Archivio mensile:marzo 2013

Palestina! Ah no, è il Cile!

Lo sappiamo, pubblicare foto che suscitino emozioni è uno dei modi più diretti per far arrivare un “messaggio” a un pubblico vasto. Davanti a una foto esplicita, anche il lettore meno sensibile e politicizzato non puo’ restare indifferente. La foto è un’arma di propaganda utilissima ed efficacissima. Lo sa anche Arianna Editrice che il 27 marzo, sulla sua pagina Facebbok, pubblica questa:

Con un’unica didascalia di accompagnamento: Palestina.

Intanto, chi è Arianna Editrice? Sulla pagina Face Book, a informazioni si legge:

Pubblichiamo dal 1998 studi e ricerche in forma saggistica, che propongono analisi e indagini autorevoli, approfondite e documentate del mondo in cui viviamo, con particolare attenzione al rapporto tra uomo e natura, affrontando temi e argomenti culturali, sociali, politici, economici e storici. Testimoni di una crisi planetaria che avvilisce e impoverisce l’essere umano, i popoli e il Pianeta Terra, proponiamo differenti stili di vita e cultura, ispirati alla sobrietà e al senso del limite, con una vocazione pluralista.

Fuori da schemi e confini ideologici, che limitano la nostra libertà di scelta, indipendenza di giudizio e consapevolezza, offriamo un ampio spettro di autori non conformisti, che si sforzano di percorrere e proporre vie inusuali e non ortodosse.

Per questo ci identifichiamo con un modello comunitario che cerca di comprendere la complessità della condizione contemporanea, proponendo relazioni sociali antiutilitaristiche, basate sulla partecipazione e il dono, l’autosufficienza economica e finanziaria, la sostenibilità con energie rinnovabili e tecnologie appropriate.

La nostra proposta editoriale si propone di offrire – in forma rigorosa, ma divulgativa e possibilmente economica – gli strumenti per scoprire le cause che hanno prodotto l’attuale stile di vita dissipativo e consumista e, contemporaneamente, esplorare le possibili soluzioni ecologiche legate a un paradigma olistico.

La sede di Arianna Editrice (appoggiata a una catena distributiva, Macrolibrarsi) è a Bologna . Arianna pubblica testi di medicina alternativa, libri su cospirazioni varie, saggi sulla decrescita e su forme di illuminazione interna, pamphlet contro il “signoraggio bancario”. Diffonde quotidianamente un bollettino in rete, in cui hanno ampio spazio il negazionismo dell’Olocausto, le tesi sul superamento delle distinzioni tra destra e sinistra, la geopolitica di impostazione “eurasiatica”. Arianna Edistrice va di pari passo con  Aurora Sito, di Alex Lattanzio, redattore della Rivista Eurasia.

“Le argomentazioni de La Nazione Eurasia ruotano attorno alla particolare visione dell’ “eurasiatismo”, che rifiuta il concetto di “Occidente” da Los Angeles a Tokio passando per Roma, contrapponendogli anzi l’intima unita’ spirituale e geopolitica dell’Eurasia. L’obiettivo della rivista è di propagandare l’idea di un’Europa Unita politicamente, spiritualmente e militarmente da Dublino a Vladivostok, un’Europa che si ponga come alternativa all’Occidente abbracciando i valori della tradizione, della difesa di tutte le culture e civilta’, e opponendo alla barbarie capitalista una nuova societa’ comunitaria”. Tra gli articolisti i soliti nomi della galassia comunitarista.

Nel 2006, Arianna Editrice pubblico’ un articolo nel quale sosteneva:

1) che predicare, come fa Ahmadinejad , la distruzione di Israele non è antisemitismo 2) che Ahmadinejad ha ragione quando accusa i sionisti di aver utilizzato la memoria della Shoah per “giustificare” i loro crimini 3) che la Shoah fu un complotto sionista.

Questo il milieu politico, a grandi linee. E veniamo alla foto. Quella che è spacciata per “Palestina” è in realtà il Cile. Si tratta di una manifestazione di studenti cileni, il 3 agosto 2011.

i link che confermano:

http://www.diario-octubre.com/2012/08/09/protesta-en-chile-deja-75-estudiantes-detenidos-y-49-policias-heridos/

http://www.taringa.net/posts/ciencia-educacion/13089907/Movimiento-estudiantil-chileno-2011.html

http://www.radiomercosur.com/noticias/SANTIAGO_El_movimiento_estudiantil_chileno_vuelve_a_salir_a_las_calles_09_08_2012_2012_08_09

http://foro.tierrasdelsur.cc/foro/showthread.php?122855-Brutal-Represion-a-Estudiantes-Secundarios-Universitarios-en-Chile

http://www.cerebropublico.cl/cidh-rechaza-represion-desproporcionada-de-carabineros-contra-estudiantes

http://agridulce.com.mx/blog/crece-la-represion-en-contra-de-los-estudiantes-en-chile/

http://www.aporrea.org/ddhh/n212188.html

http://gmolate.tumblr.com/post/8493282015/carabineros-hijos-de-puta

http://night-crystal.blogspot.co.il/2012/08/suteptrujillo-chile-el-neoliberalismo.html

E cosi’ via…. Per questa volta vi è andata male. Ma non dubitiamo, ci riproverete.

 

Update: 01/07/2013 La foto risulta tolta, non è più disponibile

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Sono le sviste della stampa!

Eh le sviste della stampa! Durante la campagna elettorale che precedette le ultime elezioni politiche in Israele, il 22 gennaio scorso, la maggior parte della stampa mondiale si era affannata a prevedere il “governo più a destra mai visto“, un “governo più aggressivo e a favore dei coloni”, “il governo più a destra e senza compromessi che il Paese abbia mai visto”….The Guardian fece poi ammenda: il mantra della decisa svolta a destra che aveva ripetuto per tutto il periodo pre-votazioni si era rivelato errato.

Peccato! Era cosi’ allettante l’idea di una Israele che sprofondava definitivamente nel baratro della destra estrema! Errori di calcolo, desideri irrealizzati. Ma oggi, 18 marzo, mentre Israele attende l’arrivo del Presidente americano Obama, The Guardian con il suo editoriale “Obama in Israele, aspettando Godot“, lamenta “oscure prospettive” per i colloqui di pace e ricade in un’altra svista: dimentica di citare un membro del nuovo Governo!

