Robert Fisk è un “esperto di Medio Oriente”. Lavora per il “The Indipendent”. In quanto esperto, i suoi errori storici grossolani gli sono stati più volte rimarcati, per esempio quelli del suo The Great War of civilization da Efraim Karsh: Gesù nacque a Betlemme, non, come scrive Fisk, a Gerusalemme. Il califfo Alì, cugino del profeta Maometto e suo genero, fu ucciso nel corso dell’anno 661, non nel 8 ° secolo. L’Emiro Abdallah divenne re di Transgiordania nel 1946, non 1921, e sia lui che suo fratello minore, il re Faisal I dell’Iraq, non proveniva da una “tribù del Golfo”, ma piuttosto dagli Hashemiti, dall’altra parte della penisola arabica.
Robert Fisk
La monarchia iraqena fu rovesciata nel 1958, non nel 1962, Hajj Amin al-Husseini, il mufti di Gerusalemme, fu nominato dalle autorità britanniche, non eletto; l’Ayatollah Khomeini trasferi’ il suo esilio dalla Turchia verso la città santa sciita di Najaf non durante il regime di Saddam Hussein, ma quattordici anni prima che Saddam prendesse il potere. La risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza fu approvata nel novembre 1967, non nel 1968; Anwar Sadat firmo’ un trattato di pace con Israele nel 1979, non nel 1977, e fu assassinato nel mese di ottobre 1981, non del 1979. Yitzhak Rabin fu ministro della Difesa, non Primo ministro, durante la prima intifada palestinese, e al Qaeda fu fondata nel 1998, non un decennio prima. E così via.
Le “frasi celebri” di Fisk
Frisk è specializzato nelle accuse contro Israele; le sue accuse – che spesso è stato obbligato a ritrattare- sono documentate fin dal 1994. Per esempio, della crescita del radicalismo islamico in Libano, diceva:
“Ho visto il volgersi della popolazione musulmana da amichevole ad odiatrice dell’occidente … Tutto è iniziato con l’invasione israeliana del Libano nel 1982. Quell’anno cambiò il Libano per sempre.”
Naturalmente in Libano la polarizzazione religiosa e l’anarchia politica non iniziarono nel 1982, ma dodici anni prima, nel 1970, quando il fallito tentativo dell’OLP di rovesciare Re Hussein di Giordania favori’ l’entrata di una marea di palestinesi dalla Giordania in Libano.
L’afflusso di combattenti dell’OLP e la creazione di un mini-stato dell’OLP in Libano accelero’ il deterioramento del fragile rapporto tra gruppi musulmani e cristiani libanesi. Nel 1975 le tensioni tra cristiani, musulmani sunniti, sciiti e Palestinesi erano sfociate in vera guerra civile. Non una parola di questo apparve nei “documentari” di Fisk.
Il 18 novembre 2013, su “The indipendent” appare un articolo di Fisk:
Il vero veleno è da ricercarsi nell’eredità morale di Arafat.
Nell’articolo Fisk rigetta la tesi dell’avvelenamento ma nello stesso tempo tenta un’opera di riabilitazione di Arafat e del suo pluridecennale coinvolgimento in attacchi terroristici mortali contro gli Israeliani, e ridicolmente sostiene che il suo più grande difetto fu essere ‘troppo fiducioso’ nei confronti dei leader israeliani.
“Ha fatto così tante concessioni a Israele – perché stava diventando vecchio e voleva andare in “Palestina” prima di morire – che i suoi discendenti politici stanno ancora pagando. Arafat non aveva mai visto una colonia ebraica nei territori occupati quando accetto’ gli accordi di Oslo. Si fidava degli americani. Si fidava degli israeliani. Si fidava di chi sembrava dire le cose giuste. E deve essere stato faticoso iniziare la sua carriera come un super-“terrorista” a Beirut e poi essere accolto sul prato della Casa Bianca come un super-“statista” e poi ri-creato da Israele come un super-“terrorista” di nuovo .”
Ma la bugia più eclatante per omissione appare più avanti, quando riferisce di una conversazione tra Arafat ed Edward Said, in merito a Hajj Amin El Husseini, mufti’ di Gerusalemme:
“Edward Said mi disse che Arafat affermo’ nel 1985 che “se c’è una cosa che non voglio è essere come Haj Amin. Lui aveva sempre ragione e non ha ottenuto nulla ed è morto in esilio. Braccato dagli inglesi, Haj Amin, il Gran Mufti di Gerusalemme, ando’ a Berlino durante la seconda guerra mondiale, nella speranza che Hitler avrebbe aiutato i palestinesi.”
Cosi’ il filo-nazista Hajj Amin, diventa qualcuno che cerco’ Hitler nella speranza di salvare i Palestinesi!!! Il rapporto di CAMERA (basato sulla documentazione del libro di Jennie Lebel ‘ Il Mufti di Gerusalemme : Haj Amin el- Husseini e il nazional-socialismo ‘) rende chiaro il desiderio di Haj Amin non di “aiutare i Palestinesi” ma di annientare gli Ebrei .
Haj Amin el- Husseini , che fu nominato muftì di Gerusalemme nel 1921 aiutato da simpatici funzionari britannici , sostenne l’opposizione violenta ad ogni insediamento ebraico nel Mandato per la Palestina e incitò gli Arabi contro la presenza ebraica in crescita. Lebel descrive la violenza del 1929 , in cui Haj Amin diffuse la storia che gli Ebrei pianificavano di distruggere la Cupola della Roccia e la moschea di Aqsa . Usando foto falsificate della moschea in fiamme e diffondendo la propaganda presa in prestito dal falso anti- ebraico , i ” Protocolli dei Savi di Sion “, il mufti istigo’ un terribile pogrom contro gli Ebrei in Palestina . Il 23 agosto, gli Arabi irruppero a Gerusalemme e attaccarono gli Ebrei . Sei giorni dopo , una seconda ondata di attentati provoco’ 64 morti a Hebron …
Il Mufti si rese responsabile di instillare il sentimento anti-ebraico, basato religiosamente, nella nascente coscienza nazionale palestinese …. presagendo moderne proposte di boicottaggio contro l’insediamento ebraico, Haj Amin invito’ tutti i musulmani a boicottare le merci ebraiche e organizzo’ l’attacco arabo del 10 aprile 1936. …
Vedeva in nazisti e fascisti italiani alleati naturali che avrebbero fatto ciò chegli inglesi non erano disposti a fare – liberare la regione dagli Ebrei e aiutarlo a stabilire uno Stato arabo unitario in tutto il Medio Oriente … Credendo che l’Asse potesse prevalere nella guerra, il mufti si assicuro’ l’ impegno sia dell’Italia che della Germania per la formazione di uno Stato arabo a livello regionale. Chiese anche di poter risolvere il problema ebraico con lo “stesso metodo che verrà applicato per la soluzione del problema ebraico negli Stati dell’Asse.” Il 28 novembre 1941, incontro’ per la prima volta Adolf Hitler e rese partecipe il leader tedesco della convinzione araba che la Germania avrebbe vinto la guerra e che questo sarebbe andato a vantaggio della causa araba.
Mentre Hitler condivideva la convinzione del mufti che l’attuale guerra avebbe determinato il destino degli Arabi, la sua priorità era la lotta contro “gli Ebrei che controllano la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica.” Lebel rivela la promessa di Hitler che, una volta l’esercito tedesco avesse raggiunto i confini meridionali del Caucaso, avrebbe annunciato al mondo arabo che era giunto il momento della liberazione. I tedeschi avrebbero annientato tutti gli Ebrei che vivevano in zone arabe. …
Il punto di vista degli Ebrei come contaminatori della società e cospiratori malevoli oggi ritornano nella Carta fondazione di Hamas.
In una trasmissione radio dalla Germania il 16 novembre 1943 … Haj Amin rese nota la sua visione del conflitto con gli Ebrei:
“Gli Ebrei portano la povertà nel mondo, guai e disastri … distruggono la morale in tutti i paesi … falsificano le parole del profeta, essi sono portatori di anarchia e di sofferenza nel mondo. Sono come tarme che mangiano tutto il bene dei paesi. Hanno preparato la macchina da guerra di Roosevelt e portato disastro per il mondo. Sono dei mostri e la causa di tutti i mali del mondo …. “
Come l’ex ufficiale nazista Wilhelm Melchers testimonio’ dopo la guerra:
Il mufti era un nemico abile degli Ebrei e non nascondeva il suo desiderio di vederli tutti liquidati.
E ‘chiaro che il rapporto di Haj Amin con Hitler non fu una semplice “alleanza di convenienza”, ma si baso’ su fantasie antisemite eliminazioniste condivise. Come Jeffrey Herf ha scritto nel suo libro del 2009, ‘Propaganda nazista per il mondo arabo‘,
“il Mufti “svolse un ruolo centrale nella fusione culturale tra le tradizioni europee ed islamiche di odio per gli Ebrei; è stato uno dei pochi che domino’ i temi ideologici e le sfumature del fascismo e del nazismo, così come gli elementi anti-ebraici all’interno del Corano e i successivi commentari “.
Per Robert Fisk, Haj Amin era solo un ‘filo-palestinese’; tanto varrebbe allora descrivere Adolf Hitler come un semplice ‘pro-ariano’.
Certo, in Siria c’è una guerra. L’Occidente se ne è accorto solo ora. Nessuno, o quasi, sa niente della dittatura degli Assad, che dura ormai da quasi cinquanta anni, ma non importa.
“Srour è nato a Nakib, in Siria, dove è rimasto fino al momento di intraprendere gli studi universitari. Il suo vero nome è Mahmoud ma tutti lo chiamano “Mimmo” fin da quando venne in Italia, nel 1969, per laurearsi in Ingegneria presso l’Università dell’Aquila, città dove ha deciso di restare mettendo sù famiglia….”
Ed ecco che “Mimmo” ci regala verità:
Domanda: Assad è stato sempre descritto come una persona diversa dal padre, molto più aperto. Qual è il suo commento?
Risposta: Ma a chi vogliono far credere che questo ragazzo sia un dittatore. La Siria è un paese che ha una Costituzione e un Parlamento da almeno 60 anni. Assad è uno che accompagna i figli a scuola, ha studiato all’estero, è un oculista, e in fondo non voleva neanche fare questo mestiere, si è trovato al posto del padre probabilmente a causa della morte del fratello. Veramente è incredibile quello che avviene e come sta accadendo, tutto quello che sta accadendo in Siria è stato progettato e scritto anni fa dai neoconservatori americani e adesso Obama lo sta mettendo in atto, credevamo che lui era diverso e invece non lo è per niente. Se è vero che l’obiettivo sono le riforme, ci sarà un modo per far sedere tutti attorno a un tavolo e discutere del futuro della Siria. E’ necessario mettere le bombe? Le infrastrutture in Siria sono state demolite, stanno riducendo il Paese all’età della pietra. Le ferrovie non esistono più, tutti i ponti ferroviari sono stati fatti saltare. Le centrali elettriche sono state distrutte e metà paese è stato ridotto al buio. Distrutti anche gli oleodotti, c’è una carenza di gas e le famiglie non possono cucinare e in inverno non potranno riscaldarsi. Ma perché tutto questo? A cosa serve, se non a distruggere un paese.
Bene, Bashar El Assad è “ragazzo che porta i figli a scuola”. Ma come è arrivato al potere? E come ci arrivo’ suo padre? Come inizio’ il regno degli Assad, incontrastato da più di quarant’anni, senza essere mai stato turbato da elezioni? Dobbiamo fare un bel salto all’indietro e tornare al partito socialista Ba’ath (حزب البعث العربي الاشتراكي Ḥizb Al-Ba‘ath Al-‘Arabī Al-Ishtirākī).
Il partito, fondato da Michel Aflaq, damasceno di famiglia borghese cristiano-ortodossa. Le ideologie sulle quali il partito si fondava erano un misto di nazionalismo, pan-arabismo e socialismo arabo, le stesse che avevano fatto la fortuna di Nasser. Era il 1947 e il Ba’ath trovo’ subito larghi consensi in Siria e Iraq.
Nel 1920 era stato stabilito un regno arabo indipendente di Siria, sotto il re Faysal della famiglia hashemita, che in seguito divenne re dell’Iraq. Il 23 luglio, le sue forze furono sconfitte dall’esercito francese nella battaglia di Maysalun. La Lega delle Nazioni pose la Siria sotto il mandato francese e le truppe francesi la occuparono. Nel 1936 il 17 aprile, fu firmato un trattato franco-siriano che riconosceva l’indipendenza della Repubblica della Siria, il cui primo presidente fu Hashim al-Atassi, già primo ministro con re Faysal. Il trattato tuttavia non venne ratificato e la Siria era ancora sotto il controllo francese quando scoppiò la seconda guerra mondiale. La Siria allora fu teatro di combattimenti tra le truppe del governo di Vichy e l’esercito britannico, che ne prese il controllo nel 1941. La Siria proclamò nuovamente la propria indipendenza, che venne riconosciuta a partire dal 1 gennaio 1944 e le truppe francesi si ritirarono nell’aprile del 1946.
