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“Vuoi la verità o la tua bugia preferita?” Le “fake quotes”

Le false citazioni non smettono di imperversare. A corto di argomenti, cosa c’è di meglio che piazzare una bella citazione falsa? E allora continuiamo a smentirle, togliendo, a chi le utilizza, la fatica di controllare le fonti.

Il noto storico anti-sionista Ilan Pappè,  riporta, nel 2006, sul “Journal of Palestine Studies” e nel suo libro “The Ethnic Cleansing of Palestine” (Oneworld Publications) una frase di una lettera che Ben Gurion avrebbe scritto nel 1937 a suo figlio:

Gli arabi se e dovranno andare, ma abbiamo bisogno del momento opportuno, come una guerra.”

Lo storico Benny Morris dichiara la frase “un’invenzione” nel 2006. La citazione non compare in nessuno dei riferimenti che Pappé cita. Nel suo “The Ethnic Cleansing of Palestine una pulizia etnica, Pappé cita il 12 luglio 1937 dal diario di Ben-Gurion e la pagina 220 del numero di agosto-settembre di New Judea, una newsletter pubblicata dalla Organizzazione Mondiale Sionista. La citazione non compare in nessuna parte di questi testi, né in nessuna fonte di riferimenti nell’ articolo sul Journal of Palestine Studies, un libro di Charles D. Smith.

Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto “.

Attribuita a David Ben Gurion, futuro primo ministro di Israele, 1937, Ben Gurion e gli arabi della Palestina, Oxford University Press, 1985.

La citazione è falsificata, e non appropriata. Proviene  da “The Birth of the Palestinian Refugee Problem 1947-1949 di Benny Morris che cita sempre la lettera di Ben Gurion del 1937. In realtà si legge:

 “Noi non vogliamo e non abbiamo bisogno di espellere gli arabi e prendere il loro posto. Tutte le nostre aspirazioni sono costruite sul presupposto – confermato da tutta la nostra attività in Eretz – che ci sia abbastanza spazio nel paese per noi e gli arabi. ”

“Dobbiamo uccidere tutti i palestinesi a meno che non si rassegnano a vivere qui come schiavi “.  Heilbrun presidente del comitato per la rielezione del generale Shlomo Lahat, il sindaco di Tel Aviv, ottobre 1983.

La fonte unica per questa citazione falsa è il libro The Hidden History of Zionism, di Ralph Schoenman, che cita una conversazione privata con Fouzi El-Asmar e Salih Baransi nel mese di ottobre 1983. L’ex sindaco Lahat dichiaro’ di non aver mai assunto, non aver mai conosciuto o sentito parlare di un qualsiasi “Presidente Heilbrun”. Il sindaco dichiaro’ anche che non avrebbe mai permesso ad uno dei suoi dipendenti di fare una tale osservazione, che contraddiceva i suoi sforzi a favore della pace tra israeliani e palestinesi. Heilbrun semplicemente non è mai esistito.

“Sarebbe la mia più grande tristezza vedere che i sionisti fanno agli arabi palestinesi molto di quello che i nazisti fecero agli ebrei.

Non ci sono prove registrate che Einstein abbia mai detto questa frase. La motivazione per questa citazione falsa appare essere evidente: un Ebreo intelligente deve essere anti-sionista e pro-palestinese. Einstein era un sostenitore del sionismo laburista. Tuttavia, Einstein ha firmato una lettera aperta da intellettuali ebrei nel 1948, nella quale diceva:

“Tra i fenomeni politici più inquietanti del nostro tempo è l’emergere nel nuovo stato di Israele, del” Partito della Libertà “(Tnuat Haherut), un partito politico strettamente affine nella sua organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e sociale ai partiti nazisti e fascisti.” La citazione falsa potrebbe essere stata ispirata da questa lettera aperta.

E’ essenziale colpire e schiacciare i pakistani, i nemici degli ebrei e del sionismo in tutti i modi e piani segreti” – David Ben Gurion, primo ministro dell’entità sionista.

Falso apparso sul Pakistan Daily, nel 2009. La “citazione” intera sembra aver avuto origine da un articolo del Rense.com un sito antisemita, il 1 ° aprile 2001:

“Se c’è ancora qualche dubbio sulle reali intenzioni di Israele, si prega di consultare questa dichiarazione rilasciata da David Ben Gurion, il primo premier israeliano. Le sue parole, come pubblicato nel Jewish Chronicle, del 9 agosto 1967, non lasciano nulla all’immaginazione:

“Il movimento sionista mondiale non deve essere negligente dei pericoli del Pakistan contro di esso. Ed ora il Pakistan dovrebbe essere il suo primo obiettivo, per questo Stato ideologico è una minaccia alla nostra esistenza. E il Pakistan, tutto, odia gli ebrei e ama gli arabi. “Questo amante degli arabi è più pericoloso per noi che per gli arabi stessi. Per questo è essenziale per il sionismo mondiale prendere misure immediate contro il Pakistan.” “Mentre gli abitanti della penisola indiana sono hindu dal cuore pieno di odio verso i musulmani, quindi, l’India è la base più importante per noi per lavorare contro il Pakistan.” “E ‘essenziale che sfruttiamo questa base per colpire e schiacciare i pakistani, i nemici degli ebrei e del sionismo, con tutti i modi e i piani segreti.”

Ora non ci resta che trovare il Jewish Chronicle. Mentre ci sono un sacco di piccoli giornali chiamati The Jewish Chronicle, sembra improbabile che Ben Gurion abbia concesso un’intervista a un giornale di Pittsburgh o del Wisconsin. L’unico candidato ragionevole sarebbe il London Jewish Chronicle, che pubblica dal 1841.  Ogni Venerdì dal 1841. Purtroppo, il 9 Agosto 1967 era un Mercoledì.

“Non conosco qualcosa chiamato “principi internazionali”. Giuro che brucerò ogni bambino palestinese (che) nascerà in questa zona. La donna palestinese e il bambino sono più pericolosi di un uomo, perché dall’esistenza del bambino palestinese le generazioni andranno avanti,  l’uomo provoca pericolo limitato. Giuro che se fossi solo un civile israeliano e incontrassi un palestinese lo brucerei e lo vorrei far soffrire prima di ucciderlo. Con un colpo ho ucciso 750 palestinesi (a Rafah nel 1956). Ho incoraggiato i miei soldati a violentare le ragazze arabe che come la donna palestinese sono schiave per gli ebrei, e noi faremo quello che vogliamo di lei e nessuno puo’ dirci cosa fare, ma siamo noi che diremo agli altri cosa devono fare”. Attribuita a Ariel Sharon in un’intervista con il Generale Ouze Merham, 1956.

Questa citazione è stata trovata su centinaia di siti web arabi ma non esiste un’intervista del genere in nessun libro di testo, articolo di giornale, o registrazione, né vi è alcuna menzione o registrazione di un generale Ouze Merham altrove. (Fra l’altro il termine “palestinese” non era in uso nel 1956. Esso è entrato in voga solo nel 1960.) La studentessa blogger, Mariam Sobh, ha usato la citazione nel suo December 11, 2003 Daily Illinicolumn, ma poi ha dovuto chiedere scusa.  

Dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di stabilirsi su nemmeno un centimetro di Eretz Israel … Useremo la forza massima fino a che i palestinesi verranno strisciando da noi, a quattro zampe.”

Attribuita a Rafael Eitan, Chief of Staff of the Israeli Defense Forces, in un articolo di Gad Becker, Yediot Ahronot Aprile 13, 1983 e sul New York Times, Aprile 14, 1983. La citazione non appare nell’articolo citato come fonte. Mentre entrambe le fonti discutono commenti fatti dall’allora capo uscente del Eitan, non c’è nulla di lontanamente simile a questa citazione. Una ricerca più ampia degli archivi del New York Times, rivela uno zero assoluto.

Sono alcuni esempi tra milioni. A costruire una falsa citazione ci vuole molto poco; smontarla purtroppo richiede lavoro.

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Al Dura: fine di una menzogna atroce

La “morte” in diretta di Mohammed Al Dura, avvenuta nel 2000 a Netzarin, nella Striscia di Gaza e attribuita all’IDF è stata una delle icone mondiali agitate contro Israele. La televisione di Stato francese France 2, compro’ senza verifica il servizio del cameraman free lance palestinese Talal Abu Rahma;  64 secondi drammatici che sono rimasti impressi nella memoria collettiva del mondo. Un bimbo cerca riparo tra le braccia del padre mentre infuriano scontri, il padre urla di non sparare, la polizia spara, il bimbo si accascia morto; questo è quanto le riprese volevano fosse percepito.

Dubbi furono sollevati fin da subito: niente sangue, niente ambulanze, nessuna immagine del bimbo “dopo”. Il reporter si giustifico’ dicendo che “la pellicola era finita” e non aveva potuto filmare altro. Charles Enderlin all’epoca corrispondente di France 2 per il Medio Oriente, commento’ subito senza indugio le sequenze che furono una condanna senza appello all’esercito israeliano. Philippe Karsenty, analista dei media, francese, fondatore di Media Ratings, cito’ in causa Charles Enderlin, nel 2004, accusandolo di aver costruito di sana pianta le riprese de “l’affare Al Dura”. Più di dieci anni di dibattimenti processuali, prove richieste a France 2 e negate (i famosi rush originali) , il padre di Mohammed che a riprova della veridicità delle immagini mostra cicatrici di ferite che dice essere il risultato di quel maledetto giorno. Smentito platealmente: il medico che lo opero’ testimonia essere le cicatrici postumi di operazioni che niente avevano a che vedere con il fatto.

Il video presentato da Enderlin in dibattimento fu giudicato “confuso”: mancavano gli scatti decisivi, Mohammed Al Dura muoveva testa e gambe dopo la sua presunta morte, non c’era sangue sulla sua maglietta. Le foto che furono diffuse del bambino all’obitorio, risultarono essere quelle di Sami Al Dura e non di Mohammed. Le due morti non avevano nessuna attinenza l’una con l’altra. Piano piano, nel corso di questi tredici anni, c’è stato il tentativo da parte di France 2 e di una parte della stampa, di trasformare “l’affaire Al Dura” in “Karsenty contro Enderlin”, stravolgendo cosi’ quello che invece avrebbe dovuto essere impellente bisogno di verità.

“L’icona” Al Dura è stata il vessillo della Seconda Intifada, ha “giustificato” agli occhi del mondo atrocità come l’assassinio di Daniel Pearl, giornalista americano decapitato in diretta da islamisti pachistani, con alle spalle l’immagine del “piccolo martire” o come il massacro dei due riservisti dell’IDF, sconfinati a Ramallah e fatti a pezzi.

Il giornalista Daniel Pearl

Ed è arrivata ad essere utilizzata perfino da Mohammed Merah, autore della strage alla scuola ebraica Ozar Ha Torah di Toulouse, che disse di essere stato spinto ad agire dall”assassinio del “martire Al Dura”.

gli assassini dei due riservisti IDF

Ora forse, finalmente, la farsa si avvia alla sua conclusione. Il deputato laburista israeliano, Nahman Shai, ha incontrato il Ministro della Difesa, Moshe Yaalon, per consegnargli la copia del suo libro “Una guerra dei media che colpisce i cuori e gli animi”, che tratta del ruolo dei media nell’affaire Al Dura. Mohammed Al Dura non sarebbe mai stato né ferito né morto, ma al contrario, sarebbe ancora vivo e in buona salute. Una tesi che circola da anni. Yossi Kuperwasser, ex generale di Brigata che ha condotto l’inchiesta Al Dura, è arrivato alla conclusione che le immagini filmate dal cameraman di France 2 furono una messa in scena “volontaria o involontaria”.

Israele ha pubblicato, il 19 maggio 2013, un rapporto ufficiale che accusa France 2 e Charles Enderlin:

“…Le accuse di France 2 non avevano alcuna base riscontrabile nel materiale che l’emittente aveva in suo possesso al momento … Non ci sono prove che l’IDF sia stata in alcun modo responsabile della causa dei presunti danni a Jamal Al Dura o a suo figlio, Mohammed Al Dura ”

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ricevuto oggi la relazione del Comitato di revisione del governo “Rapporto France 2 Al-Durrah , conseguenze e implicazioni”. La relazione è stata presentata dal Ministro degli Affari Internazionali, Strategie e Intelligence, Yuval Steinitz, alla presenza del Direttore Generale del Ministero degli Affari Internazionali, Yossi Kuperwasser…. Il primo ministro Benjamin Netanyahu: “E’ importante concentrarsi su questo incidente – che ha diffamato la reputazione di Israele. Questa è una manifestazione della campagna menzognera di delegittimare di Israele. C’è solo un modo per combattere le menzogne, attraverso la verità.. . Solo la verità può prevalere sulla menzogna “.

Francobollo commemorativo del “martire”

E questa volta, probabilmente, gli elementi emersi sembrano essere convincenti se perfino un’agenzia come l’Ansa, di solito molto “restia” (per usare un eufemismo) a riconoscere le ragioni di Israele e a riportare in maniera equilibrata il conflitto, non ha potuto fare a meno di titolare:

Israele: immagine simbolo intifada, tv menti’ su morte bimbo. ‘Era vivo dopo la sparatoria, ma France 2 non lo mostro”’.

Nello stesso tempo, il “termometro” del web da la misura dell’importanza della notizia che appare su centinaia di blog e giornali on line. Perfino la “ricerca per immagini” al nome Al Dura, suggerisce “hoax”. Niente e nessuno potrà riparare al danno fatto, nessuna ammissione di frode potrà restituire la vita a chi è stato ucciso in nome di una messa in scena, nessuna verità, per quanto palese, potrà cancellare dall’immaginario collettivo mondiale la certezza che gli Ebrei si nutrano ancora del sangue dei bambini, come per secoli è stato creduto. Scrive Youval Steiniz, Ministro degli Affari Interni:

« l’affaire Al-Dura è un’accusa moderna di morte rituale contro lo Stato di Israele, come quelle che sostennero ci fosse stato un massacro a Jenin. Il réportage di France 2 è completamente senza fondamento».

