contro Tenenbom. La polemica non ha ovviamente trattato de “l’idea Uganda” ma il Direttore del Memoriale, alla stampa tedesca, ha precisato: “Buchenwald non era un campo di sterminio, non c’erano camere a gas qui», in polemica – secondo il suo punto di vista – con quanto scritto da Tenenbom nel suo libro. Ma come è descritto Buchenwald in “I sleep in Hitler’s room”? La descrizione della visita al campo di Buchenwald di Tenenbom, con Daniel Gaede, capo del Dipartimento educazione a Buchenwald:

Camminiamo in quella che lui chiama la “stanza di patologia”. Questo campo di concentramento di Buchenwald, in realtà è un parco a tema, nel caso in cui non sia chiaro. Disneyland nella Patria dei Padri. Senza scherzi. Nella stanza dove sono ora si può vedere come funzionava questo posto. Qui c’è una struttura rialzata in pietra , con rubinetto e vari utensili da taglio, usati per prelevare gli organi dei corpi morti, prima che fossero inviati al crematorio. Un cuore servito per qualche tipo di ricerca, o teschi rimpiccioliti, ridotti alle dimensioni di un pugno e offerti agli amici come ornamenti. Se il morto aveva un bel tatuaggio, la pelle e la carne erano tagliate, essiccate e successivamente trasformate in paralumi. Che vita! Paralumi, e piccoli teschi come portachiavi. Un buon uso degli ebrei morti. Tutto allestito da persone con dottorato di ricerca.C’è un ascensore qui che era utilizzato per “spedire” i corpi direttamente nei forni. Nessuna menzione di “camere a gas” qui. … Questo era un luogo di intrettenimento. C’era uno zoo vicino al crematorio. chiedo a Daniel di spiegarmi una struttura strana che attraversa una stretta strada dal crematorio. “Questo era per gli orsi bruni,” mi dice. Orsi bruni? Che cosa fanno gli orsi bruni in un crematorio? Bene, si scopre che le SS avevano uno zoo, proprio accanto al luogo dove gli esseri umani erano trasformati in cenere, per far divertire i soldati. Gasati a sinistra, orsi bruni a destra. Insieme, costituivano un centro di grande divertimento.

Campo di Buchenwald

La parola “gasati” che tanto irrita Knegge non è pero’ stata usata solo da Tenenbom, in riferimento a Buchenwald. Nel 2009, il presidente Obama disse: “Domani mi recherò a Buchenwald, che faceva parte di una rete di campi nei quali gli ebrei furono resi schiavi, torturati, fucilati e gasati a morte dal Terzo Reich.” Knegge poi, in un comunicato a nome della Fondazione, ha continuato a sostenere le sue tesi. Ma perché riportare questa polemica? Perché l’antisemitismo nella Germania di oggi è ancora sotto la lente degli osservatori. A luglio di quest’anno il noto “Süddeutsche Zeitung” ha pubblicato una vignetta anti israeliana, questa

Israele è una bestia selvaggia, affamata, un Moloch che divora l’armamento militare tedesco. Il rabbino Abraham Cooper, socio decano del Centro Simon Wiesenthal, ha dichiarato al Jerusalem Post che la sua organizzazione “deplora la raffigurazione di Israele come un mostro, apparsa in un quotidiano tedesco.” Ha detto che la vignetta è “grottescamente oltre il limite della legittima critica e invoca uno dei classici strumenti dell’antisemitismo. L’ animalizzazione è uno strumento classico ed efficace nel disumanizzare un nemico, qualcosa che la propaganda nazista e sovietica hanno utilizzato più e più volte” La vignetta è  opera di Ernst Kahl. Sotto la vignetta, la didascalia del Süddeutsche: “La Germania è servita. A Israele sono state date armi per decenni e in parte gratuite. I nemici di Israele lo considerano un Moloch vorace.”

Questa vignetta invece apparve in una esposizione a Colonia, nel 2010

nella piazza della Cattedrale, il cuore della Colonia pedonale. QUI

La Germania sembra stanca di portarsi addosso il biasimo per la Shoah; il negazionismo è un crimine, e lo studio della Shoah fa parte dei programmi scolastici. Ma il risentimento verso gli Ebrei, accusati di “troppo pretendere” dalla Germania, si sfoga nel politically correct antisionista, appoggiato anche dalla forte presenza di immigrati di cultura musulmana. L’equazione nazisti=Israele è comunemente accettata da un certo ambiente politico. Felicia Langer, ad esempio, ex comunista israeliana, residente in Germania, nei suoi discorsi esorta sempre alla triste equazione, chiede che Israele sia processato per crimini di guerra, lo definisce “Stato di apartheid” ed arriva a elogiare Ahmadinejad per i suoi propositi genocidi. E nell’agosto 2009, il presidente tedesco Horst Kohler, che quattro anni prima era stato ricevuto alla Knesset,  sciocco’ la comunità ebraica onorando la Langer con la Croce al merito, il premio più prestigioso in Germania. 