Raramente un capo di Stato americano in visita in Israele si è trovato al centro di simili aspettative. In contemporanea all’arrivo di Obama, il governo di Benjamin Netanyahu presterà giuramento. La coalizione è composta dal blocco Likud-Israel Beytenu, da Yesh Atid, fondato dal personaggio televisivo Yair Lapid e dal Jewish Home, un partito legato al movimento dei coloni della West Bank, guidato da Naftali’ Bennet. La coalizione sembra particolarmente adatta a trattare le questioni interne, come ad esempio l’esenzione dal servizio militare concessa agli ultra-ortodossi. Ma completamente inadatta a sbrogliare la questione dell’occupazione della Cisgiordania.

Forse l’impressione del The Guardian deriva dall’aver dimenticato uno dei  partiti di coalizione? Tzipi Livni e il suo partito Hatnua sono sfuggiti all’articolista. Eppure proprio sul The Guardian del 14 marzo, Phoebe Greenwood riportava correttamente la lista dei partiti di coalizione.

La Greenwood aveva riferito che l’ex ministro degli Esteri del governo Olmert sarà a capo di un piccolo team che si occuperà proprio dei colloqui di pace israelo/palestinesi. Certo, ricordare la presenza della Livni avrebbe schiarito un po’ le fosche tinte con le quali The Guardian ha voluto dipingere questo incontro tra Netanyahu e il Presidente americano Obama. O forse è stata un’innocente dimenticanza. Del resto al The Guardian ogni tanto succede di confondersi. Come quado scrisse che la capitale di Israele è Tel Aviv.

Ma non stiamo a sottilizzare! Sono le sviste della stampa!

Articolo originale QUI

Pallywood, mon amour!

Il termine “Pallywood” si riferisce alle costruzioni giornalistiche, allestite da giornalisti arabi e occidentali, finalizzate a presentare i palestinesi come vittime inermi dell’aggressione israeliana. In alcuni casi Pallywood mette in scena veri e propri stage cinematografici nei quali i “fatti” sono inventati di sana pianta, secondo un copione accuratamente predisposto. Cio’ è possibile (o lo è stato finora) per la credulità della stampa occidentale e per il suo desiderio  di presentare  immagini capaci di rafforzare il mito del palestinese/ David che si batte valorosamente contro la sopraffazione di Golia/ israeliano.

Con Pallywood gli standard giornalistici sono caduti a livelli da “spaghetti western” e le messe in scena sono assurte al rango di  “eventi reali.”

1982: l’invasione del Libano

I primi chiari segnali di una emergente “industria Pallywood” risalgono all’invasione del Libano, del 1982. Lì, per la prima volta, i media sembrarono abbracciare quell’atteggiamento apertamente ostile nei confronti di Israele che porto’ Norman Podhoretz a scrivere un articolo molto discusso, dal titolo “J’Accuse”, nel quale accusava i principali media di ” antisemitismo” (su Commentary, febbraio 1983).

Podhoretz denuncio’ che: 

– Utilizzando il fratello di Arafat, Fathi Arafat, capo della Mezzaluna Rossa Palestinese, le fonti palestinesi dichiararono 10.000 morti e 600.000 profughi causati dall’attacco israeliano. Senza verificare la  notizia (all’epoca nel sud del Libano vivevano 300.000 persone), i mezzi di comunicazione ripetettero costantemente questi dati, fino a che divennero universalmente accettati.

– I giornalisti paragonarono l’assedio di Beirut a quello nazista di Varsavia. Difficile trovare un paragone più inappropriato, ma l’analogia tra israeliani e nazisti sembro’ avere un richiamo quasi irresistibile per alcuni giornalisti. Tra i più aggressivi, Peter Jennings.

– Furono utilizzate immagini chiaramente false, atte a screditare l’esercito israeliano, comprese quelle delle zone devastate dalla guerra civile tra palestinesi e libanesi, bambini morti che non erano morti, ecc (pp. 353-389).

– I massacri di Sabra e Shatila furono riportati in modo che nell’opinione pubblica si formasse la convinzione che fossero stati i soldati israeliani ad aver massacrato i profughi palestinesi, omettendo di informare in merito alle motivazioni della Falange maronita, responsabile dell’attacco.

Tutti conoscono la storia di Sabra e Shatila, ma solo di recente si è cominciato a sentir parlare del Darfur. Il netto contrasto tra le centinaia di morti di Sabra e Shatila e i più di diecimila di Hama, città nel centro della Siria, lo stesso anno, illustra quanto la propensione dei media sia di  accentrare l’attenzione sui misfatti, non importa se veri o presunti, di Israele e quanto sia forte il potere di intimidazione che di fatto impedisce ai giornalisti di accedere e riportare notizie in merito ai crimini arabi (v. Friedman, da Beirut a Gerusalemme, cap. 4.)

– La riluttanza della stampa – in particolare da parte dei giornalisti “residenti” a rivelare il grado di brutalità dell’OLP come “Stato nello Stato” nel sud del Libano (vedi pp 219-278).

I palestinesi davanti all’entusiasmo della stampa occidentale nel riferire il peggio degli israeliani per evitare di informare in merito al peggio dei palestinesi, alla suscettibilità all’intimidazione e all’assassinio di giornalisti invisi all’OLP, agli standard molto scadenti nel vagliare e verificare le fonti e i fatti,  compresero chiaramente di avere un valido alleato nei media occidentali e nei giornalisti installati presso l’hotel Commodore – (Chafets, Double Vision, capitolo 6.).

Avvelenamento di Studentesse palestinesi, Jenin (Cisgiordania), marzo, 1983

Un anno dopo la debacle dei media libanesi, Israele fu fatto oggetto di un falso premeditato, diffuso poi ampiamente  : un certo numero di ragazze palestinesi di una  scuola media dichiararono di essere state avvelenate da “gli israeliani.” La storia divento’ subito uno scandalo internazionale. Ogni Paese invento’ una tale varietà di dettagli che la storia fini’ per somigliare ad una versione di Rashoman. Nessuno, tuttavia, mise in dubbio la veridicità dell’avvelenamento, né le accuse a Israele. Solo dopo una lunga indagine risulto’ che non c’erano ragazze avvelenate, e che i miliziani dell’OLP avevano incoraggiato e intimidito le ragazze ed i funzionari dell’ospedale affinché confermassero la storia.

Dal punto di vista della copertura mediatica si rivelarono alcune particolarità:

– La stampa israeliana prese sul serio le accuse e solo dopo un esame medico concluse trattarsi di falsi.

– La stampa palestinese e araba dette subito per scontato che la storia fosse vera e la uso’ per incitare all’odio e diffondere la paura degli israeliani. Nonostante la mole delle contro-prove non ci fu nessun  cambiamento nella copertura.