Acc..! Anche Stephen Hawking ci è sfuggito…

Sappiamo che il movimento per il boicottaggio dei prodotti israeliani, siano essi pomodori, pompelmi o balletti e spettacoli musicali, è sempre a caccia di nuovi testimonial che possano far dire al mondo: “Hai visto? Anche lui boicotta! Allora deve essere proprio cosa giusta!”

Poco tempo fa fu la volta di Roger Waters, ex Pink Floyd, che con un battage pubblicitario enorme, annuncio’ al mondo la sua intenzione di boicottare Israele, invitando a fare altrettanto tutti i suoi amici musicisti. Ovazioni dai sostenitori dell’odio culturale per Israele. Poi, con somma delusione, Waters ci ha ripensato e ha deciso che forse non era proprio il caso.  Oh delusione! Ce ne voleva subito un altro, prestigioso. Chi? Chi? Eccolo! Stephen Hawking, fisico e matematico di fama mondiale, noto soprattutto per i suoi studi sui “buchi neri”.

Perfetto! Non un artista decaduto che tenta di farsi pubblicità per restare a galla come Waters, ma una personalità stimata nel mondo. Oh gioia! Oh gaudio! Immediatamente le pagine specializzate nella diffusione dell’odio contro Israele si impossessano della notizia e ci ricamano, la raffinano, la condiscono di “approvazione morale”. Come Nena news, per esempio:

“Gerusalemme, 8 maggio 2013, Nena News – La notizia sta facendo il giro del mondo. Stephen Hawking, uno degli scienziati più famosi, ha aderito alle iniziative di boicottaggio di Israele promosse da accademici e personaggi internazionali in segno di protesta contro il trattamento dei palestinesi da parte dello Stato ebraico. E lo ha fatto annunciando il ritiro della sua partecipazione ad un evento promosso dal presidente israeliano Shimon Peres a Gerusalemme. Lo riferisce il quotidiano britannico The Guardian…. Lo scienziato non ha spiegato le motivazioni della sua decisione ma una dichiarazione pubblicata dal “British Committee for the Universities of Palestine”, spiega che la scelta fatta dallo scienziato è «indipendente, volta ad aderire al boicottaggio (di Israele) e presa sulla base della sua conoscenza della Palestina e su consiglio unanime dei suoi contatti accademici sul posto».

E già ci sarebbe molto da obiettare no? Lo scienziato non motiva il ritiro della sua partecipazione, e allora da chi informarsi per saperne di più? Ma ovviamente dal British Committee for the Universities of Palestine! E’ normale! E il Guardian che fa? La prende per buona, anzi per buonissima, la pubblica senza indugio. E il Guardian si sa, nonostate tutto mantiene ancora una certa fama; la notizia fa il giro del mondo. La solita Harriet Sherwood è sicura di aver messo a segno un colpaccio e il Guardian chiede anche ai lettori di esprimere il loro parere in merito alla decisione dello scienziato, cosi’, tanto per animare un po’.

Radio Irib, il giornale ufficiale della repubblica islamica d’Iran in Italia, pagina attraverso la quale i movimenti degli odiatori di Israele italiani si “informano”, va ancora un po’ oltre:

Secondo il quotidiano, Hawking ha inviato la scorsa settimana una breve lettera a Peres per comunicargli la sua disdetta. In un comunicato diffuso dal Comitato britannico per le Universita’ della Palestina, approvato dal fisico, si precisa che si e’ trattato di “una sua decisione indipendente di rispettare il boicottaggio, basata sulla sua conoscenza della Palestina, e sul consiglio unanime dei suoi contatti accademici qui”

Quindi, si’ è vero che Hawking non ha motivato ma ha approvato il comunicato per le Universita’ della Palestina. Benissimo! Hawking è entrato a far parte del “popolo dei giusti”!

E invece no! Hawking ha rinunciato all’incontro per motivi di salute. Il portavoce dell’Università di Cambridge

“Il professor Hawking non sarà presente alla conferenza in Israele nel mese di giugno per motivi di salute – i medici gli hanno sconsigliato di volare.”

Era già successo in gennaio, quando il 71enne scienziato, gravemente ammalato, aveva rinunciato ad una conferenza in Sud America su consiglio dei suoi medici. Hawking, che soffre di sclerosi laterale amiotrofica, nota anche come malattia di Lou Gehrig, riceve cure continue e può comunicare solo con contrazioni della guancia, e per mezzo di un computer montato sullaa sua sedia a rotelle.

Forse adesso sarà il momento delle ritrattazioni imbarazzate e in sordina. Acc..! Un altro sfuggito!

Grazie a Cif Watch

Ultime notizie: La faccenda sta diventando grottesca! Lo stesso portavoce dell’Università che ieri aveva confermato l’assenza di Hawking per motivi di salute, oggi ha fatto marcia indietro e ha confermato l’adesione di Hawking al boicottaggio: avevamo capito male!!!!

http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/167846#.UYqylHLrYvG

La Pravda, Rania e i virus

Sappiamo che il web è pieno di articoli-spazzatura; sappiamo che le pagine “complottiste” sono quelle che spesso raccolgono più consensi e lettori: il pubblico sembra aver bisogno del “sensazionale”, dell’incredibile, del “mai udito”. Ma leggere certe cose su un giornale che comunque ha una storia come la Pravda, fa lo stesso impressione.

Rania Saqa, palestinese uscita dalle carceri israeliane, lancia questo scoop che lesta la Pravda riprende:

Il regime israeliano inietta, ai detenuti che escono dal carcere, virus pericolosi! Notando che i prigionieri palestinesi sono colpiti da malattie gravi e croniche, come il cancro alla vescica e disturbi epatici, Rania ha rivelato che il regime di Tel Aviv inietta ai prigionieri virus pericolosi, prima di rilasciarli. La ex detenuta ha chiesto alle istituzioni e la comunità internazionale di esaminare con attenzione la cosa. 

La maggior parte dei detenuti muore dopo essere uscito dalle prigioni israeliane. Saqa Rania ha criticato l’abbandono nel quale lo stato palestinese lascia i prigionieri e le loro famiglie e ha aggiunto che “i prigionieri sono sottoposti alle torture più crudeli.” Un gran numero sospetto di prigionieri palestinesi sono affetti da malattie incurabili o disabilità permanenti, a causa della situazione critica delle carceri del regime israeliano. Recentemente, l’International Solidarity for Human Rights Institute ha avvertito che gli israeliani usano e abusano del regime carcerario per testare i loro nuovi farmaci, e questo contraddice principi medici e morali internazionali. Attualmente, circa 5.000 prigionieri palestinesi, tra cui donne e bambini, sono stipati nelle carceri del regime di Tel Aviv. La maggior parte non sono stati processati e alcuni non hanno alcuna accusa formale contro di loro, una strategia che il regime israeliano chiama “detenzione amministrativa”.