Nel 2010, nonostante le proteste dell’ambasciata israeliana, il sindaco di Francoforte, Petra Roth, invito’ Alfred Grosser, un Ebreo di origine tedesca noto per essere freneticamente ostile a Israele, per assistere all’orazione annuale della Kristallnacht  nella Chiesa di Paolo. Grosser colse l’occasione per tracciare un parallelo tra il comportamento degli israeliani e dei nazisti e fu lodato dai media.

vignetta “antisionista” di Latuff

Un altro scandalo in corso riguarda il Centro tedesco sull’antisemitismo di Berlino, considerato il più importante istituto tedesco impegnato nel  soggetto. Fino allo scorso anno è stato guidato dal professor Wolfgang Benz, che ha ricevuto il suo dottorato di ricerca presso il professor Karl Bosl, un ex soldato imperiale nazista che mantiene tutt’ora una associazione con gruppi di estrema destra. Benz equipara l’islamofobia all’antisemitismo, sostenendo che i critici della pratica islamica ricordano  i nazisti antisemiti che attaccavano il Talmud. Recentemente ha contestato il fatto che gli omicidi terroristici islamici a Tolosa siano stati descritti in una “dimensione antisemita”. Respinge le preoccupazioni circa i Fratelli Musulmani dicendo che ricordano le fobie antisemite de I Protocolli dei Savi Anziani di Sion e si lamenta che bizzarramente si richiami l’attenzione sul fatto che i musulmani sono il 70 per cento dei detenuti a Berlino, paragonandolo ai deliri di Hitler  quando sosteneva che  “l’89% dei pediatri di Berlino nel 1930 erano ebrei.” QUI

I partiti di estrema sinistra, risultato dei partiti comunisti della ex Germania dell’Est, respingono con forza le accuse di antisemitismo. Gregor Gysi, leader del gruppo di ultra sinistra,  dichiaro’ nel 2011:

“In futuro, i rappresentanti del partito della Sinistra prenderanno provvedimenti contro ogni forma di antisemitismo nella società.” Il partito, si legge nella risoluzione, “non parteciperà più al boicottaggio dei prodotti israeliani, si asterrà dal chiedere una soluzione per uno Stato unico e non prenderà parte a questa edizione della flottiglia per Gaza.”

Tale risoluzione, tuttavia, non è stata accolta bene dalla base del partito. Il gruppo ha accusato di aver subito una  “museruola”, lamentando che la dichiarazione di Gysi è “anti democratica” e “pericolosa”, nelle parole della parlamentare Annette Groth.  Gysi ha dichiarato al giornale di sinistra Neues Deutschland. “Non vedo un problema con l’antisemitismo nel Partito della Sinistra,” . “Io non sono un sostenitore dell’uso inflazionistico del termine ‘antisemitismo’”.

Ma allora, se non esiste un problema del genere all’interno della sinistra, perché nel 2008-2009 attivisti di sinistra e gruppi di musulmani, insieme, gridavano: Morte agli Ebrei?

La metamorfosi di un’ostilità antica

(Articolo tratto dal lavoro di Cristiana Facchini: “Le metamorfosi di un’ostilità antica. Antisemitismo e cultura cattolica nella seconda metà dell’Ottocento”) La “questione ebraica” nel periodo che precedette la Shoah

Volendo tracciare una tipologia dell’ostilità antiebraica europea nello scorcio finale del secolo XIX (con particolare attenzione alle correnti cristiane, e ponendo attenzione alla scansione temporale), potremmo osservarne la portata e la diffusione in tre grandi tempi:

1. A partire dagli anni ’70, una messe di pubblicazioni denuncia la pericolosità degli ebrei emancipati. Alcuni di questi testi seguono lineetradizionali, insistendo sulla negatività della religione ebraica in quanto espressione del “Talmud”. Massima espressione di questa campagna denigratoria – non dissimile da quella di età moderna che portò ai roghi del Talmud – è l’opera Der Talmudjude, del canonico ed ebraista austriaco A. Rohling, pubblicata nel 1871 e già ristampata sei volte nel1877. Apparso in Francia nel 1888, il testo di Rohling divulga in tutto il mondo francofono teorie ed immagini antiebraiche ampiamente diffuse in area tedesca. Sono i medesimi anni della pubblicazione degli scritti antiebraici di A. Drumont, la cui “France juive” , pubblicata nel 1886,diventa immediatamente un «bestseller». (La France juive, Flammarion, Paris, 1886 è pubblicato in 2 volumi e viene ristampato 140 volte nell’arco di due anni. G. Kauffmann, Édouard Drumont, , Paris, Perrin, 2008)

Questa massiccia produzione di testi è arricchita da un’altra corrente, spesso ritenuta “tradizionalista” e religiosa (sostanzialmente nella linea di Rohling), perfettamente rappresentata dalla rivista dei Gesuiti «Civiltà cattolica», che nei primi anni ’80 pubblica a più riprese feroci articoli contro gli ebrei. La rivista dei Gesuiti merita speciale attenzione, per tutta una serie di motivi storici: in primo luogo, essa si presenta come un punto di osservazione strategico per comprendere l’evolversi delle forme del pensiero cattolico, e segnatamente delle strategie e delle modalità con cui gli ambienti cattolici affrontano temi di importanza europea; anche la polemica antiebraica che costella le pagine della rivista è d’importanza cruciale, perché sarà ampiamente riutilizzata in Italia negli anni del razzismo e dell’antisemitismo di Stato. «Civiltà cattolica», del resto, dimostra anche un’ottima capacità di osservazione della realtà: non soltanto registrando tutte le questioni attinenti alla situazione degli ebrei negli altri paesi europei, ma anche intervenendo con prontezza nel dibattito italiano, censurando e criticando, spesso con toni severi, sia le difese provenienti dal mondo ebraico che le istanze più progredite dell’esegesi biblica in Italia. Si tratta di un vero e proprio laboratorio di antisemitismo cattolico, sintetizzabile nelle ricorrenti demonizzazioni del Talmud, che di fatto non sono che una semplificazione e demonizzazione della religione ebraica. (F. Crepaldi, “L’omicidio rituale nella moderna polemica antigiudaica di Civiltà cattolica nella seconda metà del XIX secolo”, in: Brice–Miccoli (a c. di) Racines chrétiennes