– La stampa occidentale accolse le accuse come probabili, se non vere (e gli europei furono molto più aggressivi rispetto agli americani), e quando le prove della messa in scena emersero,  cessarono di riferire in merito all’incidente, lasciando gli israeliani tra diffamazione e silenzio.

Le accuse di avvelenamento costituirono il primo chiaro caso di Pallywood: l’atrocità messa in scena dagli attivisti palestinesi per raffigurare gli israeliani avvelenatori di innocenti,  immediatamente sottoscritta da stampa locale e straniera.

“Questa è la storia della manifestazione straordinaria di una moderna “calunnia del sangue”  contro gli ebrei e Israele, che ha coinvolto non solo arabi e musulmani, ma anche i media europei e le organizzazioni del mondo….”  Poison, Raphael Israeli

La prima Intifada, 1987-1991

Durante la prima Intifada, i media trasformarono la Cisgiordania in una frenesia di brutalità israeliana in contrasto a quella molto spesso definita  “resistenza non-violenta”. Per la prima volta si evidenzio’ una collaborazione aperta tra cameramen, informati in precedenza del verificarsi dei fatti o che pagavano per le sequenze d’azione che avrebbero poi potuto fotografare.

Le autorità israeliane rese insicure dall’ostilità della stampa ostile e incerte su come fermare la violenza, chiusero, in certi momenti, i territori alla stampa estera. Spesso, mentre gli inviati delle testate estere cenavano o consumavano  i loro drinks all’Hotel American Colony a Gerusalemme Est, le telecamere palestinesi preparavano per loro filmati d’azione. Fu probabilmente la prima volta che i palestinesi ebbero a disposizione le apparecchiature occidentali e furono in grado di alimentare le immagini dei notiziari delle agenzie con le loro “scene di strada” .

In tempi recenti un numero crescente di articoli web e di giornale hanno descritto e denunciato la manipolazione dei media da parte dei palestinesi e il pregiudizio anti-Israele di molti media occidentali. Il regista palestinese, produttore di “Jenin, Jenin” ha ammesso, ad esempio, di aver falsificato delle scene del suo documentario, allo scopo di demonizzare Israele.

Jeff Helmreich ha pubblicato un modello di violazione della deontologia giornalistica da parte dei media che trattano del conflitto.

– In un’intervista multimediale l’analista David Bedein ha sostenuto che negli ultimi venti anni i palestinesi hanno battuto gli israeliani nella propaganda a uso dei media del mondo.

Josh Muravchik ha denunciato il pessimo lavoro dei media occidentali nell’informare in merito all’intifada e il meccanismo nel riportare il conflitto in modo da avvantaggiare le società autoritarie.

Stephanie Gutmann, in “The Other War: israeliani, palestinesi e la lotta per la supremazia dei Media”, sostiene che Israele si è dibattuto in un campo di battaglia fatto di pagine editoriali, schermi televisivi e Internet

La seconda  Intifada “Al Aqsa”, ottobre 2000-2004

Lo scoppio della seconda tornata di violenze palestinesi contro Israele prese avvio, ironia della sorte, a seguito dei negoziati di pace nei quali, secondo le fonti più accreditate, gli israeliani offrirono la maggior parte della Cisgiordania e tutta la Striscia di Gaza (compresa l’evacuazione degli insediamenti) in cambio della pace. Per un breve momento Barak e gli israeliani godettero di qualche simpatia sulla scena mondiale e Arafat si trovo’ in un raro stato di disapprovazione. Ma una volta che la violenza scoppio’ e Israele poté essere incolpato e, in particolare, dopo che le immagini di Muhamed al Durah (la più gigantesca frode mai messa in atto) furono  mostrate dalle televisioni di tutto il mondo, l’opinione pubblica si sposto’ drammaticamente.

Forse il modo migliore per capire come Pallywood fu in grado di avere tanto successo in quella fase è quello di esaminare cio’ che successe il 29 settembre 2000, il giorno dopo che Sharon visito’ il Monte del Tempio / Haram al Sharif. Quel giorno, le agenzie di stampa riferirono di violenti scontri tra le truppe israeliane e i palestinesi infuriati per la visita. L’Amministrazione palestinese pubblico’ la fotografia di un uomo giovane, sanguinante e in ginocchio. Di fronte a lui un israeliano che brandiva un bastone. Non ci voleva un esperto per capire che qualcosa non andava. Non ci sono stazioni di rifornimento da nessuna parte vicino al Monte del Tempio, quindi la collocazione era chiaramente falsa.

Ma non si trattava di semplice collocazione errata del fatto e uno sguardo più attento suggeri’ che il soldato israeliano sembrava urlare a qualcuno che si trovasse oltre il ferito. L’uomo nella foto non era un palestinese, ma un Ebreo americano, un seminarista, che fu trascinato fuori dalla sua auto da una folla inferocita e quasi picchiato e pugnalato a morte. (Trascorse mesi in ospedale per riprendersi.) Era Tuvya Grossman. Il poliziotto israeliano non lo stava picchiando, ma proteggendo dalla folla. Il New York Times, senza controllare i fatti, pubblico’ l’immagine con la falsa didascalia.

Cio’ illustra benissimo il problema delle aspettative paradigmatiche che influenzano ciò che vediamo e come lo assimiliamo. La didascalia riscrive la storia: aggressivo israeliano attacca brutalmente disarmato palestinese nel terzo luogo santo all’Islam.

Esiste un equivalente israeliano di Pallywood?

“Anche gli israeliani diffondono notizie costruite?” I Media di ogni paese giocano su un margine di giudizio che renda le notizie presentabili al pubblico. Ci sono analisti che sostengono che Israele è di gran lunga superiore nel manipolare i mezzi di comunicazione: – Delinda C. Hanley, News Editor del Rapporto Washington  per gli affari in ​​Medio Oriente, sostiene che Israele  è riuscito a dare l’immagine, nei media americani, delle vittime (i palestinesi) come aggressori.

Il “morto resuscitato”

– Alison Weir, fondatrice di If American Knew,  sostiene che i media occidentali, in particolare americani, sono stati costantemente pro-israeliani nella copertura del conflitto. Lei lo chiama “un modello pervasivo di distorsione.”