Rania “la dolente”

Non uno straccio di prova, ovviamente, sostiene queste accuse infamanti. Chi l’ha detto che la maggior parte dei detenuti muore? Le foto scattate ai detenuti rilasciati nello scambio con Gilad Shalit ci hanno mostrato giovani in piene forze, tutt’altro che debilitati, cosi’ come quelle scattate di recente a Marwan Barghuti, per esempio. La El Saqa era in galera dopo che tento’ di accoltellare un soldato israeliano, al checkpoint di Qalandiya. In questa intervista a Hamas Felesteen racconta che da quando ha lasciato il carcere accusa le più svariate malattie:  cancro al seno, cancro della vescica, epatite B, senza contare le ossa rotte. Dice di aver cercato inutilmente di farsi pagare le cure mediche da Hamas e dall’Amministrazione palestinese. Tutto questo un paio di mesi fa; nessun accenno a virus iniettati.  Lo stesso in una sua intervista a Al Quds: chiede soldi per le cure, dice di volersi  curare in Italia, ma niente altro.

Poi, pochi giorni fa, improvvisamente annuncia di avere i soldi per viaggiare in Italia e per il trattamento, ma non abbastanza per le spese di soggiorno. E in contemporanea ha cominciato a girare la storia dei virus.

El Saqa ha afferrato il concetto di base: se si vuole ottenere una copertura internazionale dei media – e denaro – incolpare l’Amministrazione palestinese non funziona. Devi incolpare Israele. E, come si vede, i risultati ci sono. Aspettiamo di vedere le sue accuse assurde ripetute, amplificate ed esagerate nei prossimi giorni.

Chi ti ha pagata Rania? E da chi aspetti ancora soldi per il soggiorno?

Articolo originale QUI

Prestami il tuo braccio

Quando la mistificazione non si fa scrupolo di utilizzare morti per attizzare l’odio. Oggi il web è stato inondato da una foto spacciata come quella di Abu Maysara Hamdiya, un prigioniero palestinese, morto questa settimana in un carcere israeliano, la morte del quale è stata presa a pretesto per scatenare una nuova ondata di violenze nella West Bank.

Hamdiya soffriva di cancro, e l’accusa è che egli non abbia ricevuto le cure mediche di cui aveva bisogno. La foto lo mostra ammanettato a un letto di ospedale e insinua che gli fossero stati inflitti trattamenti crudeli, inumani durante la sua pena detentiva.

 

La foto che gira sul web

Il portavoce israeliano del Prison Service, Sivan Weizman, ha spiegato che  erano state prese tutte le precauzioni necessarie per la salute di Abu Hamdiya, tra le quali il trasferimento in un carcere più vicino a strutture ospedaliere. Ricordiamo che Hamdiya in effetti è morto nell’ospedale di Bersheeva e non in carcere. Hamdiyah scontava l’ergastolo per omicidio, appartenenza a Hamas e possesso di armi.  Nella didascalia alla foto sopra si legge: “prigioniero, comandante e jihadista”, insieme a una foto di Abu Maysara Hamdiya. L’immagine implica che Abu Hamdiya fosse ammanettato ad un letto d’ospedale. In realtà, il braccio nella foto sopra è una porzione ritagliata di una foto scattata in Siria, di un ribelle in ospedale. La foto è stata originariamente pubblicata l’8 dicembre 2012.

la foto originale; quel braccio appartiene a quest’uomo

Visto come è facile dare una mano (o un braccio) all’odio?

Articolo originale QUI Grazie a Cristina per la segnalazione!

Pallywood, mon amour!

Il termine “Pallywood” si riferisce alle costruzioni giornalistiche, allestite da giornalisti arabi e occidentali, finalizzate a presentare i palestinesi come vittime inermi dell’aggressione israeliana. In alcuni casi Pallywood mette in scena veri e propri stage cinematografici nei quali i “fatti” sono inventati di sana pianta, secondo un copione accuratamente predisposto. Cio’ è possibile (o lo è stato finora) per la credulità della stampa occidentale e per il suo desiderio  di presentare  immagini capaci di rafforzare il mito del palestinese/ David che si batte valorosamente contro la sopraffazione di Golia/ israeliano.

Con Pallywood gli standard giornalistici sono caduti a livelli da “spaghetti western” e le messe in scena sono assurte al rango di  “eventi reali.”

1982: l’invasione del Libano

I primi chiari segnali di una emergente “industria Pallywood” risalgono all’invasione del Libano, del 1982. Lì, per la prima volta, i media sembrarono abbracciare quell’atteggiamento apertamente ostile nei confronti di Israele che porto’ Norman Podhoretz a scrivere un articolo molto discusso, dal titolo “J’Accuse”, nel quale accusava i principali media di ” antisemitismo” (su Commentary, febbraio 1983).

Podhoretz denuncio’ che: 

– Utilizzando il fratello di Arafat, Fathi Arafat, capo della Mezzaluna Rossa Palestinese, le fonti palestinesi dichiararono 10.000 morti e 600.000 profughi causati dall’attacco israeliano. Senza verificare la  notizia (all’epoca nel sud del Libano vivevano 300.000 persone), i mezzi di comunicazione ripetettero costantemente questi dati, fino a che divennero universalmente accettati.

– I giornalisti paragonarono l’assedio di Beirut a quello nazista di Varsavia. Difficile trovare un paragone più inappropriato, ma l’analogia tra israeliani e nazisti sembro’ avere un richiamo quasi irresistibile per alcuni giornalisti. Tra i più aggressivi, Peter Jennings.

– Furono utilizzate immagini chiaramente false, atte a screditare l’esercito israeliano, comprese quelle delle zone devastate dalla guerra civile tra palestinesi e libanesi, bambini morti che non erano morti, ecc (pp. 353-389).

– I massacri di Sabra e Shatila furono riportati in modo che nell’opinione pubblica si formasse la convinzione che fossero stati i soldati israeliani ad aver massacrato i profughi palestinesi, omettendo di informare in merito alle motivazioni della Falange maronita, responsabile dell’attacco.

Tutti conoscono la storia di Sabra e Shatila, ma solo di recente si è cominciato a sentir parlare del Darfur. Il netto contrasto tra le centinaia di morti di Sabra e Shatila e i più di diecimila di Hama, città nel centro della Siria, lo stesso anno, illustra quanto la propensione dei media sia di  accentrare l’attenzione sui misfatti, non importa se veri o presunti, di Israele e quanto sia forte il potere di intimidazione che di fatto impedisce ai giornalisti di accedere e riportare notizie in merito ai crimini arabi (v. Friedman, da Beirut a Gerusalemme, cap. 4.)