Santo Simonino da Trento

La rivista riattiva, allo stesso tempo, l’accusa di omicidio rituale, facendone unvvero e proprio cavallo di battaglia. Accanto ad interventi di carattere saggistico, i padri Gesuiti pubblicano romanzi d’appendice rivolti algrande pubblico, all’interno dei quali non appaiono secondarie forme di discorso “razzizzanti”, tendenti a rappresentare gli ebrei come portatori di elementi culturali ed etnici fissi, immutabili, tra i quali non sembra avere alcuna rilevanza nemmeno la possibilità di una conversione al cristianesimo, o di una trasformazione di tipo individuale, né tanto meno la possibilità che una cultura religiosa, come quella ebraica, possa manifestarsi in differenti modi e adesioni.

La presenza di queste correnti “razzialiste” si affianca a un’ideologia politica che, pur fondata su una messe di concezioni di carattere religioso e teologico, non si differenzia in modo sostanziale dall’antisemitismo politico ricorrente negli ultimi decenni dell’Ottocento. La dottrina politica che si integra con questa visione teologica degli ebrei può essere dunque valutata come una “teologia politica” sugli ebrei.

2. Accanto a queste forme ideologiche ispirate all’odio antiebraico, si manifesta parallelamente una corrente di antisemitismo politico,di ispirazione cristiana e cattolica, che non proviene direttamente dal mondo ecclesiale o dalla Santa Sede, bensì dai diversi contesti locali.È un antisemitismo che si articola in due momenti: da un lato, con l’elaborazione di un’ideologia antiebraica che secondo alcuni storici sarebbe “innovativa”, e che si esprime in movimenti culturali e riviste, giornali, fogli di vario tipo; dall’altro, con un passaggio dal livello teorico a quello pratico, ossia con la costituzione di leghe, associazioni e partiti che si diffondono velocemente nell’Impero austro-ungarico, in Francia e in Germania, (dove però, a differenza degli altri paesi, esiste anche una “questione cattolica”, perché i cattolici costituiscono, alla pari degli ebrei, una minoranza religiosa e politica). Tutti questi movimenti sfruttano i nuovi linguaggi e mezzi offerti dalla politica moderna, semplificando il discorso antiebraico in slogan efficaci e facilmente spendibili. Si rivolgono spesso a ceti sociali penalizzati, impoveriti dalla crisi economica e non più protetti dal sistema corporativo delle leghe (come ad esempio gli artigiani produttori in Germania, studiati da Shulamit Volkov). Puntano inoltre il dito sulla presenza ebraica nel mondo della politica e dell’economia, avvertendo come innaturale la presenza nella sfera del potere degli ebrei emancipati. Il sottotesto anti ebraico che percorre queste correnti culturali è una dottrina dello Stato, secondo la quale Stato e società sono e dovrebbero essere cristiani.Come vedremo più avanti, la maggior parte di questi gruppi rivendica,con modalità e strumenti moderni, uno Stato cristiano in cui riformulare un’ideale coincidenza tra governo, religione e società.

3. Esistono poi, nel magmatico discorso antiebraico, immagini e topoi che fanno capolino in testi e soggetti di matrice politica di varia provenienza – liberale, democratica, radicale e socialista – comunque non esplicitamente ispirati o appartenenti al mondo cattolico e cristiano. Questo gruppo, che ho separato dal mondo cristiano e cattolico,non può essere analizzato in questa sede, ma costituisce un universo poliedrico e cangiante, dove immagini, discorsi e testi dedicati agli ebrei prendono forma, molto spesso, attraverso strategie di prestito culturale, dal ricco deposito delle immagini cristiane, da quello relativamente innovativo della tradizione settecentesca, come pure da nuove teorie e forme del discorso (ad esempio “La questione ebraica” redatta dal giovane Marx). Questa complessa area di pensiero si caratterizza per la presenza di forme di ostilità che prospettano soluzioni politiche e legislative diverse: si va da posizioni esplicite di“razzismo”, come quella elaborata dal padre dell’antisemitismo moderno Wilhelm Marr (spesso collegate a risoluzioni politiche radicali e violente, quali l’espulsione o la deportazione – sovente in Palestina – fino a giungere al massacro), a posizioni che non si propongono quasi mai l’abrogazione della parificazione giuridica, quanto piuttosto una cancellazione simbolica dell’ebraismo in senso lato.

“I marrani”

A questo livello, l’ostilità antiebraica può articolarsi in una visione negativae semplificante dell’ebraismo e della sua storia, o in una tendenza a chiedere agli ebrei di rinunciare alla loro storia, al loro passato:quasi inducendoli a un silenzio che, se non prevede la conversione al cristianesimo o al cattolicesimo, prevede almeno la cancellazione di un patrimonio storico-culturale e religioso percepito come alieno e negativo. Questa ostilità, spesso ravvisabile anche nelle concezioni di tanta filosofia di matrice tedesca (di fatto legata alle tradizioni cristiane) va analizzata con attenzione, perché a differenza delle altre non produce progetti espliciti di de-emancipazione, ma contribuisce ad arricchire il discorso antiebraico di nuovi tópoi , rivisitandone alcuni e inventandone di nuovi, producendo in continuazione delle rappresentazioni dell’ebraismo e degli ebrei spesso chimeriche ma nondimeno efficaci.