Il 7 luglio del 1947 si tennero le prime elezioni dall’indipendenza. Tra il 1946 e il 1956 si ebbero ben 20 diversi governi e si discussero quattro versioni differenti della costituzione. Nel 1951 prese il potere il colonnello dell’esercito Adib Shishakli, che venne tuttavia rovesciato nel 1954. Nel 1948 la Siria aveva partecipato alla guerra arabo-israeliana: l’esercito siriano fu respinto dal territorio israeliano, ma mantenne i precedenti confini, fortificandosi sulle alture del Golan.
Contestualmente alle prime elezioni, nel dicembre 1947, (quindi prima della guerra di aggressione contro Israele) ad Aleppo gli Ebrei subirono il più sanguinoso pogrom dopo quelli del 1853 e del 1875. Sinagoghe, scuole, orfanotrofi, case di proprietà degli Ebrei, furono distrutte. Fu l’inizio della fine della comunità ebraica siriana e il primo esodo degli Ebrei siriani in Israele. Non ci sono Ebrei attualmente in Siria.
Ma torniamo al Ba’ath. Nelle elezioni del 1952 divenne il secondo partito del Paese. Con il partito comunista siriano, fondo’ la UAR, Lega delle repubbliche arabe unite, insieme all’Egitto. Il sogno di Nasser: “Siamo arabi, non più solo egiziani”. Fallimento dell’esperimento e colpo di Stato che nel 1961 sciolse l’Unione. Intanto Aflaq, deluso della messa in atto dei suoi ideali, si trasferi’ in Iraq, dove favori’ l’ascesa del più famoso ba’athista del Paese: Saddam Hussein. Non fu contento nemmeno di questi esiti, ma a quel punto fu messo a tacere e se ne riparlo’ solo in occasione dei suoi imponenti funerali. E Hafez El Assad? Fu ba’athista della prima ora e si addestro’ militarmente in Unione Sovietica. Con la UAR si sposto’ direttamente al Cairo e dal Cairo tento’ di minare le basi della UAR, asserendo che avrebbe concentrato troppo potere nelle mani del solo Nasser. Nel ’63, nel periodo di ascesa massima del partito Ba’ath, Hafez divenne capo dell’aviazione siriana. Quando nel ’66 un gruppo radicale del Ba’ath rovescio’ il governo fu la fine di ogni parvenza di democrazia. Il Parlamento non ebbe più alcun senso, ci fu un partito unico.
Nel ’66 prese il potere Salah Jadid, ba’athista radicale. La sconfitta della Guerra dei Sei giorni, la perdita del Golan ed il suo conseguente appoggio all’Olp gli costo’ caro in termini di popolarità. Ne approfitto’ Hafez El Assad che lo rovescio’ con un colpo di Stato, imprigionandolo. Comincio’ il regno degli Assad. Non riusci’ a scalfirlo l’assalto dei Fratelli Musulmani che fu represso in un bagno di sangue, nel 1982, nel dimenticato massacro di Hama, durante il quale morirono, furono imprigionati e torturati migliaia di siriani, indipendentemente dal ruolo che avevano avuto o meno nella tentata insurrezione. Non cadde nemmeno con la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’URSS, della quale era stato strumento.
Hafez mori’ nel 2000 e, come si conviene a ogni dittatura che si “rispetti” gli succedette Bashar. I tempi erano cambiati ma per gli Assad questi rivolgimenti si erano fermati all’immagine più moderna che Bashar offriva pubblicamente; per il resto tutto resto’ immutato. Cosi’ davanti ai tentativi di rovesciare il suo regime, Bashar non ha saputo fare altro che seguire le orme del padre e uccidere. La Russia non lo ha mai lasciato solo; i suoi veti all’Onu contro qualunque intervento e le sue forniture di armi sono state essenziali per Bashar. Perché? La Russia ha una installazione navale in Siria, che è strategicamente importante ed è l’ultima base militare estera al di fuori dell’ex Unione Sovietica; la mentalità da “guerra fredda” persiste e consiglia di mantenere una delle sue ultime alleanze militari; l’intervento internazionale è ancora considerato dalla Russia moderna “attacco imperialista occidentale”; la Siria è un ottimo acquirente di armi e attrezzature militari russe, e la Russia ha bisogno di soldi.
Per l’Iran poi la Siria rappresenta il cuscinetto tra il paese e l’odiato Israele, il punto di arrivo e partenza per lo smistamento di armi verso Hizbollah e Hamas (nonostante l’alterna fedeltà di questi ultimi). Cosi’ veniamo ai giorni nostri. Il 26 gennaio 2011, Hasan Ali Akleh si da fuoco per protesta contro il regime di Bashar El Assad.
Scoppiano i tumulti. Il regime dichiara lo stato di emergenza. Human Right Watch denuncia la scomparsa di alcuni attivisti contro il regime, in LIbano. “Sembra che il Libano stia facendo il lavoro sporco per la Siria”. I Kurdi siriani scendono in piazza contro il regime.
Le manifestazioni si susseguono in tutta la Siria. Siamo al marzo 2011.
Le proteste continuano e accusano il governo di corruzione
A Dara’a la polizia attacca un funerale e spara lacrimogeni che sembrano molto più tossici di quelli usati solitamente: “Molti hanno accusato sintomi prossimi alla paralisi o al soffocamento”. I dimostranti cantano: “No no allo stato di emergenza. Siamo gente innamorata della libertà”. Il 21 marzo a Dara’a sono uccisi sette ufficiali di polizia, durante gli scontri. La pagina Facebook “The Siryan Revolution 2011” invita a scendere in piazza. Gli slogan ora sono: Dio, Siria e Libertà.
L’Onu sembra scuotersi per un attimo dal letargo e Navi Pillay chiede un’indagine sulla morte di sei attivisti.
I morti si susseguono e le manifestazioni si infiammano sempre di più. La polizia ormai spara anche sui bambini. Il 25 marzo gli slogan scanditi dai manifestanti accusano il fratello di Bashar di codardia: “Maher vigliacco, manda l’esercito a liberare il Golan“.
Non più “libertà e giustizia”, ma Israele come nemico e Dio come alleato. Nessuno noto’ all’epoca il cambiamento delle piazze? Non più solo esercito e manifestanti anti governativi si affrontano ora: agli scontri si aggiungono manifestanti pro-Assad, in risposta all’appello del governo. I manifestanti anti-Assad sono ora armati:
“Una fonte ufficiale ha detto che un gruppo armato, salito sui tetti di alcuni edifici a Douma, dopo mezzogiorno, ha aperto il fuoco su centinaia di cittadini e sulle forze di sicurezza”. E’ il primo aprile 2011. Si affaccia sulla scena Erdogan che dice: Ci penso io a spingere Assad alle riforme; “la Turchia sta osservando la reazione del popolo siriano alle parole e alle azioni di Assad, finora”. E’ la prima “uscita pubblica” di un capo di Stato in merito alla situazione siriana. Assad libera prigionieri politici e cambia i membri del governo, ma le proteste non si arrestano e nemmeno le vittime.
La Ashton si pronuncia: “Le violenze devono finire. La prima cosa che dobbiamo fare è fermare la violenza. Il governo ha avuto modo di considerare serimente le sue reponsibilities”, dichiaro’ ad Al Jazeera. Il governo parla di “insurrezione armata”: “Alcuni di questi gruppi hanno chiamato all’insurrezione armata sotto il motto della Jihad, per istituire uno stato salafita”, dichiaro’ il ministero degli interni, in un comunicato. “Quello che hanno fatto è un crimine orribile, severamente punito dalla legge. Il loro obiettivo è quello di diffondere il terrore in tutta la Siria.” E’ ancora l’aprile 2011, la protesta è già nelle mani della Jihad islamica.
Che fine avevano fatto i manifestanti che, pacificamente, avevano iniziato la rivolta in Siria? Perché né l’Onu né la politica internazionale fece mostra di accorgersi della piega che stavano prendendo gli avvenimenti? Come mai gli appelli della Jihad islamica che incitava i salafiti di tutto il mondo a radunarsi in Siria e combattere, furono ignorati?
Dalla Tunisia all’Egitto, i Fratelli Musulmani incitavano a raggungere la Siria e combattere: “Chiunque ha la capacità di uccidere … deve andare”, disse al-Qaradawi, dal Qatar. “Non possiamo chiedere ai nostri fratelli di essere uccisi mentre guardiamo.” E Morsi, che si vedeva sfuggire il potere di mano:
“Chiediamo ai popoli arabi e islamici di stare con i loro fratelli siriani – quelli rimasti nel paese e quelli che sono stati costretti a fuggire in altri paesi vicini. Non dovremmo essere ingiusti, arrenderci o deluderli. Religione, virilità e cavalleria ci chiedono di essere al loro fianco e sostenerli finanziariamente e moralmente “.
Da tutti i Paesi arabi e perfino dalla Bosnia, dall’Australia, dalla Cecenia e dall’Europa sono accorsi in Siria migliaia di jihadisti, rispondendo all’appello.
Non ci interessa qui analizzare i rapporti di forza tra le varie potenze, chi arma chi, chi combatte contro chi, gli interessi in gioco. Ci limiatiamo a una cartina molto parziale delle parti in campo, apparsa su un blog e ripresa dal Washington Post
Quello che ci sembrava interessante, mentre l’Occidente si limita a interrogarsi in merito a “intervento si’ o no”, senza preoccuparsi di gettare nemmeno uno sguardo alla storia della Siria e all’evoluzione della guerra civile che ormai ha fatto oltre 100.000 morti, era tentare di capire quando e come la protesta legittima e pacifica contro una dittatura feroce, una “monarchia” che dura da quarant’anni, sia stata fagocitata dalla Jihad islamica e abbia ridotto il conflitto allo scontro tra una dittatura sanguinaria e gruppi di “ribelli” altrettanto feroci. E di come l’Occidente (qualsiasi cosa vogliamo significare con il termine) sia rimasto a guardare, della sua ipocrisia che gli ha fatto gridare all’orrore solo dopo migliaia di morti anonimi. E di come ora chieda ai cittadini di schierarsi quando ormai non c’è più nulla da difendere.
L’argomento era già stato affrontato da Mahmud Abbas in passato: i profughi palestinesi non diventeranno cittadini di un eventuale Stato di Palestina. Ora il proposito torna a riaffacciarsi con forza.
L’ambasciatore palestinese in Libano
L’ambasciatore palestinese in Libano, Abdullah Abdullah, ha rilasciato un’intervista al Daily Star Wednesday, nella quale ha inequivocabilmente confermato che i profughi palestinesi non diventerebbero cittadini in uno Stato palestinese riconosciuto: “Sono Palestinesi…. è la loro identità… ma non sono automaticamente cittadini”. E l’Ambasciatore non si riferiva ai soli profughi che vivono in stati arabi, in Libano, Siria, Egitto e Giordania, ma anche a quelli che ancora vivono nei campi all’interno del territorio palestinese. “Anche i profughi che vivono nei campi all’interno dello Stato palestinese rimarranno profughi. Non saranno considerati cittadini palestinesi”.
Campo profughi in Siria
Né il presente status, né quello delle Nazioni Unite, comprenderebbero l’eventuale ritorno dei profughi in Palestina, ha detto l’Ambasciatore. “Come sarà risolta la questione del sacro diritto al ritorno non lo so, ma dovrà essere affrontata con l’accettazione di tutti”. La statualità “non potrà mai incidere sul diritto al ritorno dei Palestinesi”. “Lo Stato è nei confini del 1967, ma i profughi non sono solo quelli dei confini del 1967. I rifugiati provengono da tutta la Palestina. Quando avremo uno Stato accettato e membro delle Nazioni Unite, questa non sarà la fine del conflitto. Non sarà la soluzione al conflitto. Sarà solo un nuovo quadro che cambierà le regole del gioco “.
campo profughi in Libano
L’Organizzazione per la Liberazione Palestinese potrebbe rimanere responsabile per i rifugiati, e Abdullah dice che l’UNRWA continuerebbe il suo lavoro come al solito. L’amministrazione del presidente americano Barack Obama ha recentemente garantito di porre il veto statuale alConsiglio di Sicurezza, che lascerebbe ai palestinesi il diritto di ottenere una risoluzione dall’Assemblea Generale. Se questo accadrà, dice Abdullah, 129 paesi si sono impegnati a voti positivi.