– La riluttanza della stampa – in particolare da parte dei giornalisti “residenti” a rivelare il grado di brutalità dell’OLP come “Stato nello Stato” nel sud del Libano (vedi pp 219-278).

I palestinesi davanti all’entusiasmo della stampa occidentale nel riferire il peggio degli israeliani per evitare di informare in merito al peggio dei palestinesi, alla suscettibilità all’intimidazione e all’assassinio di giornalisti invisi all’OLP, agli standard molto scadenti nel vagliare e verificare le fonti e i fatti,  compresero chiaramente di avere un valido alleato nei media occidentali e nei giornalisti installati presso l’hotel Commodore – (Chafets, Double Vision, capitolo 6.).

Avvelenamento di Studentesse palestinesi, Jenin (Cisgiordania), marzo, 1983

Un anno dopo la debacle dei media libanesi, Israele fu fatto oggetto di un falso premeditato, diffuso poi ampiamente  : un certo numero di ragazze palestinesi di una  scuola media dichiararono di essere state avvelenate da “gli israeliani.” La storia divento’ subito uno scandalo internazionale. Ogni Paese invento’ una tale varietà di dettagli che la storia fini’ per somigliare ad una versione di Rashoman. Nessuno, tuttavia, mise in dubbio la veridicità dell’avvelenamento, né le accuse a Israele. Solo dopo una lunga indagine risulto’ che non c’erano ragazze avvelenate, e che i miliziani dell’OLP avevano incoraggiato e intimidito le ragazze ed i funzionari dell’ospedale affinché confermassero la storia.

Dal punto di vista della copertura mediatica si rivelarono alcune particolarità:

– La stampa israeliana prese sul serio le accuse e solo dopo un esame medico concluse trattarsi di falsi.

– La stampa palestinese e araba dette subito per scontato che la storia fosse vera e la uso’ per incitare all’odio e diffondere la paura degli israeliani. Nonostante la mole delle contro-prove non ci fu nessun  cambiamento nella copertura.

– La stampa occidentale accolse le accuse come probabili, se non vere (e gli europei furono molto più aggressivi rispetto agli americani), e quando le prove della messa in scena emersero,  cessarono di riferire in merito all’incidente, lasciando gli israeliani tra diffamazione e silenzio.

Le accuse di avvelenamento costituirono il primo chiaro caso di Pallywood: l’atrocità messa in scena dagli attivisti palestinesi per raffigurare gli israeliani avvelenatori di innocenti,  immediatamente sottoscritta da stampa locale e straniera.

“Questa è la storia della manifestazione straordinaria di una moderna “calunnia del sangue”  contro gli ebrei e Israele, che ha coinvolto non solo arabi e musulmani, ma anche i media europei e le organizzazioni del mondo….”  Poison, Raphael Israeli

La prima Intifada, 1987-1991

Durante la prima Intifada, i media trasformarono la Cisgiordania in una frenesia di brutalità israeliana in contrasto a quella molto spesso definita  “resistenza non-violenta”. Per la prima volta si evidenzio’ una collaborazione aperta tra cameramen, informati in precedenza del verificarsi dei fatti o che pagavano per le sequenze d’azione che avrebbero poi potuto fotografare.

Le autorità israeliane rese insicure dall’ostilità della stampa ostile e incerte su come fermare la violenza, chiusero, in certi momenti, i territori alla stampa estera. Spesso, mentre gli inviati delle testate estere cenavano o consumavano  i loro drinks all’Hotel American Colony a Gerusalemme Est, le telecamere palestinesi preparavano per loro filmati d’azione. Fu probabilmente la prima volta che i palestinesi ebbero a disposizione le apparecchiature occidentali e furono in grado di alimentare le immagini dei notiziari delle agenzie con le loro “scene di strada” .

In tempi recenti un numero crescente di articoli web e di giornale hanno descritto e denunciato la manipolazione dei media da parte dei palestinesi e il pregiudizio anti-Israele di molti media occidentali. Il regista palestinese, produttore di “Jenin, Jenin” ha ammesso, ad esempio, di aver falsificato delle scene del suo documentario, allo scopo di demonizzare Israele.

Jeff Helmreich ha pubblicato un modello di violazione della deontologia giornalistica da parte dei media che trattano del conflitto.

– In un’intervista multimediale l’analista David Bedein ha sostenuto che negli ultimi venti anni i palestinesi hanno battuto gli israeliani nella propaganda a uso dei media del mondo.

Josh Muravchik ha denunciato il pessimo lavoro dei media occidentali nell’informare in merito all’intifada e il meccanismo nel riportare il conflitto in modo da avvantaggiare le società autoritarie.

Stephanie Gutmann, in “The Other War: israeliani, palestinesi e la lotta per la supremazia dei Media”, sostiene che Israele si è dibattuto in un campo di battaglia fatto di pagine editoriali, schermi televisivi e Internet

La seconda  Intifada “Al Aqsa”, ottobre 2000-2004

Lo scoppio della seconda tornata di violenze palestinesi contro Israele prese avvio, ironia della sorte, a seguito dei negoziati di pace nei quali, secondo le fonti più accreditate, gli israeliani offrirono la maggior parte della Cisgiordania e tutta la Striscia di Gaza (compresa l’evacuazione degli insediamenti) in cambio della pace. Per un breve momento Barak e gli israeliani godettero di qualche simpatia sulla scena mondiale e Arafat si trovo’ in un raro stato di disapprovazione. Ma una volta che la violenza scoppio’ e Israele poté essere incolpato e, in particolare, dopo che le immagini di Muhamed al Durah (la più gigantesca frode mai messa in atto) furono  mostrate dalle televisioni di tutto il mondo, l’opinione pubblica si sposto’ drammaticamente.

Forse il modo migliore per capire come Pallywood fu in grado di avere tanto successo in quella fase è quello di esaminare cio’ che successe il 29 settembre 2000, il giorno dopo che Sharon visito’ il Monte del Tempio / Haram al Sharif. Quel giorno, le agenzie di stampa riferirono di violenti scontri tra le truppe israeliane e i palestinesi infuriati per la visita. L’Amministrazione palestinese pubblico’ la fotografia di un uomo giovane, sanguinante e in ginocchio. Di fronte a lui un israeliano che brandiva un bastone. Non ci voleva un esperto per capire che qualcosa non andava. Non ci sono stazioni di rifornimento da nessuna parte vicino al Monte del Tempio, quindi la collocazione era chiaramente falsa.

Ma non si trattava di semplice collocazione errata del fatto e uno sguardo più attento suggeri’ che il soldato israeliano sembrava urlare a qualcuno che si trovasse oltre il ferito. L’uomo nella foto non era un palestinese, ma un Ebreo americano, un seminarista, che fu trascinato fuori dalla sua auto da una folla inferocita e quasi picchiato e pugnalato a morte. (Trascorse mesi in ospedale per riprendersi.) Era Tuvya Grossman. Il poliziotto israeliano non lo stava picchiando, ma proteggendo dalla folla. Il New York Times, senza controllare i fatti, pubblico’ l’immagine con la falsa didascalia.