Intorno agli anni ’90 dell’Ottocento il fronte antisemita si arricchisce di nuove esperienze. Lo scoppio dell’«Affaire Dreyfus», in Francia,segna una vera e propria crisi della cultura liberale e del processo emancipativo che con grandi difficoltà si era lentamente diffuso nell’Europa occidentale. Non occorre ricordare che l’«Affaire» suscitò un intenso e vivace dibattito internazionale, dividendo non solo il mondo intellettuale francese, ma anche quello di altri paesi europei. Verso la fine del decennio l’antisemitismo sembra raggiungere successi di tipo politico e pratico: nel 1897 Karl Lueger, ispirandosi apertamente all’antisemitismo politico, diventa sindaco di Vienna; e in quello stesso anno, in Algeria, sotto l’amministrazione francese, viene eletto un sindaco che si ispira all’antisemitismo di marca drumontiana. In Algeria, a differenza di Vienna, il successo dell’antisemitismo si concretizza in un violento pogrom di ebrei algerini, il che induce il governo francese a rimuovere,dopo un anno appena, il sindaco neo-eletto.

Pogrom contro gli Ebrei

Che Cos’è l’AntIsemItIsmo? CapIre e AnalIzzare

«Religious differences are no longer the cause of the hatred of the Jews. Perhaps they never were». (A. Leroy-Beaulieu)

«Selon la formule d’un philosophe chrétien, un des plus grands pen-seurs de notre temps, Nicolas Berdiaeff, “l’antisémitisme à base religieuse” est donc “le plus sérieux, le seul qui mérite d’être étudie”. Si -non le seul, dirai-je, du moins le principal, parce qu’il est à la base». (J. Isaac)

1. Il primo testo di area francese che passeremo in rassegna è costituito da “Israël chez les nations”, di enorme rilevanza ai fini del nostro discorso, in quanto redatto da un autore cattolico. Il testo fu ampiamente utilizzato anche da Cesare Lombroso, nel suo saggio sull’antisemitismo. L’analisi di Leroy-Beaulieu è un tentativo di descrivere la costellazione discorsiva dell’antisemitismo contemporaneo e di confutarlo sistematicamente. Parte dell’ostilità antiebraica viene fatta derivare, geneticamente, da due forme del discorso religioso:

a) dalle narrazioni bibliche e dal loro uso: è il caso ad esempio del celebre versetto del Vangelo di Matteo in cui il popolo reclama a gran voce, di fronte a Pilato, che «il suo [di Cristo] sangue ricada su di noi e sui nostri figli»: immagini di questo tipo, secondo Leroy-Beaulieu, si sono trasmesse in forme rituali e liturgiche, e quindi risultano doppiamente potenti; da esse derivano l’idea del popolo ebraico come “assassino” e “criminale” e l’idea di una “vendetta di sangue”, teologicamente giustificata dal Vangelo stesso, per mano dei cristiani.

b) Dai molteplici attacchi al Talmud e quindi ai riti e alle tradizioni dell’ebraismo, che vedono proprio nel corso del XIX secolo una cristallizzazione dei tópoi che fanno dell’ebraismo una religione crudele e criminale , quando non addirittura sanguinaria e cruenta (e, nel migliore dei casi, un “fossile storico”): da questa tradizione secolare di accuse discenderebbe la “demonizzazione” non soltanto delle pratiche culturali (e quindi religiose) dell’ebraismo di matrice rabbinica, ma anche dei suoi principi etico-morali. Accanto a questi discorsi, l’autore analizza anche l’accusa di omicidio rituale.Nel terzo capitolo dell’opera, l’analisi si sposta sul rapporto tra ebrei, cristianesimo e idee moderne: laddove Leroy-Beaulieu, nello specifico, cerca di decostruire un altro mito diffuso dall’antisemitismo moderno,quello che vorrebbe gli ebrei tra i fautori di una “modernità” percepita come acerrima nemica della società cristiana tradizionale. È un’accusa che proviene in particolare dalle classi colte cristiane, mentre quelle menzionate in precedenza, di carattere più tradizionale, sono condivise soprattutto a livello popolare. Questa nuova concezione, secondo Leroy-Beaulieu, è comune a tutti i gruppi del mondo cristiano: cattolici, ortodossi (greci e russi), riformati.

Ne è un classico esempio la predicazione del pastore di corte Adolf Stoecker – autore di una “difesa dall’ebraismo”, del 1878, e fondatore del partito cristiano-sociale, il quale si pone due obiettivi: combattere e competere con la social-democrazia tedesca, ripristinando le basi e i fondamenti della società cristiana attraverso il “contenimento” degli ebrei in Germania e l’inserimento di quote nelle università e nelle professioni. Vorrei sottolineare, a margine di queste annotazioni, che questa concezione combina due elementi: da un lato il rifiuto della modernità come creazione ebraica, dall’altro l’idea, già più tradizionale, che le sfere dell’economia e del potere politico debbano essere sottratte agli ebrei, come se la modernità producesse una sorta di “mescolanza impura”, un abominio politico che andrebbe contro le leggi della ideale «civitas» cristiana.