Gli Stati Uniti hanno di recente adottato misure per dissuadere i palestinesi dal cercare di ottenere il voto delle Nazioni Unite, inviando negoziatori ad incontri con funzionari palestinesi. L’ambasciatore dice che questi colloqui non sono stati fruttuosi. “Non ci offriranno nulla … che salverà il processo di pace”, dice. “Non ci avrebbero offerto nulla se non dirci che taglieranno gli aiuti finanziari, e altre simili minacce. La dignità è molto più importante di una pagnotta di pane. ”
Le “minacce” alle quali si riferisce l’Ambasciatore riguarderebbero il disegno di legge proposto dal presidente del U.S. House Foreign Relations Committee, Ileana Ros-Lehtinen, che taglierebbe i finanziamenti degli Stati Uniti a qualsiasi organismo delle Nazioni Unite che riconosca la sovranità palestinese. Secondo Abdullah, ora è il momento di cercare il riconoscimento statuale, perché il processo di pace è stato bloccato per circa un anno, e snocciola le date delle riunioni con gli israeliani fallite , lo scorso settembre. “Queste riunioni non ci portano un briciolo più vicino a raggiungere l’obiettivo dei negoziati.” Affermando che a suo parere ci sarebbero nuovi ostacoli, tra i quali le costruzioni di insediamenti “frettolosi” e l’insistenza di Israele affinché i palestinesi riconoscano Israele come Stato ebraico o “focolare nazionale per il popolo ebraico”.
Secondo Abdullah, i palestinesi non hanno altra scelta che andare alle Nazioni Unite a negoziati bloccati “non ci è stato lasciato nulla a proteggere il consenso internazionale della soluzione a due Stati”. “Gli Stati Uniti sbandierano di essere il campione della libertà e della democrazia in tutto il mondo, ma se negano ai palestinesi il diritto di essere liberi, di essere democratici, e di vivere con dignità, non è un buon segno per gli Stati Uniti, cio’ lascia una macchia scura … Non è buono per l’America “, dice. “L’America merita di meglio.” Accena poi alle tesioni nella regione, ricordando le tensioni tra Turchia, Israele e Egitto: “Se politiche sbagliate saranno adottate dagli Stati Uniti, si darà solo una mano libera all’estremismo, autorizzando solo forze negative. E questo renderà più difficile e complicato per le forze razionali prevalere. ”
Fin qui il resoconto del discorso. Resta da riflettere sul cinismo di una leadership che ha imbracciato in tutti questi anni il “problema profughi” e il “diritto al ritorno” come un’arma contro Israele e che candidamente ammette ora di non essere minimamente intenzionata a integrare questi profughi che cosi’ tanto hanno fruttato loro in consensi internazionali, lasciandoli dove si trovano, nei campi squallidi di quegli stessi Paesi arabi “fratelli” che si sono lavati le mani delle loro sorti. Non diventeranno cittadini palestinesi né quelli che vivono nei campi del Libano, dove le condizioni di vita sono disastrose e le discriminazioni nei confronti dei palestinesi totali; né quelli dei campi siriani, che Assad bombarda periodicamente.
E nemmeno quelli che Hamas continua a mantenere nei campi di Gaza, nonostante abbia il controllo totale della regione dal 2005. Nulla cambierà, dice l’Ambasciatore, non sarà di certo la pace. E questo lo si era intuito da tempo: i profughi palestinesi, strumentalizzati dai Paesi arabi che, a guerra perduta, se ne sono poi lavati le mani; fatti ballare come pupazzi da tutte le leadership palestinesi che in “nome loro” hanno impietosito il mondo, riscuotendo miliardi di dollari e simpatia; utilizzati dall’UNRWA che gonfiando a dismisura il loro numero iniziale, assegnando lo status di profugo ereditariamente, si è assicurata la gestione di un giro di affari favoloso, resteranno quello che sono. Non diventeranno cittadini di quello Stato che cosi’ tanto si è avvalso di loro per nascere. Nulla cambierà. L’Olp si incaricherà di “gestirli”, l’UNRWA non correrà il rischio di chiudere i battenti e rinunciare cosi’ a maneggiare montagne di soldi. Nulla cambierà. Non ci sarà la pace “dopo”. Chissà cosa ne pensano i “profughi”? C’è di che meditare.
Il termine “Pallywood” si riferisce alle costruzioni giornalistiche, allestite da giornalisti arabi e occidentali, finalizzate a presentare i palestinesi come vittime inermi dell’aggressione israeliana. In alcuni casi Pallywood mette in scena veri e propri stage cinematografici nei quali i “fatti” sono inventati di sana pianta, secondo un copione accuratamente predisposto. Cio’ è possibile (o lo è stato finora) per la credulità della stampa occidentale e per il suo desiderio di presentare immagini capaci di rafforzare il mito del palestinese/ David che si batte valorosamente contro la sopraffazione di Golia/ israeliano.
Con Pallywood gli standard giornalistici sono caduti a livelli da “spaghetti western” e le messe in scena sono assurte al rango di “eventi reali.”
1982: l’invasione del Libano
I primi chiari segnali di una emergente “industria Pallywood” risalgono all’invasione del Libano, del 1982. Lì, per la prima volta, i media sembrarono abbracciare quell’atteggiamento apertamente ostile nei confronti di Israele che porto’ Norman Podhoretz a scrivere un articolo molto discusso, dal titolo “J’Accuse”, nel quale accusava i principali media di ” antisemitismo” (su Commentary, febbraio 1983).
Podhoretz denuncio’ che:
– Utilizzando il fratello di Arafat, Fathi Arafat, capo della Mezzaluna Rossa Palestinese, le fonti palestinesi dichiararono 10.000 morti e 600.000 profughi causati dall’attacco israeliano. Senza verificare la notizia (all’epoca nel sud del Libano vivevano 300.000 persone), i mezzi di comunicazione ripetettero costantemente questi dati, fino a che divennero universalmente accettati.
– I giornalisti paragonarono l’assedio di Beirut a quello nazista di Varsavia. Difficile trovare un paragone più inappropriato, ma l’analogia tra israeliani e nazisti sembro’ avere un richiamo quasi irresistibile per alcuni giornalisti. Tra i più aggressivi, Peter Jennings.
– Furono utilizzate immagini chiaramente false, atte a screditare l’esercito israeliano, comprese quelle delle zone devastate dalla guerra civile tra palestinesi e libanesi, bambini morti che non erano morti, ecc (pp. 353-389).
– I massacri di Sabra e Shatila furono riportati in modo che nell’opinione pubblica si formasse la convinzione che fossero stati i soldati israeliani ad aver massacrato i profughi palestinesi, omettendo di informare in merito alle motivazioni della Falange maronita, responsabile dell’attacco.
Tutti conoscono la storia di Sabra e Shatila, ma solo di recente si è cominciato a sentir parlare del Darfur. Il netto contrasto tra le centinaia di morti di Sabra e Shatila e i più di diecimila di Hama, città nel centro della Siria, lo stesso anno, illustra quanto la propensione dei media sia di accentrare l’attenzione sui misfatti, non importa se veri o presunti, di Israele e quanto sia forte il potere di intimidazione che di fatto impedisce ai giornalisti di accedere e riportare notizie in merito ai crimini arabi (v. Friedman, da Beirut a Gerusalemme, cap. 4.)
– La riluttanza della stampa – in particolare da parte dei giornalisti “residenti” a rivelare il grado di brutalità dell’OLP come “Stato nello Stato” nel sud del Libano (vedi pp 219-278).
I palestinesi davanti all’entusiasmo della stampa occidentale nel riferire il peggio degli israeliani per evitare di informare in merito al peggio dei palestinesi, alla suscettibilità all’intimidazione e all’assassinio di giornalisti invisi all’OLP, agli standard molto scadenti nel vagliare e verificare le fonti e i fatti, compresero chiaramente di avere un valido alleato nei media occidentali e nei giornalisti installati presso l’hotel Commodore – (Chafets, Double Vision, capitolo 6.).
Avvelenamento di Studentesse palestinesi, Jenin (Cisgiordania), marzo, 1983
Un anno dopo la debacle dei media libanesi, Israele fu fatto oggetto di un falso premeditato, diffuso poi ampiamente : un certo numero di ragazze palestinesi di una scuola media dichiararono di essere state avvelenate da “gli israeliani.” La storia divento’ subito uno scandalo internazionale. Ogni Paese invento’ una tale varietà di dettagli che la storia fini’ per somigliare ad una versione di Rashoman. Nessuno, tuttavia, mise in dubbio la veridicità dell’avvelenamento, né le accuse a Israele. Solo dopo una lunga indagine risulto’ che non c’erano ragazze avvelenate, e che i miliziani dell’OLP avevano incoraggiato e intimidito le ragazze ed i funzionari dell’ospedale affinché confermassero la storia.
Dal punto di vista della copertura mediatica si rivelarono alcune particolarità:
– La stampa israeliana prese sul serio le accuse e solo dopo un esame medico concluse trattarsi di falsi.
– La stampa palestinese e araba dette subito per scontato che la storia fosse vera e la uso’ per incitare all’odio e diffondere la paura degli israeliani. Nonostante la mole delle contro-prove non ci fu nessun cambiamento nella copertura.
– La stampa occidentale accolse le accuse come probabili, se non vere (e gli europei furono molto più aggressivi rispetto agli americani), e quando le prove della messa in scena emersero, cessarono di riferire in merito all’incidente, lasciando gli israeliani tra diffamazione e silenzio.
Le accuse di avvelenamento costituirono il primo chiaro caso di Pallywood: l’atrocità messa in scena dagli attivisti palestinesi per raffigurare gli israeliani avvelenatori di innocenti, immediatamente sottoscritta da stampa locale e straniera.
“Questa è la storia della manifestazione straordinaria di una moderna “calunnia del sangue” contro gli ebrei e Israele, che ha coinvolto non solo arabi e musulmani, ma anche i media europei e le organizzazioni del mondo….”Poison, Raphael Israeli
La prima Intifada, 1987-1991
Durante la prima Intifada, i media trasformarono la Cisgiordania in una frenesia di brutalità israeliana in contrasto a quella molto spesso definita “resistenza non-violenta”. Per la prima volta si evidenzio’ una collaborazione aperta tra cameramen, informati in precedenza del verificarsi dei fatti o che pagavano per le sequenze d’azione che avrebbero poi potuto fotografare.
Le autorità israeliane rese insicure dall’ostilità della stampa ostile e incerte su come fermare la violenza, chiusero, in certi momenti, i territori alla stampa estera. Spesso, mentre gli inviati delle testate estere cenavano o consumavano i loro drinks all’Hotel American Colony a Gerusalemme Est, le telecamere palestinesi preparavano per loro filmati d’azione. Fu probabilmente la prima volta che i palestinesi ebbero a disposizione le apparecchiature occidentali e furono in grado di alimentare le immagini dei notiziari delle agenzie con le loro “scene di strada” .
In tempi recenti un numero crescente di articoli web e di giornale hanno descritto e denunciato la manipolazione dei media da parte dei palestinesi e il pregiudizio anti-Israele di molti media occidentali. Il regista palestinese, produttore di “Jenin, Jenin” ha ammesso, ad esempio, di aver falsificato delle scene del suo documentario, allo scopo di demonizzare Israele.
– Jeff Helmreich ha pubblicato un modello di violazione della deontologia giornalistica da parte dei media che trattano del conflitto.
– In un’intervista multimediale l’analista David Bedein ha sostenuto che negli ultimi venti anni i palestinesi hanno battuto gli israeliani nella propaganda a uso dei media del mondo.
– Josh Muravchik ha denunciato il pessimo lavoro dei media occidentali nell’informare in merito all’intifada e il meccanismo nel riportare il conflitto in modo da avvantaggiare le società autoritarie.
– Stephanie Gutmann, in “The Other War: israeliani, palestinesi e la lotta per la supremazia dei Media”, sostiene che Israele si è dibattuto in un campo di battaglia fatto di pagine editoriali, schermi televisivi e Internet
La seconda Intifada “Al Aqsa”, ottobre 2000-2004
Lo scoppio della seconda tornata di violenze palestinesi contro Israele prese avvio, ironia della sorte, a seguito dei negoziati di pace nei quali, secondo le fonti più accreditate, gli israeliani offrirono la maggior parte della Cisgiordania e tutta la Striscia di Gaza (compresa l’evacuazione degli insediamenti) in cambio della pace. Per un breve momento Barak e gli israeliani godettero di qualche simpatia sulla scena mondiale e Arafat si trovo’ in un raro stato di disapprovazione. Ma una volta che la violenza scoppio’ e Israele poté essere incolpato e, in particolare, dopo che le immagini di Muhamed al Durah (la più gigantesca frode mai messa in atto) furono mostrate dalle televisioni di tutto il mondo, l’opinione pubblica si sposto’ drammaticamente.