Cio’ illustra benissimo il problema delle aspettative paradigmatiche che influenzano ciò che vediamo e come lo assimiliamo. La didascalia riscrive la storia: aggressivo israeliano attacca brutalmente disarmato palestinese nel terzo luogo santo all’Islam.

Esiste un equivalente israeliano di Pallywood?

“Anche gli israeliani diffondono notizie costruite?” I Media di ogni paese giocano su un margine di giudizio che renda le notizie presentabili al pubblico. Ci sono analisti che sostengono che Israele è di gran lunga superiore nel manipolare i mezzi di comunicazione: – Delinda C. Hanley, News Editor del Rapporto Washington  per gli affari in ​​Medio Oriente, sostiene che Israele  è riuscito a dare l’immagine, nei media americani, delle vittime (i palestinesi) come aggressori.

Il “morto resuscitato”

– Alison Weir, fondatrice di If American Knew,  sostiene che i media occidentali, in particolare americani, sono stati costantemente pro-israeliani nella copertura del conflitto. Lei lo chiama “un modello pervasivo di distorsione.”

– Daniel Dor, della Tel Aviv University, in “Intifada Head the Headlines,” (2004) sostiene che la stampa israeliana si è allineata con la propaganda dell’establishment israeliano. In tempi di conflitto la stampa nelle democrazie liberali svolge un “ruolo non del tutto dissimile da quello della stampa in paesi non democratici.” (Pagina 168)

Ma le differenze sono così grandi da richiedere una particolare attenzione a questo problema: – Gli israeliani non fabbricano immagini di feriti; al contrario, tabù profondi impediscono di pubblicare le immagini di cadaveri. – Gli israeliani non mostrano costantemente immagini destinate a suscitare l’odio, a differenza dei palestinesi. Basta confrontare la copertura data in Israele per le immagini orrende del linciaggio di Ramallah 12 OTTOBRE 2000 con la ripetizione costante in TV e nei programmi scolastici palestinesi delle riprese e delle ricostruzioni della storia di Muhamed Al Durah, due settimane prima.

– La stampa israeliana è una delle più autocritiche nel mondo. Errori raramente passano inosservati o taciuti. Quando l’esercito israeliano ha accusato le Nazioni Unite di usare le loro ambulanze per spostare missili Qassam e non è riuscito a fornirne la prova, la stampa israeliana ha denunciato l’errore bruscamente: “Israele si è comportato con fretta sconsiderata e ha ferito con le sue pretese di superiorità , perdendo in  credibilità. ”

Non vi è alcun equivalente nella stampa palestinese  di giornalisti come Gideon Levy e Amirah Hass, di Ha-Aretz . Elementi di auto-critica sono, per la maggior parte dei casi, assenti nei media arabi.

– Anche le organizzazioni denunciate dall’altra parte come “di propaganda”, ad esempio Palestinian Media Watch e MEMRI, sono scrupolosamente oneste nelle traduzioni del materiale che pubblicano dal mondo arabo  e prestano attenzione a non pubblicare solo i fatti negativi ma anche quelli positivi.

– Per rendere il confronto “equilibrato”  manca una distinzione importante tra le critiche ad una stampa libera in Israele e  le intimidazioni e i contenuti di propaganda della stampa araba diffusa in società autoritarie. Se non si riesce a capire queste differenze, non si può comprendere il valore e l’importanza dell’ auto-critica della stampa libera  che sostiene la società civile. La tolleranza per la critica e per i punti di vista diversi segna l’impegno verso la società civile.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE denunciare Pallywood?

– Pallywood distorce l’opinione pubblica occidentale e del Medio Oriente .

– Aggrava la narrativa vittima  / carnefice, dominante nell’Europa occidentale e nei media Medio Orientali, che prolunga il conflitto

– Perpetua la narrativa (palestinese) Davide Vs Golia (Israele) .

– Contribuisce alla demonizzazione di Israele / aumento di antisemitismo

– Con il suo drammaticismo, Pallywood porta alla romanticizzazione occidentale della lotta palestinese e alla giustificazione dei metodi più atroci per raggiungere i loro scopi.

“Sono belle, altamente qualificate e mortali. Sono le donne kamikaze. “Rivista New Idea  Australia, 7 aprile 2003.

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Il castello delle menzogne, piano piano, crolla

E’ stata una delle foto più condivise durante l’operazione “Pillar of Defense” del   novembre 2012.

La morte di un neonato è sempre terribile e mostrare il suo cadavere non lascia indifferenti i lettori. E i principali media mondiali non si sono lasciati scappare la notizia: Washington Post, il Daily Mail, il Sun, il Telegraph, l’Huffington Post, MSN, Yahoo, CBC News, e, ovviamente, la BBC e il Guardian, fra gli altri. Come dire: il mondo dell’informazione.

L’accusa: Israele ha sparato un missile su una abitazione ad est di Gaza, che ha ucciso un bambino di 11 mesi, figlio del corrispondente della BBC Arabic Jihad Misharawi, nonché sua cognata (anche il fratello di Misharawi sarebbe perito in seguito a causa delle ferite riportate nell’esplosione).

Ecco quello che riportava Roy Greenslade, del Guardian, il 15 novembre: «Un bambino di 11 mesi, figlio di un corrispondente della BBC, è stato ucciso ieri durante un attacco aereo dell’aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza».

E questa è la versione dello stesso giorno di Paul Owens e Tom McCarthy, del Guardian:

«Si è aperta una dolorosa nuova faida sui social media da giovedì, quando sono iniziate a circolare immagini di bambini morti o feriti durante il conflitto a Gaza. Hanno circolato le foto di Omar, il figlio di 11 mesi di Jihad Misharawi, ucciso mercoledì durante un attacco israeliano. Anche la cognata di Misharawi è rimasta uccisa nell’attacco di Gaza, mentre il fratello del bambino è rimasto gravemente ferito».

La foto all’articolo della Sherwood, del The Guardian. La didascalia “Militante del futuro?”

Più avanti, l’11 dicembre, in un aggiornamento sulle conseguenze del conflitto, così riportava Harriet Sherwood: «Dopo otto giorni di conflitto, ancora una volta è stata raggiunta una pace precaria fra Israele e Gaza. Hamas è in festa, ma per la gente comune non c’è motivo per festeggiare, fra le rovine di una città distrutta». E nella didascalia della foto che accompagnava l’articolo: «Jihad Misharawi piange mentre trattiene il corpo di suo figlio Omar, di 11 mesi, ucciso da un attacco israeliano».

Ovviamente, la morte di un neonato è sempre una orribile tragedia e nessuno può rimanere insensibile di fronte al dolore inimmaginabile di Jihad Misharawi.Tuttavia, come ogni fatto ritenuto degno di attenzione per il giornalismo professionale, i fatti contano; e in tanti nella blogosfera hanno avanzati seri dubbi sulla veridicità di questa notizia.