Ebrei nel Salento

La diffusione dell’antisemitismo moderno, generalmente associata dagli studiosi alla nascita stessa del lemma e alla sua condensazione nelle forme del razzismo nazista, non fu affatto un fenomeno chiaramente e facilmente distinguibile dalle forme di ostilità antiebraica tradizionale. Gli osservatori dell’epoca che furono diretti testimoni di questo fenomeno politico e culturale tentarono di comprenderlo inserendolo in una cornice storica, o semplicemente osservandone le caratteristiche ritenute “nuove”. L’indagine che abbiamo svolto rivela soprattutto le difficoltà d’individuare con chiarezza in che cosa consista il “nuovo antisemitismo” ottocentesco, e in che cosa dovrebbe differire dall’antigiudaismo. Il lemma “antigiudaismo” sembra essere utilizzato solamente da Bernard Lazare, il quale oscilla, tuttavia, in modo impreciso tra i due termini, individuando svariate forme di “antigiudaismo” – legale, filosofico, sociale e via di seguito.

I testi che ho presentato mostrano tutti – con diverse sfumature – come la componente cristiana e cattolica sia alla base delle nuove forme di antisemitismo, e come essa si leghi, in svariati modi, alle nascenti dottrine nazionaliste e razziali dell’epoca. Accanto alla varietà dei discorsi cristiani sugli ebrei, appaiono nel corso del XIX secolo ideologie nazionaliste e razziste che, utilizzando parte dei risultati provenienti da discipline scientifiche, come la linguistica, l’etnologia e l’antropologia, sviluppano ideologie antiebraiche con temi nuovi ma non del tutto indipendenti dalle costellazioni discorsive di matrice religiosa.

Dai testi esaminati si possono trarre una serie di rifessioni che vanno approfondite e indagate con più precisione. Almeno tre testi – con l’esclusione di Dagan – individuano un problema interessante, ossia l’emersione di una diffusa concezione dello stato cristiano, non più inteso in termini pre-moderni, ma connesso al diffuso sentimento nazionale. In questo senso la dottrina dello stato e la concezione dellanazione cristiane sfruttano ed elaborano entrambe, come ideologia portante, quella dell’antisemitismo moderno. In questa fase, gli osservatori, notano la presenza di ostilità antiebraiche anti-cristiane, che non sembrano però assumere una posizione privilegiata rispetto alle costellazioni antisemite ispirate al cristianesimo, e in modo particolare, al cattolicesimo. Lazare aveva acutamente notato che nel corso del XVII secolo la tradizione religiosa antiebraica (che era esclusivamente religiosa) si stava trasformando: gli imperativi emersi, con la formazione dello stato assoluto, erano indirizzati a capire se e come fosse possibile integrare e “tollerare” gli ebrei negli stati cristiani. Le dottrine della tolleranza religiosa all’interno dello stato cristiano avranno esiti molto differenti, ma una sostanziale componente dell’antisemi-tismo moderno sembra ispirata da un problema simile, in una fase in cui lo stato sembra affermarsi come a-confessionale. L’antisemitismo cattolico, nello specifico, sembra volere unire concezione dello stato cristiano, «societas» cristiana e nazione cristiana. In questa dottrina politica gli ebrei, come osserverà Leroy-Beaulieu, non troveranno mai un diritto di esistenza. Ma lungi dall’essere una riproposizione della “nazione pre-moderna”, questa concezione è più complessa e sfocerà, col crollo dell’impero austro-ungarico, nella proposizione di nazionalismi etnici, che in alcuni casi saranno anche cattolici o ispirati dalla tradizione religiosa.

Antisemitismo? Antisionismo?

L’antisemitismo è il nome dato alla forma di razzismo praticato contro il popolo ebraico. Anche se l’interpretazione letterale della parola sembrerebbe indicare ostilità contro tutti i popoli semiti, si tratta di un’interpretazione errata. Il termine fu coniato originariamente in Germania nel 1879 per descrivere le campagne europee contro gli ebrei dell’epoca, ed è presto stato utilizzato per indicare le persecuzioni o le discriminazioni contro gli ebrei di tutto il mondo. Quindi, gli arabi che affermano di non poter essere degli antisemiti perché sono “semiti” loro stessi, stanno cercando in realtà di girare attorno alla questione, cercando di nascondere i loro atteggiamenti razzisti. Questo tentativo di assolversi dall’accusa di razzismo risulta particolarmente sfacciato, visto che un forte antisemitismo è presente in molti Paesi arabi anche oggi.

Nonostante le origini relativamente moderne del termine antisemitismo, l’odio verso il popolo ebraico è un fenomeno antico. L’antisemitismo ha assunto varie forme e ha fatto ricorso a diversi pretesti nel corso della storia. In epoca recente, esso è stato promosso da ideologie nazionalistiche estremiste e anche razziste. L’antisemitismo raggiunse il picco durante la Shoah. Più di sei milioni di ebrei (un terzo della popolazione ebraica del mondo) furono brutalmente e sistematicamente massacrati durante la Seconda Guerra Mondiale. L’antisemitismo moderno in Europa, dopo essere stato represso per decenni in seguito all’Olocausto, negli ultimi anni è di nuovo esploso con rinnovato vigore sotto una nuova forma: l'”antisionismo”, ovvero l’odio contro lo Stato di Israele. Questo nonostante il fatto che il sionismo sia il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, un’espressione della sua legittima aspirazione all’autodeterminazione e all’indipendenza nazionale. Il movimento sionista fu fondato per dare a un popolo antico uno Stato sovrano proprio nella sua terra antica. Israele è la moderna incarnazione politica di questo sogno antico.