Forse il modo migliore per capire come Pallywood fu in grado di avere tanto successo in quella fase è quello di esaminare cio’ che successe il 29 settembre 2000, il giorno dopo che Sharon visito’ il Monte del Tempio / Haram al Sharif. Quel giorno, le agenzie di stampa riferirono di violenti scontri tra le truppe israeliane e i palestinesi infuriati per la visita. L’Amministrazione palestinese pubblico’ la fotografia di un uomo giovane, sanguinante e in ginocchio. Di fronte a lui un israeliano che brandiva un bastone. Non ci voleva un esperto per capire che qualcosa non andava. Non ci sono stazioni di rifornimento da nessuna parte vicino al Monte del Tempio, quindi la collocazione era chiaramente falsa.
Ma non si trattava di semplice collocazione errata del fatto e uno sguardo più attento suggeri’ che il soldato israeliano sembrava urlare a qualcuno che si trovasse oltre il ferito. L’uomo nella foto non era un palestinese, ma un Ebreo americano, un seminarista, che fu trascinato fuori dalla sua auto da una folla inferocita e quasi picchiato e pugnalato a morte. (Trascorse mesi in ospedale per riprendersi.) Era Tuvya Grossman. Il poliziotto israeliano non lo stava picchiando, ma proteggendo dalla folla. Il New York Times, senza controllare i fatti, pubblico’ l’immagine con la falsa didascalia.
Cio’ illustra benissimo il problema delle aspettative paradigmatiche che influenzano ciò che vediamo e come lo assimiliamo. La didascalia riscrive la storia: aggressivo israeliano attacca brutalmente disarmato palestinese nel terzo luogo santo all’Islam.
Esiste un equivalente israeliano di Pallywood?
“Anche gli israeliani diffondono notizie costruite?” I Media di ogni paese giocano su un margine di giudizio che renda le notizie presentabili al pubblico. Ci sono analisti che sostengono che Israele è di gran lunga superiore nel manipolare i mezzi di comunicazione: – Delinda C. Hanley, News Editor del Rapporto Washington per gli affari in Medio Oriente, sostiene che Israele è riuscito a dare l’immagine, nei media americani, delle vittime (i palestinesi) come aggressori.
Il “morto resuscitato”
– Alison Weir, fondatrice di If American Knew, sostiene che i media occidentali, in particolare americani, sono stati costantemente pro-israeliani nella copertura del conflitto. Lei lo chiama “un modello pervasivo di distorsione.”
– Daniel Dor, della Tel Aviv University, in “Intifada Head the Headlines,” (2004) sostiene che la stampa israeliana si è allineata con la propaganda dell’establishment israeliano. In tempi di conflitto la stampa nelle democrazie liberali svolge un “ruolo non del tutto dissimile da quello della stampa in paesi non democratici.” (Pagina 168)
Ma le differenze sono così grandi da richiedere una particolare attenzione a questo problema: – Gli israeliani non fabbricano immagini di feriti; al contrario, tabù profondi impediscono di pubblicare le immagini di cadaveri. – Gli israeliani non mostrano costantemente immagini destinate a suscitare l’odio, a differenza dei palestinesi. Basta confrontare la copertura data in Israele per le immagini orrende del linciaggio di Ramallah 12 OTTOBRE 2000 con la ripetizione costante in TV e nei programmi scolastici palestinesi delle riprese e delle ricostruzioni della storia di Muhamed Al Durah, due settimane prima.
– La stampa israeliana è una delle più autocritiche nel mondo. Errori raramente passano inosservati o taciuti. Quando l’esercito israeliano ha accusato le Nazioni Unite di usare le loro ambulanze per spostare missili Qassam e non è riuscito a fornirne la prova, la stampa israeliana ha denunciato l’errore bruscamente: “Israele si è comportato con fretta sconsiderata e ha ferito con le sue pretese di superiorità , perdendo in credibilità. ”
Non vi è alcun equivalente nella stampa palestinese di giornalisti come Gideon Levy e Amirah Hass, di Ha-Aretz . Elementi di auto-critica sono, per la maggior parte dei casi, assenti nei media arabi.
– Anche le organizzazioni denunciate dall’altra parte come “di propaganda”, ad esempio Palestinian Media Watch e MEMRI, sono scrupolosamente oneste nelle traduzioni del materiale che pubblicano dal mondo arabo e prestano attenzione a non pubblicare solo i fatti negativi ma anche quelli positivi.
– Per rendere il confronto “equilibrato” manca una distinzione importante tra le critiche ad una stampa libera in Israele e le intimidazioni e i contenuti di propaganda della stampa araba diffusa in società autoritarie. Se non si riesce a capire queste differenze, non si può comprendere il valore e l’importanza dell’ auto-critica della stampa libera che sostiene la società civile. La tolleranza per la critica e per i punti di vista diversi segna l’impegno verso la società civile.
PERCHE’ E’ IMPORTANTE denunciare Pallywood?
– Pallywood distorce l’opinione pubblica occidentale e del Medio Oriente .
– Aggrava la narrativa vittima / carnefice, dominante nell’Europa occidentale e nei media Medio Orientali, che prolunga il conflitto
– Perpetua la narrativa (palestinese) Davide Vs Golia (Israele) .
– Contribuisce alla demonizzazione di Israele / aumento di antisemitismo
– Con il suo drammaticismo, Pallywood porta alla romanticizzazione occidentale della lotta palestinese e alla giustificazione dei metodi più atroci per raggiungere i loro scopi.
“Sono belle, altamente qualificate e mortali. Sono le donne kamikaze. “Rivista New Idea Australia, 7 aprile 2003.
“Israele deve porre fine al trattamento terribile ed illecito dei detenuti palestinesi. La comunità internazionale deve reagire con urgenza ed usare qualsiasi leva in suo possesso per mettere fine al ricorso abusivo della detenzione amministrativa da parte di Israele”
Chi si è espresso in questi termini è Richard Falk. Ma chi è? Richard Anderson Falk, professore americano di diritto internazionale all’Università di Princeton, nominato nel 2008 “relatore speciale” per monitorare “la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967”. Falk è consulente dell’associazione “Israeli-Palestinian Peace-USA (FFIPP-USA)”, organizzazione che si descrive come “impegnata per la fine dell’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi e per la pace”. Sulla loro pagina si legge “Lezioni apparse chiare dall’operazione “Pillar of Defence”
1 – Il peggior nemico del sionismo è la pace: è per questo che Israele ha ucciso Jabari, il leader delle Brigate Qassam, che aveva accettato e installato l’ultima tregua tre giorni prima di essere ucciso. Per lo stesso motivo, Israele ha ucciso Arafat e Rabin, e odia Abbas.
2 -Le guerre mosse da Israele sono sempre iniziate per “autodifesa” e per “proteggere i suoi cittadini”: i bombardamenti in corso, la guerra Piombo Fuso, l’assedio, la guerra in Libano (s), 1967, 1956, 1948 e tutti gli assalti importanti in mezzo. Sempre la responsabilità per l’uccisione di civili, compresi i bambini, cade sui terroristi, che significa arabi.
Questo tanto per far capire di che tipo sia “la pace” che sostiene l’associazione. Falk ha fatto parte per molti anni dell’organizzazione Human Rights Watch, fino a che la stessa non l’ha cacciato. E perché?
Il 17 dicembre 2012, UN Watch, una Ong indipendente, con sede a Ginevra, aveva chiesto a HRW di licenziare Falk, motivando la richiesta con l’accusa di antisemitismo e diffusione di teorie della cospirazione in merito all’attentato dell’11 / 9, accuse mosse dal primo ministro britannico David Cameron, dall’Ambasciatore degli Stati Uniti Susan Rice, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e dal Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay.
“Ci complimentiamo con Human Rights Watch e il suo direttore Kenneth Roth per aver fatto la cosa giusta, ed aver infine rimosso questo nemico dei diritti umani dalla loro importante organizzazione”, ha affermato Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch.
“Un uomo che sostiene l’organizzazione terroristica di Hamas, e che è stato appena condannato dal Foreign Office britannico per il suo sostegno a un libro violentemente antisemita, non ha posto in una organizzazione dedicata ai diritti umani”, ha detto Neuer.
la vignetta pubblicata da Falk
Il libro in questione è intitolato “The Who Wandering?” ed è stato scritto da Gilad Atzmon, musicista jazz britannico. Per evitare qualsiasi dubbio sulla credenziali anti-semite di Atzmon, basta ascoltare la sua auto-descrizione nel libro stesso. Egli si vanta cosi’ “rappresento molte delle intuizioni di un uomo che … è un antisemita e un misogino radicale” e un odiatore di “quasi tutto ciò che non riesce ad essere mascolinità ariana” (pagg 89-90). Egli si dichiara un “orgoglioso, Ebreo che odia se stesso” (pag 54) , scrive con “disprezzo” di “l’Ebreo in me”(pag 94), e descrive se stesso come “un avversario forte … dell’ebraicità ” (186). I suoi scritti, sia online che nel suo nuovo libro, ricalcano i classici antisemiti presi in prestito da pubblicazioni naziste.
In tutti i suoi scritti, Atzmon afferma che gli ebrei cercano di controllare il mondo :
· “Dobbiamo iniziare a prendere l’accusa che il popolo ebraico sta cercando di controllare il mondo molto sul serio.”
· “L’ebraismo americano rende impossibile qualsiasi dibattito sulla questione se i “Protocolli degli anziani di Sion” siano un documento autentico o meglio un falso irrilevante. Gli Ebrei americani cercano di controllare il mondo, per procura “.
Falk non si è fatto mancare nulla: ha paragonato Israele ai nazisti, ha parlato di “pulizia etnica”, di “genocidio”, ha detto che il mondo “dovrebbe avere una capitale islamica globale e che questa dovrebbe essere Istanbul” e che la Turchia potrebbe “provvedere ad una civilizzazione post-occidentale”.
Ha parlato di Hamas come di un’organizzazione non terroristica e non antisemita e dell’agenda di Khaled Mashaal come di una “alternativa pacifica”
La “pacifica alternativa”
E’ stato capofila nel boicottaggio di aziende israeliane come Motorola, Caterpillar, Volvo, HP e altre. Pochi giorni dopo che l’Ayatollah Khomeini prese il potere nel 1979, Falk rassicuro’ il mondo che “la rappresentazione di Khomeini come un fanatico, reazionario e portatore di pregiudizi è certamente e felicemente falsa.”
“operatore i pace”
Nel 2008, dopo che Falk aveva sostenuto che Israele stava progettando un “Olocausto palestinese”, Bashar al-Assad , Muammar Gheddafi e altre dittature lo installarono come “relatore speciale” della situazione dei Diritti umani nei Territori palestinesi.
Falk lo scorso anno ha pubblicato una vignetta che mostra un cane, con “USA” scritto sul dorso, in testa una kippah, in procinto di divorare uno scheletro insanguinato e urinare su una figura femminile che simboleggia la giustizia. Alla fine, dopo aver inizialmente insistito a difendere il suo gesto, Falk a malincuore si è scusato – con gli ebrei e con gli animali. Non è uno scherzo: QUI
“resistenti”
Nella sua relazione alla Commissione Onu per i Diritti dell’Uomo, il 21 Marzo 2011, Falk accuso’ Israele di aver minato il rispetto del diritto internazionale, ignorato i metodi pacifici di risoluzione dei conflitti, ed eroso la credibilità del Consiglio dei diritti dell’uomo in relazione al conflitto israelo-palestinese. Confermo’ lo scetticismo palestinese circa la volontà e la capacità della comunità internazionale, e in particolare degli organi delle Nazioni Unite, di sostenere i diritti umani dei palestinesi, così a lungo sotto un’occupazione pesante. Accuse ai “coloni”, accuse per il “blocco di Gaza”, espansione di Gerusalemme est, problema dei “profughi”. L’unica soluzione, disse, è uno stato palestinese con Gerusalemme capitale. Non una parola sulle violazioni ai Diritti dell’uomo da parte di Hamas, non una parola sulle responsabilità dell’Amministrazione palestinese, non una parola sugli atti di terrorismo.
