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Terrorismo? Raptus? I media europei

I fatti: un soldato israeliano, Eden Atias di anni diciotto, ancora in tirocinio (aveva cominciato il servizio di leva da due settimane), residente a Nazaret Illit, prende un pulman di linea per Tel Aviv. Si addormenta. A quell’età succede che la stanchezza prenda il sopravvento sulla prudenza e poi è su un pulman di linea, insieme a decine di altri passeggeri. Non è a un check point, non su un blindato in marcia, non sta andando a compiere nessuna operazione pericolosa. Che potrebbe succedergli? Era a casa, dai genitori, sta andando a raggiungere la sua base.

Eden Atias, il ragazzo ucciso

Ma sullo stesso pulman c’è anche un suo quasi coetaneo Palestinese, un sedicenne di Jenin. Uno della stessa età di quelli che l’opinione pubblica mondiale definisce “bambino”. Era uscito di casa armato di un coltello, con l’intenzione di “ammazzare un israeliano”, ha confermato all’arresto. Si è introdotto illegalmente in Israele, aspettando l’occasione. Quando Hussein Jawadra ha visto Eden addormentato, ha pensato fosse il momento buono per emulare i suoi cugini, “eroi” Palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane per omicidio plurimo.

Hussein Jawadri, l’assassino

Ha colpito Eden all’improvviso, al collo, ripetutamente con quel coltello che si era portato apposta. Gli altri passeggeri non hanno avuto il tempo di reagire. Nonostante l’immagine mondiale di Israele “Stato di apartheid“, “Stato militarizzato”, “Stato che odia e discrimina”, nella realtà nessuno sente il bisogno di tenere d’occhio qualcuno su un autobus solo perché Palestinese. Eden trasportato all’ospedale non ce la fa e muore.

Il dolore della madre di Eden

Jawadri tenta di fuggire ed è arrestato. Forse non sarebbe nemmeno inutile parlare di come, da anni, le due amministrazioni Palestinesi esaltano e glorificano i terroristi. Di come i bambini Palestinesi siano allevati nel culto dei “martiri”; di come vadano a fare sport in Centri della Gioventù intitolati a shahid; di come studino su libri di testo (stampati con i soldi dell’Unesco, quindi a spese dei contribuenti mondiali) che la miglior azione che Allah si aspetta da ognuno di loro è il martirio. E nemmeno di come, sempre “grazie” agli aiuti mondiali, i “prigionieri Palestinesi“, quei terroristi arrestati in Israele per fatti di sangue, quegli “eroi della Resistenza” che ogni tanto con uno sciopero della fame riescono  a mobilitare la solidarietà mondiale in manifestazioni che chiedono a gran voce la loro scarcerazione, quei terroristi come i cugini di Jawadri, ricevano dei veri e propri “stipendi” mensili (riservati a chi si è macchiato di delitti di terrorismo, non a tutti i detenuti) da parte dell’Amministrazione palestinese; stipendi che variano a seconda della gravità del reato: più grave è, più soldi ricevono. Forse non sarebbe male parlarne ogni tanto. Vediamo solo come una delle Amministrazioni palestinesi (per ora una sola) ha commentato l’assassinio di Eden

Ma potrebbe forse essere interessante anche dare uno sguardo a come la stampa occidentale, quella che fa riferimento a ben altri “valori”, presenta la notizia. Il giornale on line Europe-Israel, analizza il comunicato di Agence France Press.

1 – “Israeliano” è scritto minuscolo, regola in francese quando si tratta di aggettivi, ma allora perché “palestinese” è sistematicamente scritto in maiuscolo? E’ un “segno” utilizzato dai giornali “pro-arabi”

2 – la foto non ha alcun rapporto con il fatto e nemmeno con eventuali scontri in Giudea Smaria

3 – ma evoca, in ogni modo, una situazione di “sofferenza”, “oppressione”, “repressione”.