– Daniel Dor, della Tel Aviv University, in “Intifada Head the Headlines,” (2004) sostiene che la stampa israeliana si è allineata con la propaganda dell’establishment israeliano. In tempi di conflitto la stampa nelle democrazie liberali svolge un “ruolo non del tutto dissimile da quello della stampa in paesi non democratici.” (Pagina 168)

Ma le differenze sono così grandi da richiedere una particolare attenzione a questo problema: – Gli israeliani non fabbricano immagini di feriti; al contrario, tabù profondi impediscono di pubblicare le immagini di cadaveri. – Gli israeliani non mostrano costantemente immagini destinate a suscitare l’odio, a differenza dei palestinesi. Basta confrontare la copertura data in Israele per le immagini orrende del linciaggio di Ramallah 12 OTTOBRE 2000 con la ripetizione costante in TV e nei programmi scolastici palestinesi delle riprese e delle ricostruzioni della storia di Muhamed Al Durah, due settimane prima.

– La stampa israeliana è una delle più autocritiche nel mondo. Errori raramente passano inosservati o taciuti. Quando l’esercito israeliano ha accusato le Nazioni Unite di usare le loro ambulanze per spostare missili Qassam e non è riuscito a fornirne la prova, la stampa israeliana ha denunciato l’errore bruscamente: “Israele si è comportato con fretta sconsiderata e ha ferito con le sue pretese di superiorità , perdendo in  credibilità. ”

Non vi è alcun equivalente nella stampa palestinese  di giornalisti come Gideon Levy e Amirah Hass, di Ha-Aretz . Elementi di auto-critica sono, per la maggior parte dei casi, assenti nei media arabi.

– Anche le organizzazioni denunciate dall’altra parte come “di propaganda”, ad esempio Palestinian Media Watch e MEMRI, sono scrupolosamente oneste nelle traduzioni del materiale che pubblicano dal mondo arabo  e prestano attenzione a non pubblicare solo i fatti negativi ma anche quelli positivi.

– Per rendere il confronto “equilibrato”  manca una distinzione importante tra le critiche ad una stampa libera in Israele e  le intimidazioni e i contenuti di propaganda della stampa araba diffusa in società autoritarie. Se non si riesce a capire queste differenze, non si può comprendere il valore e l’importanza dell’ auto-critica della stampa libera  che sostiene la società civile. La tolleranza per la critica e per i punti di vista diversi segna l’impegno verso la società civile.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE denunciare Pallywood?

– Pallywood distorce l’opinione pubblica occidentale e del Medio Oriente .

– Aggrava la narrativa vittima  / carnefice, dominante nell’Europa occidentale e nei media Medio Orientali, che prolunga il conflitto

– Perpetua la narrativa (palestinese) Davide Vs Golia (Israele) .

– Contribuisce alla demonizzazione di Israele / aumento di antisemitismo

– Con il suo drammaticismo, Pallywood porta alla romanticizzazione occidentale della lotta palestinese e alla giustificazione dei metodi più atroci per raggiungere i loro scopi.

“Sono belle, altamente qualificate e mortali. Sono le donne kamikaze. “Rivista New Idea  Australia, 7 aprile 2003.

Articolo originale QUI

“Più ne ammazzi, più soldi prendi”

Una legge pubblicata nel Registro ufficiale dell’Autorità palestinese, assicura uno stipendio mensile a tutti i Palestinesi e agli arabi israeliani imprigionati in Israele per crimini terroristici. La parola araba utilizzata per questi pagamenti è “Ratib”, “Stipendio”. L’Autorità Palestinese considera i terroristi condannati per omicidio di civili israeliani “prigionieri” :

“Prigionero è chiunque sia imprigionato nelle carceri dell’occupante a causa della sua partecipazione alla lotta contro l’occupazione. ” [Cap. 1 della legge dei prigionieri, 2004/19, approvata e pubblicata dal Presidente dell’Autorità Palestinese al governo, dicembre 2004. Centro Studi per i Prigionieri 9 Maggio 2011]

In altre parole, tutti i palestinesi nelle carceri israeliane per reati terroristici sono ufficialmente iscritti nel libro-paga dell’Amministrazione Palestinese.  Secondo la definizione contenuta nella legge, i ladri d’auto palestinesi in carcere in Israele non ricevevono uno stipendio, ma gli assassini di Hamas ed i terroristi di Fatah si’. Degli stessi benefici usufruiscono gli arabi cittadini israeliani, condannati per reati terroristici contro Israele – anzi, questi ultimi ricevono benefici maggiori di quelli concessi ai terroristi palestinesi. Lo “stipendio” è proporzionale alla pena: più alto è il numero di anni da scontare, più soldi saranno versati. La legge stabilisce che lo “stipendio” decorre dal momento dell’arresto a quello del rilascio.

5500 detenuti palestinesi stanno attualmente scontando nelle carceri israeliane pene per reati di terrorismo. Tra coloro che beneficiano della legge, Abdullah Barghouti, condannato a 67 ergastoli; Hassan Salameh, 38 ergastoli, e Jamal Abu Al-Hijja, nove ergastoli, in carcere per aver pianificato attacchi suicidi. Quali sono i Paesi che contribuiscono con le loro donazioni alla liquidità necessaria a pagare questi “stipendi”?

L’elenco non è esaustivo in quanto si basa esclusivamente sui rapporti dei funzionari dell’Amministrazione Palestinese; in realtà gli aiuti finanziari sono molto maggiori di quelli dichiarati.  Recentemente, l’Unione Europea ha annunciato il trasferimento di 45 milioni di euro per i pagamenti degli stipendi dell’Amministrazione Palestinese: “Una parte di questi 45 milioni di euro è destinata a stipendi e pensioni dei lavoratori, soprattutto medici, infermieri e insegnanti. ” 

Nel novembre 2010, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha annunciato il trasferimento di una sovvenzione supplementare al bilancio generale dell’Amministrazione Palestinese :

“Dopo il trasferimento di $ 150 milioni la somma che l’amministrazione americana trasferirà a titolo di aiuto di bilancio diretto all’Amministrazione Palestinese per il 2010, ammonta a $ 225 milioni. ”  [Al-Hayat Al-Jadida, 11 novembre, 2010]

Anche se Unione europea, Stati Uniti e altri donatori non finanziano  intenzionalmente gli stipendi ai terroristi, il loro finanziamento finisce nel bilancio generale dal quale sono tratti le paghe.

Gli “stipendi” ai terroristi si propongono di:

1 – “Provvedere ai bisogni dei detenuti all’interno delle carceri israeliane ”

2 – Ulteriori vantaggi per i prigionieri liberati

3 – Ulteriori vantaggi per le famiglie dei detenuti

4 – Ulteriori finanziamenti “per esigenze legali dei detenuti”

Destinatari: Tutti i detenuti coinvolti nel terrorismo:

– Tutti i prigionieri, non importa quale sia il loro crimine o quale sia la loro appartenenza ad un gruppo politico / terroristico, ricevono gli stessi stipendi base mensili. Secondo un rapporto del Ministero dei prigionieri, 792 detenuti stanno attualmente scontando l’ergastolo nelle carceri israeliane. Tutti  ricevono uno stipendio.