All’incontro erano presenti: Venezuela, Pakistan a nome dell’Organizzazione della Conferenza islamica, Kuwait, Siria, Brasile, Egitto, a nome del Movimento dei Paesi Non Allineati, l’Iraq a nome del gruppo arabo, Algeria, Turchia, Nigeria per conto del gruppo africano, Gibuti, l’Unione europea, Cuba, Indonesia, Stati Uniti, Tunisia, Malesia, la Federazione Russa, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Bangladesh, Libano, Maldive, Qatar, Giordania, Arabia Saudita e l’Islanda. Se ci fu chi considero’ sbilanciato il rapporto Falk ed espresse le sue perplessità, la maggior parte degli intervenuti accolsero con entusiasmo il rapporto. Per esempio Zamir Akram (Pakistan), il quale parlando a nome dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, disse che l’Organizzazione della Conferenza Islamica accoglieva con favore la relazione equilibrata e obiettiva sulla situazione dei territori occupati palestinesi “La comunità internazionale non può rimanere in silenzio su questa carneficina”.
SADIQ M.S. Marafi (Kuwait) disse di aver esaminato la relazione con grande interesse e condanno’ la violazione dei diritti umani in Palestina. “Il Kuwait ribadisce che una pace giusta e duratura può avere luogo solo con un pieno ritiro di Israele dai territori occupati palestinesi e con il raggiungimento di uno Stato palestinese con Gerusalemme come sua capitale.”
Faysal KHABBAS Hamoui (Siria) lo ringrazio’ per i suoi sforzi coraggiosi nel rivelare le violazioni commesse da Israele contro il popolo palestinese. (la Siria!!!) “C’è la necessità di un’azione urgente da parte del Consiglio dei diritti umani per proteggere il popolo palestinese e per stabilire lo Stato palestinese con Gerusalemme come sua capitale.”
HEBA MOSTAFA Rizk (Egitto), parlando a nome del Movimento dei Paesi Non Allineati, chiese al relatore speciale quali misure specifiche il Consiglio avrebbe dovuto prendere per provocare una più grave reazione internazionale in merito alle violazioni dei diritti umani che si erano verificate per più di 60 anni.
MOHAMED ALI ALHAKIM (Iraq), ribadi’ “il diritto di uno Stato libero e indipendente con Gerusalemme come capitale, e la restituzione delle loro terre ancestrali in linea con le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite.”
IDRISS JAZAIRY (Algeria) disse che “L’ Algeria è molto preoccupata per le continue violazioni dei diritti umani a causa delle pratiche oppressive da parte della potenza occupante” (l’Algeria!!!)
FRANK ISOH (Nigeria), parlando a nome del gruppo africano accolse con favore il rinnovo dell’incarico di Falk per un rinvio della situazione alla Corte internazionale di giustizia per una decisione autorevole sul fatto che gli elementi della occupazione israeliana costituivano forme di colonialismo e apartheid.
Mohamed Siad DOUALEH (Gibuti) ringrazio’ il relatore speciale per la qualità della sua relazione.
JUAN QUINTANILLA (Cuba) ribadi’ il suo sostegno inequivocabile per la causa del popolo palestinese e la creazione dello Stato libero e indipendente palestinese con Gerusalemme Est (bontà sua, specifico’ est) come capitale. In chiusura, Cuba chiese al relatore speciale quali misure erano necessarie per guidare Israele a cooperare con il mandato e di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite.
“legittime critiche a un governo”
Ecco, questi sono alcuni dei Paesi, campioni nel mondo per violazioni dei Diritti umani, che votano le Risoluzioni Onu contro Israele.
Naturalmente Falk è anche uno dei massimi sostenitori della teoria del complotto in merito all’11 settembre. Richard Falk ha scritto la prefazione al libro più famoso nel settore: “Aknowledgement” di David Ray Griffin che si dice “in debito con Richard Falk, per ragioni che vanno al di là della sua gentilezza nello scrivere la prefazione. Fu attraverso la sua influenza che ho iniziato a lavorare su questioni politiche globali … Ed è stato per mezzo suo che ho potuto collegarmi alla Olive Branch Press of Interlink Publishing “, l’editore del libro. “Sono particolarmente grato per questa connessione.”
Le teorie di Griffin sono così estreme che, come egli ammette, anche il leader radicale Noam Chomsky ha rifiutato di scrivere un avallo. “Richard Falk ha scritto a Chomsky e gli ha detto, “penso che dovrebbe leggere questo manoscritto. Il mio amico David Griffin è un suo grande ammiratore…“ Chomsky ha risposto “No, non voglio leggere il libro del suo amico Griffin.”
Eppure, senza sorprese, nella stampa italiana on line c’è chi ha dato molto risalto ai deliri di Falk; in certi ambienti posizioni come le sue sono ritenute “di buon senso” e forse perfino “in direzione della pace”. Cosi’ per Myriam Marino, della Rete Eco, che si premura di sottolineare le radici ebraiche di Falk, cercando di scongiurare eventuali accuse di anti semitismo, come non sapesse che esistono Ebrei anti semiti fieri di esserlo, come Gilad Atzmon per esempio. Naturalmente, tutte le pagine che incitano al boicottaggio dei prodotti israeliani; la pagina intitolata a Vittorio Arrigoni, che si guarda bene dall’informare che Samer Issawi non è un attivista per i diritti umani, ma un terrorista con esseri umani sulla coscienza e che anzi pubblica vignette come questa,tanto per ribadire
Chiudiamo questo escursus nelle miserie politiche ricordando che: “Secondo la risoluzione 5/1 i seguenti criteri generali saranno di fondamentale importanza durante la nomina e la selezione dei titolari di mandati:
(a) le competenze, (b) esperienza nel campo del mandato,
(c) l’indipendenza, (d) imparzialità, (e) l’integrità personale, e (f) l’obiettività….
E per Richard Falk perché non sono state applicate queste regole?
In merito all’adozione della risoluzione ONU 3379 che includeva l’equazione Sionismo=razzismo, l’Ambasciatore d’Israele Herzog insorse per denunciare la bassezza della risoluzione stessa e di coloro che si accingevano a votarne l’adozione. Nell’occasione tenne un discorso memorabile sull’origine e il significato del Sionismo e sul suo legame inscindibile col Popolo Ebraico, che in quel momento egli rappresentava, di fronte ad un consesso di nazioni apertamente ostili. Questo discorso figura nella Storia, fianco a fianco con i più famosi discorsi tenuti in pubblico per perorare la causa dei più basilari diritti umani, come il celebre “I have a dream” di M. Luther King che di Israele in altra occasione scrisse:
“I nostri fratelli in Africa hanno mendicato, implorato, supplicato, chiedendo che venisse riconosciuto ed attuato il nostro congenito diritto a vivere in pace sotto la nostra sovranità e nel nostro Paese. (…) Come dovrebbe essere facile, per chiunque abbia a cuore questo inalienabile diritto umano, comprendere e sostenere il diritto del Popolo Ebraico a vivere nell’antica terra d’Israele. Gli uomini di buona volontà esultano nel vedere la promessa di Dio realizzata, nel vedere il suo popolo che torna gioiosamente a ricostruire la sua terra devastata. QUESTO E’ IL SIONISMO, niente di più e niente di meno.”
E’ simbolico che questo dibattito, che potrebbe rivelarsi un punto di svolta nelle vicende delle Nazioni Unite e un fattore determinante per la possibile esistenza futura di questa organizzazione, debba avvenire il 10 novembre. Questa notte, 37 anni fa, è passata alla storia come Kristallnacht, o la Notte dei Cristalli. In quella notte del 10 novembre 1938, gli assalitori nazisti di Hitler lanciarono un attacco coordinato alla comunità ebraica in Germania, bruciarono le sinagoghe in tutte le città e si accesero roghi per le strade con i Libri Sacri, i rotoli della Legge Sacra e la Bibbia.
In quella notte le case ebraiche furono attaccate e i capi famiglia portati via, di questi non molti ritornarono. In quella notte le vetrine di tutti i negozi appartenenti agli ebrei furono distrutte e coprirono le strade delle città tedesche con uno strato di vetri rotti che si ridussero in milioni di cristalli, dando così il nome a quella notte: Kristallnacht, la Notte dei Cristalli. Quella notte ha portato infine ai forni crematori e alle camere a gas, ad Auschwitz, Birkenau, Dachau, Buchenwald, Theresienstadt, e altri. Quella notte ha portato all’olocausto più terrificante della storia dell’uomo.
E’ davvero giusto che questo progetto (la risoluzione in discussione n.d.r.), concepito nel desiderio di deviare il Medio Oriente dalle sue mosse verso la pace, e nato da una profonda sensazione pervasiva di antisemitismo, debba essere posto in discussione proprio in questo giorno che ricorda uno dei giorni più tragici di uno dei periodi più bui della nostra storia? E’ opportuno che le Nazioni Unite, che hanno iniziato la loro vita come alleanza anti-nazista, debbano, 30 anni dopo, ritrovarsi a diventare il centro mondiale dell’anti-semitismo? Hitler si sarebbe sentito a casa in diverse occasioni durante l’anno passato, ascoltando il procedimento dei lavori in questa forma e, soprattutto, al procedimento dei lavori nel corso del dibattito sul Sionismo.
È un’osservazione che fa riflettere e considerare fino a che punto questo Organismo è stato trascinato verso il basso, se siamo costretti oggi a contemplare un attacco contro il Sionismo. Poiché questo attacco costituisce non solo un attacco antisemita della più ripugnante sorta, ma anche un attacco in questo organismo mondiale contro l’ebraismo, una delle più antiche religioni nel mondo, una religione che ha dato al mondo i valori umani della Bibbia, una religione, da cui due altre grandi religioni, Cristianesimo e Islam, sorsero – una grande religione, consolidata, che ha dato al mondo la Bibbia con i suoi dieci comandamenti, i grandi profeti del passato, Mosè, Isaia, Amos, i grandi pensatori della storia, Maimonide, Spinoza, Marx, Einstein, molti dei maestri delle arti, e un’alta percentuale di premi Nobel del mondo, nelle scienze, le arti e le discipline umanistiche, come nessun altro popolo sulla terra.
Si può solo riflettere e meravigliarsi di fronte alla prospettiva dei Paesi che si considerano parte del mondo civilizzato e che si stanno unendo a questo primo attacco organizzato contro una religione stabilita fin dal Medioevo. Sì, a queste profondità, indietro fino al Medioevo, veniamo trascinati oggi da coloro che sostengono questa proposta di risoluzione.
Il progetto di risoluzione, prima della Terza Commissione era in origine una risoluzione che condannava il razzismo e il colonialismo, un argomento sul quale il consenso avrebbe potuto essere raggiunto, un consenso che è di grande importanza per tutti noi e per i nostri colleghi Africani in particolare. Tuttavia, invece di permettere che ciò accadesse, un gruppo di paesi, inebriato dalla sensazione di potere data alla maggioranza automatica, e senza tener conto dell’importanza di raggiungere un consenso su questo tema, ha pilotato la Commissione in modo sprezzante, con l’uso appunto della maggioranza automatica, fino a imporre il Sionismo come soggetto in discussione.
Non vengo a questa tribuna per difendere i valori morali e storici del popolo ebraico. Non hanno bisogno di essere difesi. Parlano da sé. Hanno dato agli uomini molto di ciò che è grande ed eterno. Hanno fatto per lo spirito dell’uomo più di quanto possa essere facilmente apprezzato in un forum come questo. Vengo qui a denunciare i due grandi mali che minacciano la società in generale e una società delle nazioni in particolare. Questi due mali sono l’odio e l’ignoranza. Questi due mali sono la forza motrice dietro i fautori di questa proposta di risoluzione e dei loro sostenitori. Questi due mali caratterizzano coloro che vorrebbero trascinare questa Organizzazione Mondiale, la cui idea fu concepita dai profeti di Israele, alle profondità a cui è stata trascinata oggi.
La chiave per comprendere il Sionismo sta nel suo nome. Nella Bibbia, la più occidentale delle due colline di Gerusalemme antica era chiamata Sion. Era il X secolo AC. Di fatto, il nome “Sion” appare 152 volte nell’Antico Testamento riferimento a Gerusalemme. Il nome è prevalentemente una denominazione poetica e profetica. Le qualità religiose ed emozionali del nome derivano dall’importanza di Gerusalemme come la Città Reale e la città del Tempio. “Monte Sion” è il luogo dove Dio abita, secondo la Bibbia.
Gerusalemme o Sion, è un luogo dove il Signore è il Re secondo Isaia, e dove ha installato il suo Re David, come citato nei Salmi. Il re Davide fece di Gerusalemme la capitale di Israele quasi 3000 anni fa, e Gerusalemme è rimasta la capitale da allora. Nel corso dei secoli il termine “Sion” è cresciuto e si è espanso a significare tutto Israele. Gli Israeliti in esilio non potevano dimenticare Sion. Il salmista ebraico, seduto presso le acque di Babilonia giurò: “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra” (Salmo 137, n.d.r.). Questo giuramento è stato ripetuto per migliaia di anni da parte degli ebrei di tutto il mondo. Si tratta di un giuramento che è stato fatto oltre 700 anni prima dell’avvento del Cristianesimo, e più di 1200 anni prima dell’avvento dell’Islam.