Elder of Ziyon and BBC Watch, fra gli altri blog (a suo tempo il Borghesino mostrò tutto il campionario delle vigliacche mistificazioni di Hamas, NdT), sono stati fra coloro che hanno esaminato i fatti e sostenuto la possibilità che Omar Misharawi fosse stato ucciso da un missile palestinese difettoso.

Elder ha fatto rilevare che «il foro nel soffitto sembrava molto simile a quello che lasciano i missili Qassam quanto colpiscono le abitazioni israeliane, e che le foto della casa nella quale è perito il bambino erano decisamente diverse da quelle colpite a Gaza dall’aviazione israeliana.

Hadar Sela, di BBC Watch, fece rilevare, il 25 novembre, che “la BBC ha ostinatamente evitato di condurre qualunque tipo di verifica sull’esistenza di bambini palestinesi uccisi o feriti da non meno di 152 missili palestinesi caduti accedentalmente in territorio gazano durante il conflitto». Il loro scetticismo risultava fondato.

Il 6 marzo l’UNHRC ha fornito l’anticipazione di un rapporto sul conflitto di novembre. Elder of Zyion ha avuto modo di accedere al documento. A pagina 14, un’inchiesta delle Nazioni Unite ha accertato che «il 14 novembre una donna, il suo bambino di 11 mesi e un ragazzo di 18 anni di Al-Zaitoun sono rimasti vittima di un missile palestinese ricaduto prima di giungere in Israele». E’ stato un missile palestinese ad aver ucciso il piccolo Omar, Hiba (la cognata di Jihad) e Ahmed (il fratellino di Omar, inizialmente gravemente ferito). Che la BBC, il Guardian o altre testate sentano il bisogno di rettificare i loro resoconti, rimarcando che furono i terroristi palestinesi, e non l’IDF, ad uccidere Omar, Hiba e Ahmed Misharawi, o che non lo facciano; Sela rileva che:

«E’ impossibile neutralizzare il danno provocato dalla BBC con questa notizia. Nessuna rettifica o offerta di scuse potrà cancellarla da Internet o dalla memoria di innumerevoli persone che a suo tempo l’hanno letta o sentita».

Sela, nel suo post del 25 novembre, sostenne che «la tragica vicenda di Omar Misharawi è stato usata e abusata per alimentare una propaganda secondo la quale Israele sarebbe un assassino di bambini».

In altre parole, a prescindere dal fatto che nuovi fatti resi noti contraddicano le conclusioni originarie, niente è appreso: la retorica letale riguardante la “cattiveria” dello stato ebraico continuerà indisturbata. E nulla cambierà.

Articolo originale QUI

Se tutto fa brodo…

Questa è fresca fresca di quasi giornata. E’ apparsa su una pagina Facebook chiamata “Tous avec Bachar El Assad” , Tutti con Bashar El Assad, e questo già sarebbe sufficiente a inquadrare l’ambiente.

La didascalia che accompagnava la foto recitava:

Ca s’est passé hier à Jérusalem / AL QODS… sans commentaire… Hier dans les rues de Jérusalem,en Palestine occupée une femme s’est fait agressée,par les passants juifs qui tentent de lui arracher son châle, le sionisme est une idéologie racialiste criminel qui façonnent ses enfants d’un conditionnement criminel pour couvrir illégitimité de la création “israelienne”

E’ successo ieri a Gerusalemme/Al Qods (N.d.R. Al Qods è il nome arabo di Gerusalemme)… senza parole…. Ieri, nelle strade di Gerusalemme, nella Palestina occupata (!!!), una donna è stata aggredita da passanti Ebrei che hanno tentato di strapparle il velo, il sionismo è un’ideologia razzista criminale che condiziona i suoi bambini in modo criminale per coprire l’illegittimità della creazione “israeliana”.

I commenti, pur a una nota cosi’ sgrammaticata e a una foto che non racconta nulla se non la pervicace volontà di demonizzare un popolo intero, sono immaginabili: “Sionisti bastardi” ; “Vergogna” ; “Maiali”; “Maledetti”; “Quando i porci e le scimmie osano alzare le loro sudice mani su una donna indifesa, dov’è la Umma?” ; “I sionisti sono sempre stati barbari e assassini” ; “Israele è la sola ignominia in Medio Oriente” ; “Questo è lo spirito di IsraHeil..” e via cosi’. Abbas è definito un traditore che tratta con “Gli Ebrei per soldi’”.

La malafede è palese. In Israele vivono più di un milione e mezzo di musulmani. Arabi ed Ebrei, specialmente a Gerusalemme, vivono fianco a fianco, condividendo ogni momento della giornata. Se davvero un velo musulmano suscitasse la meraviglia o l’indignazione o la rabbia di Ebrei, ci sarebbero risse continue a ogni angolo di strada.

Vita quotidiana a Gerusalemme

E infatti…. La realtà è un po’ diversa.

Chi ha attaccato chi? E perché è stata diffusa una sola immagine tra quelle che erano disponibili? Possibile che anche un litigio qualsiasi tra donne, come ce ne sono in ogni momento, in ogni città del mondo, debba essere sfruttato a fini propagandistici?

E questi chi sono? Marziani? No, semplicemente cittadini di Gerusalemme

Non è più triste e violenta questa foto che quella di una lite tra donne?

I miracoli di Pallywood

Una foto orribile, che evoca le peggiori macabre fantasie. Un tweet che la accompagna e il gioco è fatto. “Un bimbo palestinese lava il sangue di suo fratello” ci dice ramrom67. E i tags ci mettono subito nella direzione sperata: “Gaza, Gaza Under Attack, Terrorist Israel”. E’ il marzo 2012

 

La foto che il tweet indica è questa

 

Ma qualcuno supera l’orrore istintivo e si mette a cercare verifiche. E le trova. Non è Gaza, non è sangue umano. L’unica cosa vera è che il bambino è un palestinese. Un palestinese di Hevron che il 20 giugno 2011, aiutava a pulire il mattatoio di proprietà dei genitori.

Visto? In pochi mesi una mucca diventa un essere umano! Miracoli di Pallywood!

“Ho creduto alle cose che mi venivano dette…” il falso massacro di Jenin

Quando vi diranno con l’aria di chi la sa lunga: “Guardati Jenin Jenin”, fate leggere questo...

7 maggio 2012, di Aaron Klein

Il regista arabo israeliano Muhammad Bakri, autore del documentario “Jenin, Jenin” che accusava Israele di genocidio e crimini di guerra, ha ammesso in una deposizione la scorsa settimana d’aver falsificato alcune scene usando informazioni sbagliate e d’aver ricevuto finanziamenti da parte dell’Autorità Palestinese per la produzione del film diffamatorio. Il regista e produttore del celebre film, che accusava i militari israeliani d’aver commesso atrocità inaudite nel campo profughi di Jenin nell’aprile 2002, deponendo in tribunale nel corso di un processo per diffamazione ha riconosciuto che in tutto il film sono presenti errori e artifici.