– Lo stipendio va direttamente al terrorista o alla famiglia del terrorista.

– I detenuti ricevono lo stipendio dal momento del loro arresto.

Salario aggiuntivo:

– Ai detenuti sposati spetta una retribuzione aggiuntiva, così come a quelli con i bambini.

– Gli arabi di Gerusalemme e gli arabi israeliani che sono in carcere per reati di terrorismo, ottenergono una quota aggiuntiva di 300 nuovi Shekel israeliani (NIS) e 500 NIS, rispettivamente.

Donatori & Importi

Unione Europea – € 158.500.000 (fonte Al-Hayat Al-Jadida, 20 Gen 2010)  Gran Bretagna –  60 milioni di sterline (Al-Ayyam, 11 feb 2010)

India -10 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 26 aprile 2010)

Norvegia – 53 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 18 giu 2010)

Francia – € 23.000.000 (Al-Hayat Al-Jadida, 22 giugno, 2010)

Banca mondiale – 40 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 1 Ott 2010)

Giappone – 18,5 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 25 ott 2010)

Unione Europea – 41.400.000 € (Al-Hayat Al-Jadida, 28 ottobre 2010)

Gran Bretagna – 30 milioni di sterline (Al-Hayat Al-Jadida, 28 ottobre 2010)

Stati Uniti – 225 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 11 novembre 2010)

Irlanda- € 1.500.000 (Al-Hayat Al-Jadida, 15 novembre, 2010)

Giappone – 11,9 milioni di dollari (Al-Hayat Al-Jadida, 28 dicembre 2010)

Nella relazione ufficiale dell’Amministrazione Palestinese i detenuti sono chiamati “eroici” e si legge quanto segue:

“I familiari dei detenuti hanno espresso un vivo ringraziamento alla Direzione e al  personale della stazione radiofonica “La Voce dei prigionieri”, tramite il programma ‘On Birds Wings” , in onda su “La voce dei prigionieri”. Questi [ringraziamenti]  sono dovuti all’effetto positivo significativo del programma sullo stato mentale dei prigionieri e delle loro famiglie, e soprattutto a quei familiari dei detenuti che non sono autorizzati alle visite . Le famiglie dei detenuti hanno  detto che il Centro studi per i prigionieri (FM 107,9), rappresenta una grande lotta e spezza la volontà delle guardie carcerarie, messe di fronte alla determinazione del popolo palestinese, che inventa tutti i metodi di resistenza, in primo luogo utilizzando i media…Le famiglie dei prigionieri in isolamento, come la famiglia del comandante Ahmad Sa’adat e quella degli eroici prigionieri Abbas  e Abdallah Barghouti, Mahmoud Issa, Jamal Abu Al-Haija, Hassan Salameh e altri, hanno detto che attendono con i loro figli il programma ‘On Birds Wings ‘. ” [Al-Hayat Al-Jadida, 13 aprile 2011]

Abdallah Barghouti – condannato a 67 ergastoli per il coinvolgimento in attacchi terroristici nei quali 66 israeliani furono uccisi – ristorante Sbarro  (9 agosto 2001), Moment Café (9 marzo 2002), e nell’attacco triplo al centro commerciale pedonale Ben Yehuda (1 ° dicembre 2001).

Jamal Abu Al-Hijja – 9 ergastoli per il coinvolgimento in attacchi suicidi in un centro commerciale di Hadera  (26 ottobre 2005) e Herzl Street a Netanya (5 dicembre 2005)

Hassan Salameh – 38 ergastoli. Era a capo delle infrastrutture terroristiche che effettuarono 2 attacchi sul bus n. 18  a Gerusalemme (Primo attacco il 25 febbraio, 1996. Secondo attacco il 3 marzo 1996), e l’attacco allo svincolo di Ashkelon (25 feb, 1996).

Mahmoud Issa – sta scontando 3 ergastoli. Membro della squadra che rapi’ e uccise soldati israeliani, tra cui Nissim Toledano (13 Dic 1992).

QUI il dossier completo.

Alla luce di questi fatti, noti e documentati, alcuni Paesi donatori hanno cominciato a chiedersi se il loro contributo economico all’Amministrazione Palestinese serva, in qualche misura, a coprire le spese per questi “stipendi” ai terroristi. Il Ministro norvegese Peter Gitmark ha sollevato la questione in Parlamento, criticando i finanziamenti del suo governo destinati al bilancio generale dell’Autorità Palestinese, affermando che “sembra quasi essere un programma di aiuti ai prigionieri condannati per terrorismo in Israele.” “L’amministrazione palestinese utilizza questi soldi anche per pagare gli stipendi ai detenuti nelle carceri israeliane che sono stati condannati per reati terroristici. La Norvegia deve chiarire la questione con l’Amministrazione Palestinese”, ha detto il segretario di Stato, Torgeir Larsen. “Dopo i nuovi sviluppi sorti a seguito alle interrogazioni presentate, si ritiene necessario, insieme alla Gran Bretagna, chiedere chiarimenti all’Amministrazione Palestinese per quanto riguarda i livelli di aiuto, gli importi e la determinazione di necessità relative a questo tipo di aiuto sociale” .

Il dibattito è emerso dopo che la televisione nazionale NRK TV ha iniziato a studiare la questione.

Alcuni prigionieri, si dice, arrivano a percepire fino a 18.000 corone al mese (£ 2095), quasi tre volte la pensione base mensile norvegese. In un’intervista su TV NRK, il ministro norvegese Peter Gitmark, ha espresso la sua preoccupazione per il contributo “indiretto” della Norvegia al terrorismo palestinese:

Peter Gitmark: “Questo è molto grave, soprattutto il fatto che sembra quasi essere un programma di aiuti ai prigionieri condannati per terrorismo in Israele, per non parlare del fatto che gli “stipendi” aumentano in base alla durata della pena.”