Alla luce di tutte queste connotazioni, Sion è venuto a significare la patria ebraica, simbolo dell’ebraismo, di aspirazioni nazionali ebraiche. Ogni Ebreo, mentre pregava il suo Dio, ovunque si trovasse nel mondo, si rivolgeva verso Gerusalemme. Queste preghiere hanno espresso per oltre 2000 anni di esilio, il desiderio del popolo ebraico di tornare alla sua antica patria, Israele. In realtà, una presenza continua ebraica, in numero maggiore o minore, è stata mantenuta nel paese nel corso dei secoli. Il Sionismo è il nome del Movimento Nazionale di Liberazione del Popolo Ebraico ed è l’espressione moderna del patrimonio ebraico. L’ideale sionista, come indicato nella Bibbia, è stato, ed è, parte integrante della religione ebraica.
Il Sionismo sta al popolo ebraico, come il movimento di liberazione dell’Africa e dell’Asia sono stati ai loro popoli. Il Sionismo è uno dei più emozionanti e costruttivi movimenti nazionali nella storia umana. Storicamente, si basa su una connessione univoca e ininterrotta, che si estende per circa 4.000 anni, tra il Popolo del Libro e la Terra della Bibbia. In tempi moderni, nel tardo Ottocento, spinto dalle forze gemelle della persecuzione antisemita e dal nazionalismo, il popolo ebraico ha organizzato il Movimento Sionista, al fine di trasformare il suo sogno in realtà. Il Sionismo, come movimento politico, ha rappresentato la rivolta di una nazione oppressa contro i saccheggi e la discriminazione e l’oppressione dei malvagi dei paesi in cui l’antisemitismo fiorì.
Abba Kovner (a sinistra), uno dei leader della resistenza ebraica a Vilnius,1944
Non è di certo una coincidenza, e non sorprende affatto, che gli sponsor e sostenitori di questo progetto di risoluzione includano paesi che sono stati e sono colpevoli ancor oggi del crimine orribile di antisemitismo e di discriminazione. Il supporto agli obiettivi del Sionismo è stato scritto nel Mandato della Lega delle Nazioni per la Palestina, ed è stato nuovamente approvato dalle Nazioni Unite nel 1947, quando l’Assemblea generale ha votato con una maggioranza schiacciante per la restaurazione dell’indipendenza ebraica nella nostra antica terra.
Il ristabilimento dell’indipendenza ebraica in Israele, dopo secoli di lotta per superare la conquista estera e l’esilio, è una rivendicazione dei concetti fondamentali di parità delle nazioni e di autodeterminazione. Mettere in discussione il diritto del popolo ebraico all’esistenza nazionale e la sua libertà, non è solo di negare al popolo ebraico il diritto accordato a ogni altro popolo in questo mondo, ma è anche negare i precetti centrali delle Nazioni Unite.
Perché il sionismo non è altro – e niente di meno – che il senso di origine e destinazione verso la terra del Popolo Ebraico, la terra eternamente legata al suo nome. E ‘anche lo strumento con cui il popolo ebraico chiede una realizzazione autentica di se stesso.
La resistenza nei ghetti: la Brigata Partigiana “Lenin”
E il dramma si compie nella regione in cui la nazione araba ha realizzato la sua sovranità in 20 Stati, che contano un centinaio di milioni di persone in quattro milioni e mezzo di chilometri quadrati, con grandi risorse. Il problema quindi non è se il mondo verrà a patti con il nazionalismo arabo. La domanda è: fino a che punto il nazionalismo arabo, con la sua sovrabbondanza prodigiosa di vantaggio, ricchezza e opportunità, verrà a patti con i modesti ma uguali diritti di un altro Paese mediorientale a proseguire la sua vita in sicurezza e pace?
Le feroci diatribe sul Sionismo espresso qui dai rappresentanti arabi, possono dare a questa Assemblea l’impressione sbagliata che mentre il resto del mondo ha sostenuto il Movimento di Liberazione Nazionale Ebraico, il mondo arabo sia sempre stato ostile al Sionismo. Ma non è affatto così.
I leader arabi, al corrente dei diritti del popolo ebraico, hanno avallato pienamente le virtù del Sionismo. Lo Sceriffo Hussein, il leader del mondo arabo durante la Prima Guerra Mondiale, ha accolto il ritorno degli ebrei in Palestina. Suo figlio, l’Emiro Feisal, che ha rappresentato il mondo arabo alla Conferenza di Pace di Parigi ha avuto questo da dire circa il sionismo, il 3 marzo 1919:
“Noi arabi, in particolare i più colti fra noi, guardiamo con profonda simpatia al movimento Sionista… noi auguriamo agli Ebrei un cordiale bentornati a casa… Stiamo lavorando insieme per un Vicino Oriente riformato e rinnovato, e i nostri due movimenti si completano l’un l’altro. Il movimento è nazionale e non imperialista. C’è spazio in Siria per entrambi. Anzi, penso che nessuno dei due possa raggiungere un pieno successo senza l’altro.”
L’Emiro Feisal (Faysal ibn al-Husayn ibn ʿAlī) primo re dell’Iraq e re della Siria, fu animatore della Rivolta Araba contro gli Ottomani.
E’ forse pertinente a questo punto ricordare, che nel 1947, quando la questione della Palestina è stata oggetto di dibattito in seno alle Nazioni Unite, l’Unione Sovietica ha sostenuto con forza la lotta di indipendenza ebraica. E’ particolarmente importante ricordare alcune delle osservazioni di Mr. Andrei Gromyko il 14 maggio 1947, un anno prima della nostra indipendenza:
“Come sappiamo, le aspirazioni di una parte considerevole del Popolo Ebraico sono collegate con il problema della Palestina e della sua futura amministrazione. Questo fatto non richiede grandi prove… Durante l’ultima guerra, il Popolo Ebraico ha subito dolore e sofferenze eccezionali. Senza alcuna esagerazione, questo dolore e questa sofferenza sono indescrivibili. E’ difficile esprimerli in aride statistiche sulle vittime delle aggressori fasciste. Gli Ebrei nei territori dove gli hitleriani imperavano, sono stati sottoposti al quasi completo annientamento fisico. Il numero totale degli ebrei che morirono per mano del boia nazista è stimato a circa sei milioni… “
“Le Nazioni Unite non possono e non devono considerare questa situazione con indifferenza, poiché questo sarebbe incompatibile con gli alti principi proclamati nella sua Carta, che prevede la difesa dei Diritti Umani, a prescindere da razza, religione o sesso…”
“Il fatto che nessuno Stato dell’Europa occidentale sia stato in grado di assicurare la difesa dei diritti elementari del Popolo Ebraico e di salvaguardarlo contro la violenza dei carnefici fascisti, spiega le aspirazioni degli ebrei a stabilire il proprio Stato. Sarebbe ingiusto non tenerne conto e negare il diritto del Popolo Ebraico a realizzare questa aspirazione.”
Queste sono le parole del signor Andrei Gromyko alla sessione dell’Assemblea Generale il 14 maggio 1947. Quanto è triste vedere qui un gruppo di nazioni, molte delle quali solo di recente si sono liberate dal dominio coloniale, deridere uno dei movimenti di liberazione più nobili di questo secolo, un movimento che non solo ha dato un esempio di incoraggiamento e di determinazione alle persone che lottano per l’indipendenza, ma che ha anche attivamente aiutato molti di loro, durante il periodo di preparazione per la loro indipendenza, o subito dopo. Qui avete un movimento, incarnazione di un unico spirito pionieristico, della dignità del lavoro e di sostegno ai valori umani, un movimento che ha presentato al mondo un esempio di uguaglianza sociale e aperta democrazia, che viene associato in questa risoluzione con ripugnanti concetti politici.
Noi, in Israele, abbiamo cercato di creare una società che si sforza di attuare gli ideali più alti di società -politica, sociale e culturale – per tutti gli abitanti di Israele, a prescindere dal credo religioso, razza o sesso. Mostratemi un’altra società così pluralistica nella quale, nonostante tutti i problemi difficili tra i quali viviamo, Ebrei e Arabi convivono con un tale grado di armonia, in cui sono osservati la dignità e i diritti dell’uomo di fronte alla legge, in cui la condanna a morte non viene applicata, in cui la libertà di parola, di movimento, di pensiero, di espressione sono garantite, in cui anche i movimenti che si oppongono ai nostri obiettivi nazionali, sono rappresentati nel nostro Parlamento.
I delegati arabi parlano di razzismo. E non ci sta nella loro bocca. Che cosa è successo agli 800.000 Ebrei che hanno vissuto per oltre 2.000 anni nei paesi arabi, che hanno costituito alcune delle più antiche comunità molto tempo prima dell’avvento dell’Islam? Dove sono queste comunità? Che cosa è accaduto alla gente, cosa è successo alle loro proprietà? Gli Ebrei erano una volta una delle comunità più importanti nei paesi del Medio Oriente, i leader del pensiero, del commercio, della scienza medica. Dove sono nella società araba di oggi?
Osate parlare di razzismo quando posso indicare con orgoglio i Ministri arabi che hanno prestato servizio nel mio Governo, il Vice Presidente arabo del mio Parlamento, i funzionari arabi e gli uomini che servono di loro spontanea volontà nelle nostre forze armate, polizia di frontiera e, spesso, comandano le truppe ebraiche; le centinaia di migliaia di arabi provenienti da tutto il Medio Oriente che affollano le città di Israele ogni anno, e migliaia di arabi provenienti da tutto il Medio Oriente in arrivo per cure mediche in Israele, la coesistenza pacifica che si è sviluppata, al punto che l’arabo è lingua ufficiale in Israele al pari con l’ebraico; il fatto che sia più naturale per un arabo servire in carica pubblica in Israele, in quanto è assurdo pensare ad un Ebreo che serve in un qualsiasi pubblico ufficio in un paese arabo, sempre che vengano ammessi in questi paesi. E’ questo il razzismo? No, non lo è. Questo è il Sionismo.
Il nostro è un tentativo di costruire una società, seppure imperfetta – e quale società può dirsi perfetta?- in cui le visioni dei profeti di Israele siano realizzate. So che abbiamo dei problemi. So che molti non sono d’accordo con le politiche del nostro governo. Anche molti in Israele discordano di volta in volta con le politiche del Governo, e sono liberi di farlo, perché il Sionismo ha creato il primo e unico vero e proprio Stato democratico in una parte del mondo che non conosceva realmente la democrazia e la libertà di parola.
Questa risoluzione maligna, progettata per distrarci dal suo vero scopo, fa parte di un pericoloso idioma antisemita che viene insinuato in ogni dibattito pubblico da parte di coloro che hanno giurato di bloccare il passaggio verso l’accoglienza e, infine, verso la pace in Medio Oriente. Questo, insieme con mosse simili, è stato progettato per sabotare gli sforzi della Conferenza di Ginevra per la pace in Medio Oriente. Stiamo vedendo qui oggi nient’altro che un’ulteriore manifestazione dell’amaro odio antisemita, anti-ebraico che anima la società araba.
Chi avrebbe mai creduto che nell’anno 1975 le falsità maligne dei Protocolli dei Savi di Sion, sarebbero state distribuite ufficialmente dai governi arabi? Chi avrebbe mai creduto che avremmo oggi contemplato una società araba che insegna il più vile odio anti-ebraico negli asili? Chi avrebbe mai creduto che un capo di Stato arabo si sentisse obbligato a praticare pubblicamente l’antisemitismo della più bassa lega quando visita una nazione amica?
L’arabo è la seconda lingua ufficiale i Israele
Siamo attaccati da una società che è motivata dalla forma più estrema di razzismo conosciuta nel mondo di oggi. Questo è il razzismo che è stato espresso in modo sintetico nelle parole del leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Yasser Arafat, nel suo discorso di apertura in un simposio a Tripoli, in Libia, cito: “Non ci sarà nessuna presenza nella regione eccetto per la presenza araba”. In altre parole, in Medio Oriente, dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico, una sola presenza è permessa, e cioè la presenza araba. Nessun altro popolo, indipendentemente da quanto sono profonde le sue radici nella regione, deve essere ammesso a godere del suo diritto all’auto-determinazione. Guardate il tragico destino dei Curdi in Iraq. Guardate cosa è successo alla popolazione nera nel sud del Sudan. Guardate il pericolo terribile, in cui un’intera comunità di Cristiani si trova in Libano. Guardate la politica dichiarata dell’OLP, che nel suo Patto della Palestina prevede la distruzione dello Stato di Israele, che nega qualsiasi forma di compromesso sulla questione palestinese, e che, nelle parole del suo rappresentante solo l’altro giorno in questo stesso edificio, considera Tel Aviv un “territorio occupato”.