Lo scopo dell’antisionismo consiste nel minare la legittimità di Israele, negando così al popolo ebraico il suo posto nella comunità delle nazioni. La denigrazione del sionismo è quindi, un attacco al diritto fondamentale di Israele di esistere come nazione al pari delle altre, in violazione di uno dei principi di base del diritto internazionale. Proprio come l’antisemitismo nega agli ebrei i loro diritti individuali nella società, così l’antisionismo attacca il popolo ebraico in quanto nazione, sul piano internazionale. Così come “gli ebrei” sono stati ilcapro espiatorio per molti dei problemi della società, Israele è diventato il bersaglio di condanne sproporzionate e a senso unico sul piano internazionale.

L’ antisionismo spesso si manifesta sotto forma di attacchi contro Israele alle Nazioni Unite e in altri consessi internazionali. Nel corso de anni, molti eventi della comunità internazionale sono stati strumentalizzati per condannare Israele, a prescindere da quale fosse l’argomento in discussione o di quanto esile fosse il collegamento tra esso e il conflitto nel Medio Oriente. Inoltre, non a caso la censura di Israele nei consessi internazionali o nei media è spesso stata accompagnata da un notevole incremento degli episodi antisemiti in molte parti del mondo. Mentre la critica legittima di Israele viene considerata parte integrante del processo democratico, le critiche che sconfinano nell’illegittimità – mediante la demonizzazione, l’uso di due pesi e due misure o la delegittimazione di Israele – dovrebbero essere considerate un’espressione del “nuovo antisemitismo”.

Sia le forme classiche di antisemitismo, assieme alla loro versione aggiornata (nella quale Israele viene trattato come l’ebreo della comunità internazionale), dovrebbero essere fortemente condannate. Tutte le critiche nei confronti di Israele sono antisemitiche? È importante riconoscere che Israele, in quanto democrazia, è aperta alle critiche giuste e legittime. Un’analisi valida, anche se negativa, delle politiche israeliane non dovrebbe essere considerata antisemitica, né le critiche espresse nei confronti di un altro Paese dovrebbero essere considerate razziste.

Tuttavia, le condanne di Israele attraversano troppo spesso il confine tra critiche giustificate e forme di denigrazione che potrebbero essere considerate antisemitiche. L’espressione generalmente accettata per questo tipo di trattamento non equanime è “nuovo antisemitismo”. Proprio come in passato gli ebrei venivano usati come capri espiatori di molti problemi, oggi vi sono dei tentativi di trasformare Israele in un paria internazionale.

La linea che separa le critiche legittime e le critiche riconducibili al nuovo antisemitismo, per alcuni risulta difficile da individuare. L’ex ministro Natan Sharansky, nel suo articolo del 2004 ” Antisemitismo in 3 D”, aveva specificato i parametri per tracciare la linea di demarcazione. Le 3 D del nuovo antisemitismo sono: Demonizzazione, Due pesi e due misure e Delegittimazione. Demonizzazione: allo stesso modo in cui gli ebrei furono demonizzati per secoli come incarnazione del male, così anche Israele è stata denominata un’entità malvagia. Molte delle critiche appartenenti a questa categoria consistono nel paragonare gli israeliani ai nazisti e i palestinesi agli ebrei vittima dell’Olocausto. Il ribaltamento della Shoah non è diffuso solo nei Paesi arabi, ma sta prendendo piede anche in Occidente. La tecnica propagandistica risulta particolarmente viscida poiché non solo rappresenta in modo distorto la lotta di Israele per difendersi, ma sminuisce anche la straordinaria sofferenza delle vittime della Shoah, di per sé una forma di rinnegazione.

Due pesi e due misure: per poter parlare di due pesi e due misure è sufficiente verificare se Israele viene giudicato in base a standard diversi da quelli di altri Paesi in circostanze analoghe. Spesso si può parlare di due pesi e due misure in merito agli incontri internazionali, nei quali Israele subisce critiche ingiuste in base standard di giudizio che non vengono applicati a nessun altro Paese. Allo stesso modo, un comportamento simile o addirittura peggiore da parte di altre nazioni viene spesso ignorato. L’applicazione di due pesi e due misure si può spesso riconoscere dall’irragionevole quantità – nonché qualità – delle critiche.

Un esempio significativo di due pesi e due misure è visibile nelle richieste di boicottaggio di Israele. Se tali richieste facessero parte di una campagna più ampia contro i molti regimi che violano palesemente i diritti umani in tutto il mondo, Israele sosterrebbe che la sua inclusione nella lista di questi Paesi è illegittima. Tuttavia, quando solo Israele viene preso di mira per un boicottaggio, si tratta chiaramente una dimostrazione di attività antisemitica.

Delegittimazione: i nuovi antisemiti stanno tentando di delegittimare la stessa esistenza dello Stato ebraico. Lo fanno sia minando il suo diritto a essere stato costituito, ma anche cercando di far passare l’Israele moderno come uno Stato paria, ad esempio utilizzando nei suo confronti espressioni come “discriminazione razziale” o “violatore dei diritti umani”. Come ha scritto Natan Sharansky: “Anche se le critiche contro la politica israeliana potrebbero non essere antisemitiche, la negazione del diritto di Israele di esistere lo è sempre. Se altri popoli hanno il diritto di vivere in sicurezza nella loro patria, anche gli ebrei hanno il diritto di vivere in sicurezza nella loro.”