NRK TV: “Pensa che i soldi delle tasse norvegesi siano utilizzati per finanziare il terrorismo?” Peter Gitmark: “Sì, questa è una forma indiretta di finanziamento.”  “Il Parlamento è stato informato più volte dall’allora Ministro degli Esteri, Jonas Gahr Støre. Ora sembra che le informazioni dell’ex ministro  al Parlamento fossero false e la comunicazione cattiva. Naturalmente i [parlamentari] dello Scrutiny Committee (commissione di vigilanza e per gli affari costituzionali) dovrebbero esaminare questa storia e verificare se questa implichi conseguenze in Parlamento. ” QUI

Quanto dovrà ancora andare avanti questa ipocrisia tutta occidentale secondo la quale, mentre le tasse ai cittadini diventano sempre più pesanti e sbarcare il lunario sempre più faticoso, assassini in carcere per aver ucciso civili innocenti ricevono stipendi proporzionali al numero di vittime che hanno fatto? Più ne ammazzi più riscuoti?

Ecco il “paese dell’apartheid”

Chi ha visto Israele sa quanto sia assurda l’accusa di “paese di apartheid”. Chi ha visto Israele ha visto anche israeliani e arabi dividere ogni giorno della loro giornata. Chi ha visto Israele dovrebbe ribellarsi a questa equazione delirante.

Chi conosce Israele sa che l’arabo è la seconda lingua ufficiale del paese.

Chi ha girato per le strade di Israele ha forse atteso l’autobus insieme a arabi e ebrei.

Chi ha visto Israele sa che nei supermercati arabi ed ebrei comprano le stesse cose, agli stessi prezzi

Sa che le Università accolgono studenti arabi ed ebrei

Università Ben Gurion

Università Ebraica

Università Ebraica

Sa che negli ospedali sono curati arabi ed ebrei, insieme

Ospedale Hadassah

Sa che c’è libertà di culto

Università di Tel Aviv

Sa che anche nei fast food ci si incontra e si mangia fianco a fianco

Chi conosce Israele non puo’ scambiarlo con il Sud Africa

Questo era apartheid

 

 

Questo era apartheid

Basta menzogne!

(Grazie a Elder of Ziyon e a Mida Magazine)

Era primavera due anni fa a Itamar?

Oggi, 11 marzo 2013 il tempo è mite in Israele. Una bella giornata di sole, anche a Gerusalemme che di solito è una delle città più fredde del Paese. Si sente la primavera che prepotentemente bussa alla porta. Si riconosce il suo arrivo dagli uccellini che cantano allegri, dai fiori di pesco che sbocciano, dalle donne che si mettono in terrazza, al sole. Come sarà stato due anni fa, l’11 marzo, a Itamar?

Ci sarà stato il sole anche in quel giorno? Ci saranno stati uccellini che cantavano in quel piccolo agglomerato di case a sud-est di Nablus, in quella zona C che con gli accordi di Oslo fu assegnata (con accordo delle due parti: palestinese e israeliana) al completo controllo di Israele? Che cosa aveva preparato Ruth per cena? Come sarà stata la sua giornata? L’avranno fatta stancare i bambini? Yoav, 11 anni, di sicuro sarà stato a scuola, sarà rientrato il pomeriggio, avrà fatto i compiti per casa, cenato e sarà andato a letto. Elad, quattro anni, andava all’asilo? Avrà disegnato la primavera in arrivo quel giorno? E Hadas? Oh beh, lei a tre mesi pensava solo alla sua dose di latte quotidiana e a piangere quando il suo pannolino andava cambiato! E Hudi? Non sappiamo nulla di lui, come di nessun altro essere che un tempo era vivente in questa famiglia. Dove lavorava? A Itamar sono specializzati nelle colture biologiche. Era un agricoltore anche lui come tanti suoi vicini? Che cosa gli piaceva? Che cosa leggeva? Che cosa amava? Non lo sappiamo, era un COLONO, come Hadas, come Yoav, come Elad. Non bambini, COLONI, nati con questo “marchio d’infamia” addosso. Cosi’ la stampa mondiale li descrisse: UCCISI CINQUE COLONI. Tanto per  evitare che qualcuno si potesse mettere a piangere per loro.

Ma cosa successe quel giorno, mentre si aspettava la primavera? Erano andati a letto presto, forse era la loro abitudine, in campagna si usa. Erano le nove di sera. Amjad e Hakim Awad avevano cercato di comprare delle armi, senza successo. Che si dissero? Va beh, usiamo i coltelli. Cercano di tagliare il recinto che circonda l’abitato, non ci riescono, lo scavalcano. Scatto’ l’allarme ma l’addetto alla sorveglianza non vide nulla di sospetto. “Sarà stato un animale”, penso’. Ma come? I “feroci coloni”, descritti sempre armati e pronti a far fuoco su qualsiasi cosa in movimento si comportarono come degli innocui portieri di palazzo qualsiasi?

I due Awad entrano in casa dei Fogel alle dieci e mezzo di sera. Vanno subito nella camera dei bambini. Sgozzano Yoav per primo, poi strangolano Elad e lo colpiscono al petto con il coltello. Entrano nella camera di Hudi e Ruth. Sgozzano Hudi che cerca di difendersi, e sgozzano Ruth. Sono ebbri di sangue, stanno per andarsene. Ma, diranno al processo sereni e per niente pentiti: “sentimmo un pianto, tornammo indietro e finimmo il lavoro”. Era il pianto di Hadas. Sgozzano anche lei, ma siccome ha solo tre mesi “nell’operazione” le tagliano la testa . E Tamar, dodici anni, che era in gita scolastica e rientra verso mezzanotte, trova i giocattoli dei suoi fratellini che galleggiano nel sangue di quella che poche ore prima era la sua famiglia.

Noi Ebrei non amiamo esibire i nostri morti, non abbiamo il culto del martirio. Ma Rabbi Yehuda e Tali Ben Yshai, i genitori di Ruth, davanti all’indifferenza del mondo, davanti a quel “uccisi cinque coloni” che cancellava in un attimo  dalle menti e dai cuori di chi leggeva distrattamente la notizia, l’umanità di quelle cinque persone care, come estremo urlo di dolore, autorizzarono la diffusione delle foto della strage.

Non ci siete più, sono oggi due anni. I vostri assassini sono in galera, circondati dalla simpatia di coloro che stentano a definire esseri umani “cinque coloni uccisi”, dalla connivenza di quelli che li chiamano “resistenti palestinesi”. Fratelli, che vi sia lieve la terra. Che possiate starci accanto e benedirci ora, mentre la primavera è in arrivo.

Inesplicabili fenomeni…

Ogni venerdi’, dopo il sermone di mezzogiorno, intorno alla moschea Al Aqsa, come in un rituale obbligato e stanco, partono gli “scontri”. Lanci di pietre e bottiglie incendiarie contro poliziotti israeliani. Nessun giornale internazionale, di solito, riporta questi fatti, quasi fossero “normali” o comunque non gravi. Eppure Asher Palmer, 25 anni e suo figlio Yonathan, un anno, morirono per questi “innocui lanci di sassi”.