Guardate tutto questo e vedrete davanti a voi la causa principale della risoluzione perniciosa portata dinanzi a questa Assemblea. Vedrete i mali gemelli di questo mondo, al lavoro: l’odio cieco dei fautori arabi della presente risoluzione, e l’ignoranza abissale e la malvagità di coloro che li sostengono. La questione prima di questa Assemblea non è Israele e non è il Sionismo. Il problema è il destino di questa Organizzazione. Concepita nello spirito dei profeti d’Israele, nata da una alleanza anti-nazista, dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, è degenerata in un Forum che è stato descritto la settimana scorsa da uno dei maggiori scrittori di un importante organo sociale per il pensiero liberale in Occidente in questo modo, cito:
è rapidamente diventato una delle creazioni più corrotte e corruttrici di tutta la storia delle istituzioni umane… pressoché senza eccezioni, la maggioranza proviene da Stati noti per l’oppressione razzista di ogni colore immaginabile…””Israele è una democrazia sociale …il suo popolo e il suo Governo hanno un profondo rispetto per la vita umana, così appassionato che, nonostante ogni provocazione immaginabile, si sono rifiutati per un quarto di secolo di giustiziare anche solo un singolo terrorista catturato. Essi hanno anche una cultura antica ma vigorosa, e una tecnologia fiorente. La combinazione di qualità nazionali che hanno assemblato nelle loro breve esistenza come Stato è una perenne condanna che inasprisce la maggior parte dei nuovi paesi i cui rappresentanti si pavoneggiano nel palazzo delle Nazioni Unite.”Così Israele è invidiato e odiato, e ogni sforzo viene messo in atto per distruggerlo. Lo sterminio degli israeliani è stato a lungo l’obiettivo principale del terrorismo internazionale, ma hanno calcolato che se si può spezzare Israele, allora tutto il resto della civiltà è vulnerabile ai loro assalti”.
Tel Aviv
E poi conclude:
“La triste verità, temo, è che le candele della civiltà stanno bruciando sempre più in basso. Il mondo è sempre più governato non tanto dal capitalismo, o dal comunismo o dalla democrazia sociale, o addirittura dalla barbarie tribale, quanto piuttosto da un lessico falso, fatto di cliché politici, accumulato in oltre mezzo secolo e che ora sta assumendo una sorta di degenerazione verso l’autorità sacerdotale… Tutti noi sappiamo di che si tratta…”
Nel corso dei secoli è toccato in sorte al mio popolo di essere la cartina al tornasole della decenza umana, il metro di paragone della civiltà, il crogiolo in cui duraturi valori umani devono essere testati. Il livello di umanità di una nazione potrebbe sempre essere giudicato dal suo comportamento verso la sua popolazione ebraica. E ‘sempre cominciato con gli ebrei, ma non si è conclusa con loro.
Vita di tutti i giorni in Israele
I pogrom anti-ebraici nella Russia zarista erano solo la punta di un iceberg che ha rivelato il marciume intrinseco del regime, che ben presto scomparve nella tempesta della rivoluzione. Gli eccessi antisemiti dei nazisti solo pallidamente prefigurarono la catastrofe che doveva colpire l’umanità in Europa. Questa scellerata risoluzione deve suonare la sveglia per tutte le persone oneste del mondo. Il popolo ebraico, come cartina al tornasole, purtroppo non ha mai commesso un errore. Le implicazioni inerenti a questa mossa vergognosa sono davvero terrificanti. Su questo tema, il mondo rappresentato in questa sala si è diviso in buono e cattivo, dignitoso e abietto, umano e degradato. Noi, Popolo Ebraico, ricorderemo nella storia la nostra gratitudine a quelle nazioni che si sono alzate in piedi e che hanno rifiutato di sostenere questa proposta sciagurata. So che questo episodio avrà rafforzato le forze della libertà e del decoro in questo mondo e li hanno fortificati nella loro volontà di rafforzare gli ideali che tanto apprezzano. So che questo episodio avrà rafforzato il Sionismo come ha indebolito le Nazioni Unite.
Mentre sono su questa tribuna, la storia lunga e orgogliosa del mio popolo si dipana davanti al mio occhio interiore, vedo gli oppressori del nostro popolo nel corso dei secoli che passano uno dopo l’altro in una nefanda processione verso l’oblio. Mi trovo qui davanti a voi in qualità di rappresentante di un popolo forte e rigoglioso, che è sopravvissuto a tutti e che sopravviverà a questo spettacolo vergognoso e ai sostenitori di questa risoluzione. Io sono qui come rappresentante di un popolo di profeti, che ha dato a questo mondo la profezia sublime che animava i fondatori di questa Organizzazione mondiale e che adorna l’ingresso di questo edificio:
“… Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia ii, 4)
Tre versi prima di questo, il profeta Isaia proclamava:
“E avverrà negli ultimi giorni… Poiché da Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme”. (Isaia, ii, 2 e 3)
Mentre sono su questa tribuna, i grandi momenti della storia ebraica mi vengono in mente mentre vi affronto, ancora una volta in inferiorità numerica e come aspirante vittima di odio, ignoranza e male. Ripenso a quei grandi momenti. Ricordo la grandezza di una nazione che ho l’onore di rappresentare in questo forum. Ho in mente in questo momento tutto il Popolo Ebraico in tutto il mondo ovunque i suoi membri si trovino, sia in libertà che in schiavitù, le cui preghiere e i cui pensieri sono con me in questo momento. Io sono qui non come supplice. Votate come le vostre coscienze e la vostra morale vi impongono. Poiché il problema non è Israele o il Sionismo. Il problema è la sopravvivenza dell’Organizzazione che è stata trascinata al suo livello più basso di discredito da una coalizione di dispotismi e di razzisti.
Il voto di ogni delegazione registrerà nella storia la posizione del suo paese rispetto al razzismo antisemita e anti-ebraico. Voi stessi porterete la responsabilità per la vostra presa di posizione di fronte alla storia, poiché in ragione della vostra posizione sarete visti dalla storia. Ma noi, Popolo Ebraico, non dimentichiamo.
Tel Aviv
Per noi, il Popolo Ebraico, questo non è che un episodio di passaggio in una storia ricca e piena di eventi. Abbiamo messo la nostra fiducia nella nostra Provvidenza, nella nostra fede e nel nostro credo, nella nostra tradizione santificata dal tempo, nella nostra lotta per l’avanzamento sociale e per i valori umani, nelle nostra gente, ovunque si trovi.
Per noi, il Popolo Ebraico, questa risoluzione, basata sull’odio, la menzogna e l’arroganza, è priva di qualsiasi valore morale o legale. Per noi, il Popolo Ebraico, questo non è altro che un pezzo di carta, e verrà trattato come tale.
(Il 16 Dicembre 1991, l’Onu ritiro’ la mozione del 10 Novembre 1975)
Questa serie di cartine l’ho trovata in ogni pagina e sito di propaganda pro-palestinese. Dovrebbe “dimostrare” quanto territorio “palestinese” Israele ha fagocitato nel corso degli anni. In realtà queste cartine sono una BUGIA. E proprio partendo dalla prima a sinistra.
Presumendo che le sezioni bianche siano state davvero terre di proprietà privata di ebrei, la terra in verde non è stata mai proprietà privata di di arabi. Solo una piccola percentuale di terra, in Palestina, era di proprietà privata. Le varie categorie di proprietà della terra includono:
– Mulk: proprietà privata nel senso occidentale.
– Miri: Terreno di proprietà del governo (in origine della corona ottomana) e adatto per uso agricolo. E’ possibile l’acquisto di un atto che autorizza a coltivare questa terra e pagarne la decima al governo. La proprietà può essere trasferita solo con l’approvazione dello Stato. I diritti delle terre che ricadono nella tipologia Miri possono essere trasferiti agli eredi, e la terra puo’ essere sub-locata a inquilini. Se il proprietario è morto senza un erede o il terreno non è stato coltivato per tre anni, la terra torna allo Stato.
– Mahlul: terre incolte della tipologia Miri, che ritornano allo Stato, in teoria, dopo tre anni.
– Mawat (o Mewat): la cosiddetta terra ”morta”, che nessuno, cioè, ha reclamato. Essa costituiva circa il 50/ 60% della terra in Palestina. Apparteneva al governo. … Se il terreno fosse stato coltivato con il permesso obbligatorio, sarebbe stata registrata, almeno nell’ambito del mandato, a titolo gratuito.
All’inizio degli anni 1940, gli ebrei possedevano circa un terzo della terra della tipologia Mulk, in Palestina e gli arabi circa i due terzi. La stragrande maggioranza della superficie totale, invece, apparteneva al governo, il che significa che quando lo stato di Israele fu fondato, essa divenne giuridicamente Israele. (Circa il 77% della terra era di proprietà del governo. In totale, 6 milioni di dunam di terreno furono registrati come tassabili, da Ebrei e Arabi nel 1936, escluso il distretto di Beershiba, come mostrato in questo sito prezioso, dedicato al tema da cui ho attinto molte di queste informazioni.) Dire che le aree verdi erano terra “palestinese” è semplicemente una menzogna.
La seconda:
Sebbene questa sia una rappresentazione accurata del piano di spartizione, non ha nulla a che fare con la proprietà della terra. Il solo scopo di questa mappa è quello di fungere da ponte tra le mappe 1 e 3. Ciò che non è detto, naturalmente, è che Israele accetto’ la partizione e gli arabi non lo fecero, così come risultato sembra che Israele nel 1949 fosse come nella mappa 3.
La Mappa 3 è un’altra bugia, però, perché in nessun modo la terra in verde era, in quel momento, ”palestinese” . Gaza era amministrata dall’Egitto e la Cisgiordania annessa dalla Giordania. Nessuno, in quel momento, parlava di uno stato arabo palestinese sulle zone controllate dagli stati arabi. In altre parole, questa progressione di mappe è una serie di bugie destinate a creare una menzogna più grande, ed è tragico che un sacco di gente creda che siano la verità. Ecco un piccolo tentativo da parte mia per mostrare un quadro più preciso del territorio che Israele controllava dal 1967:
Questa mappa mostra che Israele aveva il controllo del Sinai, Gaza, Libano meridionale e gran parte della Cisgiordania. Invece di accusare falsamente Israele di stato canaglia, mostra come Israele sia forse l’unico stato nella storia che ha volontariamente rinunciato a più di due terzi delle aree che controllava, in cambio di niente di più che un accordo firmato – o a volte nemmeno quello. Mettendo a rischio la sicurezza del suo popolo. Questo perché Israele vuole, disperatamente, vivere in pace con i suoi vicini. Desiderio non ricambiato da quei vicini di casa, purtroppo. La vera mappa mostra le concessioni che Israele ha fatto nella speranza, spesso vana, di pace.
“Abbiamo commesso un terribile errore con una delle nostre foto del 18 aprile 2012, mal traducendo la didascalia che ci aveva fornito l’AFP, in merito alla “ricostruzione”, avvenuta in un campo di rifugiati in Libano, dell’arresto di un palestinese da parte di falsi militari israeliani. Abbiamo omesso d’indicare che si trattava di una messa in scena, che questi “soldati” recitavano una parte e che si trattava di pura e semplice propaganda. E’ una colpa, attenuata appena dalla fretta e dalla cattiva rilettura che l’hanno provocata. Lo sarebbe in ogni caso, tanto più in questo: dare adito alla benché minima ambiguità riguardo a un soggetto cosi’ sensibile, quando sappiamo che le immagini possono essere utilizzate come armi da guerra, dare credito a uno stratagemma cosi’ grossolano, che può’ contribuire ad alimentare l’esasperazione anti sionista proprio dove essa si infiamma anche senza bisogno di combustibile, non è scusabile in alcun modo. Abbiamo sbagliato, in modo grave. Ho sbagliato, in modo grave: sono responsabile del sito dell’Express e quindi della scivolata. Per questo faccio ammenda, a capo basso, verso gli internauti offesi, verso tutti quelli feriti da questa soperchieria e verso l’AFP che non è in NESSUN caso responsabile delle nostre stupidaggini. Detto questo, e in modo chiaro, ciò’ che ho scritto qui non sminuisce in nulla ciò’ che avevo scritto all’inizio”.