 

Il regista deve difendersi dalla querela di cinque soldati israeliani che hanno combattuto a Jenin e i cui volti sono riconoscibili nelle sequenze del documentario che accusa i militari d’aver ucciso “un grande numero di civili”, mutilato corpi di palestinesi, eseguito esecuzioni a casaccio, bombardato donne bambini e disabili psico-fisici, e d’aver spianato l’intero campo profughi compresa un’ala del locale ospedale. Il documentario non mostra nessuna immagine delle presunte atrocità, ma in alcune sequenze i volti dei soldati (che hanno querelato Bakri) vengono soprapposti a presunte “testimonianze oculari” con la chiara indicazione di indicarli come colpevoli di “crimini di guerra”.

Ora però Bakri ammette d’aver “prestato fede” a testimonianze selezionate senza procedere a nessun controllo sulle informazioni che gli venivano fornite. “Ho creduto alle cose che mi venivano dette. Le cose a cui non ho creduto non sono state incluse nel film”, ha spiegato il regista.

 

Ad una domanda relativa alla scena del film in cui si lascia intendere che truppe israeliane siano passate con i loro mezzi sopra civili palestinesi, Bakri ha ammesso d’aver costruito la sequenza come sua propria “scelta artistica”. Alla domanda se crede davvero che “durante le operazioni a Jenin soldati israeliani abbiano ucciso la gente in modo indiscriminato”, Bakri ha risposto “No, non lo credo”. La parte forse più clamorosa della deposizione è giunta quando Bakri ha ammesso che il suo documentario, proiettato nei cinema di tutto il mondo, è stato finanziato dall’Autorità Palestinese, spiegando che “parte delle spese per il film sono state coperte da Yasser Abed Rabu, allora ministro palestinese per la cultura e l’informazione nonché membro del comitato esecutivo dell’Olp sotto la direzione dell’allora leader palestinese Yasser Arafat.

Nell’aprile del 2002 le truppe israeliane entrarono a Jenin nel quadro dell’Operazione Scudo Difensivo volta a fermare la sequela ormai quotidiana di attentati suicidi ad opera di Hamas, Jihad Islamica e Brigate Martiri di Al Aqsa. Israele inviò unità di fanteria alla ricerca di terroristi casa per casa anziché colpire da lontano la “culla” degli attentatori: una scelta che costò la vita a 23 riservisti uccisi da imboscate, cecchini e trappole esplosive palestinesi. Subito dopo la fine dei combattimenti venne fatta circolare dalla dirigenza palestinese l’accusa che Israele avesse commesso un deliberato massacro a sangue freddo di più di 500 civili indifesi. Successivamente è stato appurato che i morti palestinesi nei durissimi combattimenti erano stati 53, per la maggior parte armati. Resoconti di stampa, prove documentarie, indagini di enti governati, non governativi e di organizzazioni umanitarie hanno presto dimostrato che non aveva avuto luogo nessun massacro di civili.

Il film di Bakri mostra diversi “testimoni” che descrivono “brutalità” da parte delle Forze di Difesa israeliane, sostenendo che Israele avrebbe aggredito e ucciso “numerosissimi” palestinesi con carri armati, aerei e cecchini. L’autore tuttavia si guarda bene dall’indicare chiaramente quale dovrebbe essere, secondo lui, il numero esatto di palestinesi uccisi.

Pierre Rehov, filmmaker francese che ha girato sei documentari sull’intifada entrando sotto copertura nelle zone palestinesi

Nel frattempo un altro film, “The Road To Jenin” di Pierre Rehov, è giunto a smentire le accuse di Bakri. Una di queste era che Israele avrebbe sparato undici missili contro l’ospedale di Jenin spianandone un’intera ala con tutti i pazienti all’interno, e che non avrebbe nemmeno permesso al personale di soccorso di accedere alla zona. Il direttore dell’ospedale, dottor Mustafa Abo Gali, dice al pubblico del film di Bakri: “Tutta l’ala ovest è stata distrutta. Caccia militari lanciavano i loro missili ogni tre minuti”. Bakri non si prese la briga di controllare. Ma quando Rehov intervistò lo stesso dottor Gali per il suo film e si fece mostrare le dimensioni dei danni, tutto ciò che questi poté mostrare fu un modesto buco sull’esterno dell’ala ovest, completamente intatta.

 

Rehov fornisce anche le immagini aeree dell’ospedale prese l’ultimo giorno della battaglia di Jenin in cui si vede che tutte le sezioni dell’edificio sono normalmente in piedi. Circa l’accusa di Bakri per cui alle ambulanze non fu permesso di raggiungere la zona, il dottor David Zangen, capo ufficiale medico delle Forze di Difesa israeliane durante l’azione a Jenin, racconta a Rehov come i soldati israeliani hanno soccorso molti combattenti palestinesi feriti, compresi quelli di Hamas. Rehov mostra persino un soldato israeliano che autorizza Gali in persona a ricevere tutto il materiale medico di cui ha bisogno per il suo ospedale. “Anche lo spettatore più distratto – ha scritto Tamar Sternthal, del Committee for Accuracy in Reporting in the Middle East – si accorgerebbe delle evidenti incongruenze delle presunte testimonianze su cui fa affidamento Bakri”.

Bakri sostiene che i soldati avrebbero sparato a una mano di un inerme abitante palestinese, Ali Youssef, per poi sparargli anche alle gambe. Ma Rehov ha rintracciato Youssef e nel suo film rivela che questi venne ferito a una mano mentre stava dentro a un edificio insieme a terroristi armati di Hamas. Medici israeliani medicarono la ferita di Youssef, gli riscontrarono un difetto congenito al cuore e lo inviarono in Israele perché fosse curato nell’ospedale di Afula. Dalle cartelle cliniche dell’ospedale si rileva che Youssef non è mai stato ferito alle gambe.

Secondo Zangen, Bakri fa ampio ricorso a tecniche filmiche ingannevoli per creare il mito del massacro a freddo, cosa che ora Bakri ammette nella sua deposizione.

Zangen cita ad esempio la scena di un tank che si dirige verso una folla. La scena quindi si oscura, lasciando la falsa impressione che quella gente sia stata uccisa. Inoltre Bakri, che in nessun momento della battaglia è stato sul posto a filmare, ingannevolmente giustappone le immagini di tank israeliani e quelle di tiratori scelti in posizione di tiro ad immagini di BAMBINI PALESTINESI: altra circostanza ammessa da Bakri nella sua deposizione.

Alcune di queste immagini giustapposte includono i cinque soldati riservisti che hanno querelato l’autore davanti a un tribunale di Tel Aviv. I cinque accusano Bakri d’averli falsamente accusati di crimini di guerra e spiegano che, oltretutto, nella loro professione civile hanno frequenti contatti con palestinesi che ora potrebbero riconoscere i loro volti per averli visti nel diffamatorio documentario di Bakri, cosa che mette a repentaglio la loro attività professionale e la loro stessa vita.

Aaron Klein

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