Asher Palmer e suo figlio Yonathan morirono nell’auto che fini’ fuori strada sotto il lancio di pietre

E il solito “copione si è ripetuto venerdì scorso, 8 marzo, quando centinaia di palestinesi usciti dalla preghiera alla moschea Al Aqsa hanno lanciato pietre e bombe molotov contro il personale di sicurezza israeliano, di stanza vicino all’ingresso del sito. 

Undici poliziotti sono stati feriti durante le violenze, uno di questi, ferito da una bomba molotov lanciata contro gli ufficiali dai palestinesi, secondo quanto riferito, da dentro la moschea.

La polizia ha disperso i manifestanti con granate assordanti e altre misure di controllo, non violente.

The Guardian nel suo spazio ‘immagine live‘, ha pubblicato la foto che mostra l’ufficiale colpito da una bomba molotov

con la seguente didascalia: Poliziotti israeliani prestano soccorso ad un loro collega ferito negli scontri intorno alla moschea Al Aqsa, venerdi’. I disordini tra i fedeli Palestinesi e l’esercito israeliano sono scoppiati durante la preghiera di venerdi’.

Il poliziotto è descritto genericamente “ferito”, senza che sia specificato né da chi né come. Altri siti di informazione, invece, hanno riportato la notizia correttamente. Il titolo del Guardian poi è molto esplicativo della politica del giornale: “Disordini sono scoppiati….” Come? Si sono auto-provocati o c’è stato forse qualcuno che li ha innescati? Quindi, davanti alla moschea Al Aqsa il venerdi’, “disordini scoppiano”, “bombe molotov incendiano”, “poliziotti si feriscono”…. Ora sappiamo che a Gerusalemme esistono anche questi inesplicabili episodi….

 

QUI

Il castello delle menzogne, piano piano, crolla

E’ stata una delle foto più condivise durante l’operazione “Pillar of Defense” del   novembre 2012.

La morte di un neonato è sempre terribile e mostrare il suo cadavere non lascia indifferenti i lettori. E i principali media mondiali non si sono lasciati scappare la notizia: Washington Post, il Daily Mail, il Sun, il Telegraph, l’Huffington Post, MSN, Yahoo, CBC News, e, ovviamente, la BBC e il Guardian, fra gli altri. Come dire: il mondo dell’informazione.

L’accusa: Israele ha sparato un missile su una abitazione ad est di Gaza, che ha ucciso un bambino di 11 mesi, figlio del corrispondente della BBC Arabic Jihad Misharawi, nonché sua cognata (anche il fratello di Misharawi sarebbe perito in seguito a causa delle ferite riportate nell’esplosione).

Ecco quello che riportava Roy Greenslade, del Guardian, il 15 novembre: «Un bambino di 11 mesi, figlio di un corrispondente della BBC, è stato ucciso ieri durante un attacco aereo dell’aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza».

E questa è la versione dello stesso giorno di Paul Owens e Tom McCarthy, del Guardian:

«Si è aperta una dolorosa nuova faida sui social media da giovedì, quando sono iniziate a circolare immagini di bambini morti o feriti durante il conflitto a Gaza. Hanno circolato le foto di Omar, il figlio di 11 mesi di Jihad Misharawi, ucciso mercoledì durante un attacco israeliano. Anche la cognata di Misharawi è rimasta uccisa nell’attacco di Gaza, mentre il fratello del bambino è rimasto gravemente ferito».

La foto all’articolo della Sherwood, del The Guardian. La didascalia “Militante del futuro?”

Più avanti, l’11 dicembre, in un aggiornamento sulle conseguenze del conflitto, così riportava Harriet Sherwood: «Dopo otto giorni di conflitto, ancora una volta è stata raggiunta una pace precaria fra Israele e Gaza. Hamas è in festa, ma per la gente comune non c’è motivo per festeggiare, fra le rovine di una città distrutta». E nella didascalia della foto che accompagnava l’articolo: «Jihad Misharawi piange mentre trattiene il corpo di suo figlio Omar, di 11 mesi, ucciso da un attacco israeliano».

Ovviamente, la morte di un neonato è sempre una orribile tragedia e nessuno può rimanere insensibile di fronte al dolore inimmaginabile di Jihad Misharawi.Tuttavia, come ogni fatto ritenuto degno di attenzione per il giornalismo professionale, i fatti contano; e in tanti nella blogosfera hanno avanzati seri dubbi sulla veridicità di questa notizia.

Elder of Ziyon and BBC Watch, fra gli altri blog (a suo tempo il Borghesino mostrò tutto il campionario delle vigliacche mistificazioni di Hamas, NdT), sono stati fra coloro che hanno esaminato i fatti e sostenuto la possibilità che Omar Misharawi fosse stato ucciso da un missile palestinese difettoso.

Elder ha fatto rilevare che «il foro nel soffitto sembrava molto simile a quello che lasciano i missili Qassam quanto colpiscono le abitazioni israeliane, e che le foto della casa nella quale è perito il bambino erano decisamente diverse da quelle colpite a Gaza dall’aviazione israeliana.

Hadar Sela, di BBC Watch, fece rilevare, il 25 novembre, che “la BBC ha ostinatamente evitato di condurre qualunque tipo di verifica sull’esistenza di bambini palestinesi uccisi o feriti da non meno di 152 missili palestinesi caduti accedentalmente in territorio gazano durante il conflitto». Il loro scetticismo risultava fondato.

Il 6 marzo l’UNHRC ha fornito l’anticipazione di un rapporto sul conflitto di novembre. Elder of Zyion ha avuto modo di accedere al documento. A pagina 14, un’inchiesta delle Nazioni Unite ha accertato che «il 14 novembre una donna, il suo bambino di 11 mesi e un ragazzo di 18 anni di Al-Zaitoun sono rimasti vittima di un missile palestinese ricaduto prima di giungere in Israele». E’ stato un missile palestinese ad aver ucciso il piccolo Omar, Hiba (la cognata di Jihad) e Ahmed (il fratellino di Omar, inizialmente gravemente ferito). Che la BBC, il Guardian o altre testate sentano il bisogno di rettificare i loro resoconti, rimarcando che furono i terroristi palestinesi, e non l’IDF, ad uccidere Omar, Hiba e Ahmed Misharawi, o che non lo facciano; Sela rileva che:

«E’ impossibile neutralizzare il danno provocato dalla BBC con questa notizia. Nessuna rettifica o offerta di scuse potrà cancellarla da Internet o dalla memoria di innumerevoli persone che a suo tempo l’hanno letta o sentita».