La didascalia originale dell’AFP recitava:
”LEBANON, AIN EL-HELWEH: Palestinian refugees pose as Israeli soldiers arresting and beating a Palestinian activist during celebrations of Prisoners’ Day at the refugee camp of Ain el-Helweh near the coastal Lebanese city of Sidon on April 17, 2012 in solidarity with the 4,700 Palestinian inmates of Israeli jails. Some 1,200 Palestinian prisoners held in Israeli jails have begun a hunger strike and another 2,300 are refusing food for one day, a spokeswoman for the Israel Prisons Service (IPS) said.“
E come ha fatto a diventare:
“Prigioniero palestinese 18/04/2012. Martedi’, durante la Giornata dei Prigionieri, centinaia di detenuti palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le loro condizioni di detenzione”
“Cinesi, ebrei, stessa vita, stesso forno”. Questo graffito antisemita, corredato da due svastiche, è comparso a Vercelli agli inizi dello scorso dicembre, e costituisce l’ennesimo episodio di scritte antisemite in Italia. L’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC, per il 2012, ha registrato un’ottantina di atti antisemiti, mentre nel 2011 invece erano stati 50. È dal 2002 – da quando, in seguito allo scatenamento della Seconda Intifada si ebbe un’ondata di antisemitismo che colpì violentemente tutto il mondo ed in particolare l’Europa-, che forme di intolleranza e violenza antiebraica hanno assunto la forma di un fenomeno consolidato, quasi sempre connesso al tema di Israele.
Ormai, infatti, i più alti indici di violenze antisemitiche vengono raggiunti durante momenti che vedono Israele al centro dell’attenzione: nel 2002, la Seconda Intifada; nel 2006, la Guerra nel Libano; nel 2008/09 l’operazione Piombo fuso a Gaza; nel 2010, l’assalto alla nave turca Mavi Marmara da parte delle forze speciali israeliane; e nel 2012, l’azione Pilastro di difesa, nella striscia di Gaza. Tuttavia, anche in mancanza di chiari eventi ‘scatenanti’, il numero di episodi di antisemitismo, specie nel Vecchio Continente, rimane elevato. Questo fenomeno, ribattezzato dallo studioso francese Pierre-André Taguieff, Nouvelle judeophobie, si connota per un modus operandi molto violento nei confronti degli individui, e per l’impiego di un linguaggio antisemita caratterizzato da una marcata aggressività verbale e visiva.
Nel corso dell’ultimo decennio -a livello globale- si è chiuso il cerchio: ovvero si è compiuta la sovrapposizione dell’antisemitismo all’antisionismo, nonché una sempre maggiore diffusione e legittimazione del parallelismo Israele-Sionismo equiparato al nazionalsocialismo, cui fa da corollario la tendenza ad attaccare le Comunità della Diaspora in quanto ritenute corresponsabili dei ‘genocidi’ compiuti dallo stato ‘nazisionista’. L’antisemitismo aperto e dichiarato viene generalmente considerato socialmente non accettabile e quindi talvolta punito anche dalla legge, e la visione del mondo strettamente antisemitica rimane confinata all’interno di frange estremistiche.
Tuttavia, gode di sempre maggiore accettabilità e legittimazione il cosiddetto ‘Secondary antisemitism’, ovvero l’impiego di stereotipi antisemiti coniugati ad episodi di politica nazionale o internazionale, basti pensare al fatto che il famigerato falso antisemita dei Protocolli dei savi di Sion, viene sempre più utilizzato come chiave di lettura dei problemi del mondo, come ad esempio ha fatto a maggio il noto professore norvegese Johan Galtung, raccomandandone la lettura, o l’italiana Radio Padania Libera che in un intervento di Pierluigi Pellegrin, del 22 novembre, ha sottolineato tra l’altro che «I Protocolli di Sion sono stati smentiti e smascherati, ma io li ho letti e sono pieni di spunti interessanti»; o ancora un professore, dirigente di un istituto superiore dell’Italia del Sud, che in una lettera inviata all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scritto: «Come può l’uomo non diventare, col tempo, antisemita? Qualche giorno fa facevo una riflessione, sempre scritta, indirizzata al vostro ambasciatore in Italia dove rappresentavo la veridicità dei Protocolli di Sion, altro che falso! E pezzo dopo pezzo si ricostruisce il mosaico del futuro dominio del mondo da parte dell’ebraismo».
Altri caratteri ed elementi comuni dell’antisemitismo globale? Innanzitutto la vittoria degli stereotipi: le principali vittime delle violenze antisemitiche sono gli ebrei identificabili come tali, dalle apparenze. Secondo: la negazione e banalizzazione della Shoah, convinzioni in continua crescita. Infine la “dittatura informativa” del Web (spesso l’unica fonte di conoscenza per molta gente): ovvero che il maggiore strumento per la diffusione, amplificazione e sdoganamento dei paradigmi antisemiti è diventata la Rete.
Esempi emblematici del fatto che l’antisemitismo nel 2012 continua a mantenersi sopra il livello di guardia e, in certi paesi, a configurarsi persino come allarme sociale e di ordine pubblico, sono rappresentati dal massacro di Tolosa, del rabbino Sandler e di tre bambini, a marzo, ad opera dell’estremista islamico Mohamed Merah; dalla brutale uccisione di una donna ebrea il cui corpo è stato smembrato in Iran a novembre; e, sempre a novembre, dall’assalto alla sinagoga centrale di Caracas da parte di un gruppo di attivisti filopalestinesi. E che dire del consenso, in fatto di voti, raccolto da partiti apertamente antisemiti e razzisti come Alba dorata in Grecia o Jobbik in Ungheria?
È IL WEB CHE BANALIZZA
Ma veniamo all’Italia. L’Osservatorio antisemitismo del Cdec ha registrato in casa nostra 53 episodi di antisemitismo nel 2007, 69 nel 2008, 53 nel 2009, 40 nel 2010 e 50 nel 2011. L’anno 2012 sta registrando invece uno dei più alti picchi di antisemitismo dell’ultimo trentennio (circa 80). Da un lato questo aumento è dovuto in parte ad una raccolta dati più efficiente e capillare, ma dall’altro perché c’è stata una crescita effettiva. L’Italia, beninteso, continua a rimanere distante dall’antisemitismo dei paesi del Nord-Europa, dove accoltellamenti, pestaggi e gravi minacce sono all’ordine del giorno.
I nostri dati fattuali consistono principalmente in aggressioni verbali, atti di vandalismo ai danni di proprietà ebraiche, graffiti e scritte. Il principale collettore di antisemitismo è ormai diventato il cyberspazio che, specie attraverso le piattaforme sociali, ha creato un ambiente all’interno del quale l’antisemitismo è stato banalizzato e non viene più avvertito come una minaccia o un’aberrazione. A tal proposito, basti pensare alle frequenti sortite antisemite su Facebook da parte di personaggi pubblici anche di un certo spessore culturale. Il pregiudizio antisemitico in Italia è trasversale, ed è presente in circuiti di destra, di sinistra, laici, religiosi e persino esoterici, spesso è connesso al tema Isrele ed in questo modo ottiene più ampia legittimazione e diffusione. I pregiudizi e i paradigmi antisemiti continuano ad essere presenti nei discorsi di senso comune, e talvolta perfino nei discorsi pubblici di uomini politici, dirigenti, docenti universitari e giornalisti. Inoltre, si è ulteriormente rafforzato un clima che sembra rendere possibili atteggiamenti ed affermazioni inammissibili sino a pochi anni fa.
Tra i tanti esempi, un noto politico ha scritto sul suo profilo Facebook che la lobby ebraica è la più influente del pianeta; un dirigente Asl, in un incontro pubblico, ha raccontato la seguente barzelletta: “La differenza tra le torte e gli ebrei? Che le torte quando le metti nel forno non gridano”; mentre a Cagliari, un docente universitario scorrazza indisturbato sul web, prolifico e impunito diffusore di lunghi post antisemiti, razzisti e triviali. Il maggior numero di episodi si verificano in coincidenza di date che celebrano eventi storici significativi per le comunità ebraiche, connessi ad Israele, ovvero che pongono al centro dell’attenzione gli ebrei.
IL FANGO INFORMATIVO
Anche nel 2012, a gennaio, in coincidenza con la Giornata della Memoria, ci sono stati una ventina di atti antisemitici, spesso di stampo negazionista e quasi tutti riconducibili alla destra radicale. A Cadorago, in provincia di Como, rav Moshè Lazar invitato ad un incontro dedicato alla Giornata della Memoria, è stato accolto dalle scritte “La vostra falsa memoria oscura il vero olocausto palestinese” e “Fuori i sionisti dall’Europa”, suggellate dalla Croce Celtica; ed a Como, il 27 gennaio è stato organizzato un meeting negazionista in cui è stato mostrato “Wissen Macht Frei”, primo documentario negazionista prodotto in Italia, a cura dagli estremisti del sito web Stormfront.
A novembre 2012 invece, la ventina di episodi di antisemitismo prodotti dall’operazione Pilastro di difesa a Gaza, si sono contraddistinti per la sovrapposizione dell’antisemitismo all’antisionismo, come ad esempio il post scritto da un famoso studioso (Pierluigi Oddifreddi, ndr), per uno dei principali giornali italiani (il suo blog su repubblica.it, ndr) in cui lo stato di Israele viene accusato di essere “dieci volte peggio dei nazisti”. O, ancora, i numerosi commenti antisemiti postati sulla pagina Facebook legata a Beppe Grillo; a tweet come quello pubblicato dal noto sito di satira e informazione Spinoza.it , il 20 novembre scorso: “L’attacco israeliano è talmente massiccio che Hitler verrà ricordato come l’uomo che voleva salvare i palestinesi”.
E infine, che dire delle numerose mail che hanno intasato le caselle di posta comunitarie, con messaggi di questo stampo: “Vi ricordo che se siete sionisti siete per una potenza straniera e quindi ostili alla mia nazione. Ricordo agli ebrei italiani, che siete italici… quindi dovete fedeltà all’Italia, non dovete avere relazioni con Israele… dichiariamo morte ai sionisti nel mondo!”. Oppure alla scritta “Israele stato nazista”, tracciata nella notte tra il 23 ed il 24 novembre sul portone della sinagoga di Genova. A parte queste esternazioni verbali, l’antisemitismo italiano si caratterizza comunque per un basso tasso di violenza. Cionostante, a gennaio 2012, il professor Renato Pallavidini, -titolare di una cattedra al prestigioso liceo d’Azeglio di Torino e già noto per certi suoi atteggiamenti antisemiti-, è stato indagato dalle forze dell’ordine in seguito alla pubblicazione di messaggi di questo genere: “Avviso ai luridi bastardi ebrei che ci controllano in quella terra di merda e di froci chiamata California.
Se mi togliete questa foto, vado con la mia pistola, alla sinagoga vicinissima a casa mia e stendo un po’ di parassiti ebrei che la frequentano”.
A marzo 2012 è stato arrestato l’italiano di origine marocchina Mohamed Jarmoune: voleva compiere un attentato dinamitardo alla sinagoga di via Guastalla a Milano. Un’aggressiva campagna diffamatoria attraverso il Web, ha costretto il giornalista Enrico Sassoon a dimettersi da una società di cui faceva parte: degli estremisti di destra hanno gettato dell’acido sul portone di casa di una coppia di ebrei del centro-Italia, ed un famoso rabbino è stato volgarmente insultato su un mezzo pubblico di una grande città del Nord. Il 2012 s’è caratterizzato anche per le numerosissime campagne antisemite promosse dalla sezione Italia del sito ‘suprematista bianco’ Stormfront, i cui principali gestori sono stati recentemente arrestati dalla polizia italiana, dopo una difficile indagine durata due anni.
Questi estremisti neonazisti, attraverso il loro spazio online, da anni attaccavano in modo violento e triviale l’ebraismo italiano, rimettendo in circolo tutta una serie di temi caratteristici del nazionalsocialismo. In una delle ultime liste di discussione, aperte prima dell’oscuramento da parte della polizia, suggerivano di compiere un attentato nel nuovo ristorante kasher di Torino.
LE CONTROMOSSE
Fortunatamente, il pericolo della grave recrudescenza dell’antisemitismo in Italia è stata colta da magistrati come Giuseppe Corasaniti, e dal ‘padre’ della Polizia postale, Domenico Vulpiani. Entrambi, da anni, si impegnano per far ratificare il Protocollo di Budapest, studiato apposta per contrastare il cyberhate, l’odio razziale che dilaga sul web. Anche molte forze politiche presenti nel Parlamento italiano si stanno dando da fare per far approvare due Decreti legge contro il negazionismo, l’antisemitismo e il razzismo nel Web. Motore di tutto è la proposta della senatrice del PD Silvana Amati e del Ministro per l’integrazione, Andrea Riccardi, ampiamente sostenuti in modo ‘bipartisan’. Ahimè, la caduta del governo Monti ha bloccato sino alla prossima legislatura questi importanti strumenti di lotta all’antisemitismo.