Anche se le critiche valide contro Israele non hanno assolutamente alcun rapporto con l’antisemitismo, una parte dell’irragionevole condanna ha le sue radici negli atteggiamenti antisemitici, spesso mascherati da “antisionismo”. In quanto nazione che si dedica ai principi della Democrazia, Israele crede che le critiche, sia da parte di altre nazioni che del suo popolo, siano una forza notevole verso il cambiamento in senso positivo. Tuttavia, vi è una chiara distinzione tra i richiami legittimi al miglioramento e il tentativo di delegittimare Israele attraverso l’utilizzo di remote analogie, tecniche di demonizzazione, rendendola un’eccezione o chiedendo il rispetto di standard non applicati ad altri Stati. Questi tipi di critiche ignorano il contesto nel quale Israele cerca di sopravvivere di fronte ai violenti attacchi contro i propri cittadini e, troppo spesso, contro la sua stessa esistenza.

Israele è uno Stato dove vige la discriminazione razziale? Come la maggior parte delle democrazie occidentali con una popolazione in cui vivono numerose minoranze, Israele ha ancora molto da fare prima di poter ottenere l’uguaglianza perfetta. Tuttavia, la disparità tra la situazione degli arabi-israeliani e quella che esisteva nel Sud-Africa è talmente evidente che non si può minimamente paragonare. Infatti, quando si fanno questi paragoni, ci si trova di fronte a indicatori che segnano l’approccio verso Israele da parte di coloro che li fanno, più di quanto non lo siano per qualsiasi realtà in Israele.

Visto che non vi è alcuna giustificazione che tenga per muovere queste accuse, potrebbero esserci solamente due spiegazioni possibili: o vengono fatte da qualcuno che ignora completamente la situazione in Israele, oppure da qualcuno che nutre odio verso Israele. Inoltre, questo paragone non rende giustizia a coloro che hanno realmente subito la discriminazione razziale, sminuendo sia il dramma della loro situazione che negando i mezzi pacifici che hanno utilizzato per mettere fine a questo terribile regime.

“Non siamo antisemiti; siamo “solo” antisionisti”

Anche se le condizioni degli arabi-israeliani hanno ancora molti margini di miglioramento, sono già state fatte molte conquiste in direzione del raggiungimento dell’uguaglianza assoluta. Basterebbe osservare semplicemente i progressi degli arabi-israeliani nella sfera pubblica per rendersene conto; gli arabi-israeliani sono presenti nella Corte Suprema, nella Knesset (parlamento), negli incarichi nelle ambasciate, tra i sindaci e anche nel Governo (attualmente, Raleb Majadele è ministro delle scienze, della cultura e dello sport e Majalli Whbee è viceministro degli esteri). Importanti arabi-israeliani sono presenti in ogni ambito della società israeliana, compresi i calciatori della nazionale israeliana. In effetti, uno degli ideali sui quali fu fondata Israele era quello dell’uguaglianza. La dichiarazione di indipendenza di Israele afferma che lo Stato di Israele “assicurerà la totale uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini indipendentemente da religione, razza e sesso; garantirà la libertà di culto, coscienza, lingua, istruzione e cultura; salvaguarderà i luoghi sacri di tutte le religioni.” Inoltre, continua ad appellarsi “agli arabi che vivono in Israele affinché preservino la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulle basi dell’uguaglianza del diritto di cittadinanza e la giusta rappresentazione in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”. Le seguenti iniziative legislative e le decisioni giuridiche si sono ispirate a questi principi.

In che modo la giustizia israeliana protegge i diritti civili e le libertà fondamentali? Tutti i cittadini israeliani – indipendentemente da razza, religione e sesso – godono degli stessi diritti e tutele legali. Questo principio risale al documento di costituzione del moderno Stato di Israele, la dichiarazione di costituzione dello Stato di Israele del maggio 1948. Questa dichiarazione di indipendenza proclamò che lo Stato di Israele si sarebbe basata sulla libertà, la giustizia e la pace come auspicato dai profeti di Israele. Essa garantirà la totale uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini indipendentemente da religione, razza o sesso; garantirà la libertà di culto, coscienza, lingua, istruzione e cultura; salvaguarderà i luoghi sacri di tutte le religioni e sarà leale ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

Anche se la Dichiarazione non è un documento costituzionale con valore legale, esso mantiene la sua influenza dettando i principi guida nelle interpretazioni delle leggi. La sua centralità è stata riconosciuta nella legge di base del 1982: “Dignità umana e libertà”, che stabilisce esplicitamente che i diritti umani previsti dalla Legge saranno interpretati “nello spirito dei principi della Dichiarazione della costituzione dello Stato di Israele”. Come il Regno Unito, Israele non ha una costituzione scritta. Questo non significa, però, che i diritti umani non siano costituzionalmente protetti. Poco dopo la fondazione di Israele, la Knesset iniziò ad approvare una serie di leggi di base relative a tutti gli aspetti della vita, che un giorno verranno messe assieme per creare una costituzione scritta. Oltre alle leggi che stabiliscono le caratteristiche principalidel governo, sono state approvate altre leggi che si occupano dei diritti fondamentali, come la legge di base ispirata a dignità e libertà umana.

Esempio di cartoon “antisionista”

In assenza di un documento formale che sancisca i diritti, il sistema giudiziario israeliano ha avuto un ruolo chiave nella protezione delle libertà civili e nell’applicazione della legge. Oltre alle leggi di base, nel corso degli anni è stato approvato un insieme di leggi che protegge le libertà civili. L’uguaglianza, la libertà di espressione, la libertà di riunione e la libertà di culto sono solo alcuni dei diritti di base considerati valori fondamentali dal sistema legale israeliano. Il sistema costituzionale israeliano si basa su due principi fondamentali: lo Stato è democratico e anche ebraico. Non esiste alcuna contraddizione tra i due principi.