Sela, nel suo post del 25 novembre, sostenne che «la tragica vicenda di Omar Misharawi è stato usata e abusata per alimentare una propaganda secondo la quale Israele sarebbe un assassino di bambini».

In altre parole, a prescindere dal fatto che nuovi fatti resi noti contraddicano le conclusioni originarie, niente è appreso: la retorica letale riguardante la “cattiveria” dello stato ebraico continuerà indisturbata. E nulla cambierà.

Articolo originale QUI

La nuova menzogna: il bus per “soli palestinesi”

Nel giugno 2012, il governo israeliano concesse 6000 nuovi permessi di lavoro   ai lavoratori palestinesi in Israele. La mano d’opera palestinese in Israele raggiunse cosi’ il numero di 30.500 unità.

Più di 30.000 persone che ogni mattina partono dalle affollate stazioni dei pulman nella West Bank per raggiungere il posto di lavoro in Israele. Le uniche alternative per sfuggire alla ressa delle stazioni dei pulman sono state finora il servizio privato abusivo di trasporto, carissimo, oppure camminare fino all’insediamento israeliano più vicino e da li’ prendere un bus per le città. Per facilitare l’entrata dei lavoratori palestinesi in Israele e fare in modo che non fossero costretti né ad arrivare in ritardo sul posto di lavoro né a spendere cifre spropositate per il loro trasporto, Israele ha pensato ad una linea diretta che facesse il giro di tutti i villaggi nei quali vivono i lavoratori, trasportandoli, a tariffe normali, in Israele. E come potevano farsi scappare l’occasione i media e le associazioni che vivono con gli occhi puntati su Israele, attendendo l’occasione per spargere un po’ di veleno? Cosi’ un servizio pensato per facilitare la vita dei lavoratori è diventato “il pulman dell’apartheid”.

E’ stata scomodata perfino Rosa Parks per l’occasione! Eppure il comunicato ufficiale parla chiaro: nessuna discriminazione, nessuna linea pensata “solo per Palestinesi” , nessun divieto per un Israeliano di salire sugli autobus che partono dalla West Bank né viceversa. La ragione per la quale non ci sono Israeliani in partenza dalla West Bankn nei Territori amministrati da AP, è semplice: l’ingresso è loro negato.

Eppure il comunicato ufficiale del Ministero dei Trasporti parla chiaro:

Il ministro dei Trasporti ha chiesto al direttore generale del suo gabinetto di vigilare affinché i Palestinesi possano viaggiare su tutte le linee degli autobus, comprese quelle in Samaria e di aumentare immediatamente il numero di nuove linee di servizio, concepite per rimpiazzare le linee esistenti “non abbastanza funzionali”  e renderle operative immediatamente. Il ministro dei Trasporti, delle Infrastrutture nazionali e della sicurezza stradale, Israel Katz, ha chiesto al direttore generale del suo gabinetto, Uzi Ytzhaki, di assicurarsi che i Palestinesi che entrano in Israele possano servirsi di tutti i trasporti in comune in Israele, comprese le linee in Giudea Samaria. Inoltre Katz ha chiesto che sia immediatamente aumentato il numero di linee in servizio, a cura della compagnia Afikim, in funzione della domanda per queste linee, e che sia esaminata l’opzione di fare partire il servizio da altri luoghi in Samaria, allo scopo di facilitare  la vita ai lavoratori palestinesi permettendo loro di servirsi con facilità dei punti di fermata. Il ministro dei Trasporti ha incaricato il capo del suo gabinetto di verificare che la pubblicizzazione di queste nuove linee sia fatta in ivrit e arabo e assicurarsi che il servizio sia lo stesso per tutta la popolazione. Yitzhaki controllerà personalmente il buon funzionamento del servizio e ne trarrà le conclusioni necessarie al fine di migliorare il servizio di trasporto per i viaggiatori. Le nuove linee serviranno i lavoratori palestinesi che entrano in Israele dal passaggio di Eyal e rimpiazzeranno i taxi clandestini i cui prezzi sono esorbitanti, più di cento shekels (N.d.T. più di 20 euro).

Ma come sappiamo, quando si tratta di Israele il buon senso non esiste. Ecco ha riferito la notizia l’Ansa:

“(ANSA) – TEL AVIV, 03 MAR – Alcune linee di bus di pendolari che ogni giorno dalla Cisgiordania vanno a lavorare in Israele potrebbero essere destinate ‘solo a palestinesi’. La riportano oggi i siti di Haaretz e Ynet. Entrambi i media – Haaretz dice che ”Israele introduce linee di bus per ‘soli Palestinesi’, dopo le proteste dei coloni israeliani” – citano un piano del Ministero dei trasporti. Scopo del progetto – ha spiegato il ministero – e’ decongestionare le linee usate dagli israeliani nelle stesse aree.”

Haaretz in realtà non ha potuto dire altro che la verità, cioè che quelle linee non sono “riservate” ai soli Palestinesi, ma ha titolato “Israele introduce linee di autobus ‘solo per palestinesi’, in seguito alle denunce di coloni ebrei.” cioè, ponendo immediatamente il lettore davanti a un giudizio pre-confezionato, anche se poi questo assunto non è stato sostenibile nell’articolo.

E Jessica Montell, direttore del movimento anti-Israele, B’tselem:

“La creazione di linee di autobus separate per gli ebrei israeliani e i palestinesi è un’idea rivoltante”, Montell ha detto a Army Radio. “Questo è semplicemente il razzismo.”

Eppure sarebbe bastata un’occhiata al sito web della compagnia di autobus, Ofakim, per verificare che l’autobus No. 211 inizia il suo tragitto nei pressi di Kalkilya e si reca a Tel Aviv con fermate a Petah Tikva, Bnei Brak e altrove. Non indica che si tratta di un autobus per “soli palestinesi” o che gli ebrei non lo possono guidare. Ofakim dichiarato “Non ci è permesso di rifiutare il servizio e non ordineremo a nessuno di scendere dal bus.”

Del resto periodicamente escono fuori queste fole disperate che vorrebbero narrare un apartheid che non esiste, Haaretz lo ha fatto con la falsa notizia delle “strade per soli ebrei”, menzogna ormai definitivamente smentita. Risultato di questa campagna di menzogne? Due degli autobus in questione  sono stati incendiati, nella città arabo-israeliana di Kafr Qasim, che si trova una ventina di chilometri a est di Tel Aviv, vicino alla Linea Verde. E via cosi’!