Oltre al suo contributo alla giurisprudenza, la Corte Suprema ha un’altra funzione particolare. Nella suo ruolo di Alta Corte di Giustizia e agendo da corte di prima ed ultima istanza, la Corte Suprema ascolta le petizioni delle persone che si rivolgono in appello contro un ente o un rappresentante del governo. Questo significa che qualsiasi individuo che abiti in Israele o nei territori può appellarsi direttamente alla Corte Suprema del Paese e chiedere assistenza immediata, qualora dovesse ritenere che i suoi diritti siano stati violati da un qualsiasi ente governativo o dalla forze armate. Queste petizioni hanno un ruolo importante nel garantire i diritti civili della persona, sia per i cittadini israeliani che per i palestinesi. Il sistema giudiziario israeliano – e per prima la Corte Suprema, che è il cane da guardia della democrazia israeliana – ha avuto un ruolo importante nel garantire che tutti gli israeliani, ebrei e arabi, godano dello stesso livello di protezione dei diritti umani e delle libertà civili dei cittadini delle altre democrazie occidentali.

“Anti sionista, non antisemita!”

Perché c’è stato un incremento degli episodi antisemiti? La campagna di delegittimazione contro Israele ha portato a un forte incremento di attacchi anti-israeliani e antisemitici in tutto il mondo. Contemporaneamente, la linea di demarcazione tra separa la critica legittima contro Israele e gli attacchi antisemitici contro obiettivi ebraici si sta diventando sempre di più sfumata. A partire dall’inizio della seconda Intifada, nel settembre 2000, Israele sta subendo una campagna di delegittimazione a livello mondiale. Il Paese è stato attaccato dai media e nelle sedi internazionali e accusata dai leader politici e dagli intellettuali. È stato messo in dubbio il suo stesso diritto di esistere, nonché il suo dovere primario di difendere i suoi cittadini. Gli estremisti di sinistra e di destra si sono uniti insieme nell’odio verso lo Stato ebraico.

Questi attacchi vanno oltre qualsiasi critica giustificabile che Israele, in quanto solida democrazia, considera un elemento del legittimo dialogo tra Stati. Tuttavia, non è affatto legittimo censurare Israele in modo talmente sproporzionato, isolarlo e pretendere che mantenga standard impossibili, non richiestia nessun altro Stato. Non è neppure legittimo demonizzare Israele o cercare di delegittimare la sua stessa esistenza. Le ragioni di fenomeno crescente sono numerose e sono strettamente legate all’abilità che hanno i palestinesi nel vendere la loro immagine di vittime indifese. Hanno utilizzato questa percezione per giocare con i sentimenti di coloro che invocano i diritti umani (mentre i leader palestinesi e i terroristi violano i più basilari diritti umani delle vittime innocenti e del loro stesso popolo). I pregiudizi portati avanti da media sono stati decisivi nel processo di delegittimazione di Israele. Non c’è da stupirsi che le popolazione occidentali, che generalmente si fidano dei loro mezzi d’informazione rimangano influenzati quando sono esposti a descrizioni unilaterali del conflitto. Un altro tipo di condanna ha radici sostanzialmente ideologie e viene spesso sostenuto da coloro che sono disposti ad ignorare tutte le trasgressioni dei regimi totalitari, a prescindere da quanto sianoeclatanti, ma criticano qualsiasi passo difensivo adottato dagli Stati democratici. Anche gli atteggiamenti antisemitici tradizionali, spesso mascherati da posizioni anti-sioniste, hanno fatto la loro parte.

“Anti sionista, non antisemita!”

(…)

Attacchi antisemitici sono stati le bombe presso le sinagoghe e le scuole ebraiche, gli atti di vandalismo e profanazione di cimiteri ebraici, le minacce di morte e violenza contro ebrei e gli atti di violenza non provocata che sono arrivati anche all’omicidio. Questi crimini ispirato all’odio contro gli ebrei e le istituzioni delle comunità ebraiche sono spesso mascherati da azioni “anti-sioniste”. La situazione nel Medio Oriente è ancora peggiore. La virulenta retorica anti-israeliana era già diffusa, ma si è intensificata a partire dall’inizio delle violenze nel 2000. Miti antisemiti e anti-israeliani, spesso appoggiati da governi che perseguono i loro obiettivi, vengono fatti propri da una notevole percentuale della popolazione locale. L’incessante flusso di accuse deprecabili e infondate favorito dai rappresentanti palestinesi ha contribuito fortemente alla crescente ondata di antisemitismo. Una delle conseguenze è stata l’incremento di attacchi contro obiettivi ebraici nel mondo arabo, che hanno provocato la morte di molte persone, come nel caso dell’attentato terroristico contro l’antica sinagoga di Djerba, a Tunisi, nell’aprile 2002. Israele è seriamente preoccupato dalla crescita significativa dell’antisemitismo che prende di mira le comunità ebraiche in Europa e altrove. Questo crescente fenomeno dovrebbe suscitare la preoccupazione di tutta la società civile. Israele si appella ai governi dei Paesi dove la minaccia d’antisemitismo si sta propagando affinché prendano tutte le necessarie misure per assicurare la vitadelle comunità ebraiche e affinché i responsabili di questi deplorevoli attacchi vengano affidati alla giustizia. L’istigazione antisemitica – sia che venga promossa da individui, da organizzazioni o dai leader di certi Paesi – dovrebbe essere fortemente condannata a ogni occasione.

“Anti sionista, non antisemita!”

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