4 – l’articolo filtra coscientemente ogni dettaglio del fatto. Non è data nota, ad esempio della presenza illegale del terrorista in territorio israeliano, che Eden Atias è stato ucciso mentre dormiva, la provenienza del Palestinese dalla città di Jenin (descritta in alcune circostanze come “campo rifugiati”. Ed Europe-Israel fa notare che sarebbe come definire dei parigini “rifugiati” a Parigi!

5 – il tentativo di “epurare” il termine “terrorismo” dal comunicato. Definendolo semplicemente “assassinio”, l’articolo contraddice la definizione di “attentato”: attaccare un gruppo di individui in ragione della loro appartenenza religiosa, politica, sociale ecc. E quella di “terrorismo”:

Il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni criminali violente, premeditate ed atte a suscitare clamore come attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, ai danni di enti quali istituzioni statali e/o pubbliche, governi, esponenti politici o pubblici, gruppi politici, etnici o religiosi. L’individuo che si dedica a tale pratica viene definito come terrorista.

6 – La contestualizzazione dell’omicidio come conseguenza logica della “Cisgiordania occupata”.

Come se non bastasse, l’articolo mette in rapporto l’assassinio con altri fatti che non hanno nessun legame con lo stesso: “Questo assassinio interviene mentre Israele ha annullato il suo progetto di costruzione…” Come se l’assassinio fosse in qualche modo legato al precedente progetto edilizio.

Il Corriere della sera Esteri scrive: “Il minorenne, originario di Jenin, nei territori occupati, era entrato in Israele illegalmente, nonostante il “Muro”, la barriera di separazione che sigilla l’area della sua città come buona parte della Cisgiordania.” Il Muro “sigilla” buona parte della Cisgiordania! Anche se per la quasi totalità della sua estensione è fatto di rete e filo spinato.

Il Corriere sottolinea la sua inutilità. Falso, dato che anche se non garantisce totalmente da atti di terrorismo, la presenza della “barriera difensiva” ha ridotto drasticamente il numero dei morti.

Il Corriere continua: “L’aggressione è stata classificata come sospetto atto di terrorismo, anche se l’origine e la dinamica dell’accaduto non sono ancora del tutto chiare.” Già nel titolo si leggeva: “Raptus o omicidio premeditato?” Se in Israele questo tipo di attacchi fossero sconosciuti, sarebbe anche possibile dubitare della motivazione.

“Bloccato e percosso, Hussein, il sedicenne palestinese è stato consegnato alla polizia…” Bloccato e percosso… Poi il solito accenno che dovrebbe “spiegare”:

“Nella zona non c’era in questi giorni alcuna allerta da parte dell’intelligence israeliana, anche se ricorre domani il primo anniversario dell’operazione «Pilastro di difesa»: una settimana di incursioni e raid israeliani su Gaza, in risposta al lancio di razzi dalla Striscia”.

La Repubblica mette la notizia “dentro” quella delle dimissioni dei negoziatori di pace Anp.  L’Unità on line non sembra rilevare la notizia, ma ci informa che ora alla dirigenza di Hamas c’è una donna.

Mercoledi’ i funerali di Eden, soldato di leva da due settimane.

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Festeggiare l’Intifada fa tenerezza all’Occidente; perché?

Venerdi’ 27 settembre 2013, ricorrevano i tredici anni dall’inizio dell’Intifada. A Gaza e Ramallah sono stati “festeggiati” con scontri, lanci di molotov e pietre, bandiere di Israele bruciate, ritratti di Peres e Netanyahu dati alle fiamme.

Tra i “pacifisti” o pacificatori o cooperanti italiani che dir si voglia, presenti a Gaza, c’è stato chi – non solo ha trovato giusto festeggiare tale ricorrenza – ma ha anche lamentato la scarsa visibilità data agli scontri sui media mondiali. Per esempio Rosa Schiano, cooperante a Gaza, come lo fu prima di lei Vittorio Arrigoni, al quale è succeduta, scrive sulla sua pagina facebook:

“Una domanda prima di andare a dormire. Una domanda che forse stanotte non mi farà più dormire. Perché i media occidentali non hanno coperto le manifestazioni che si sono tenute oggi in Cisgiordania e Gaza? Non è forse importante riportare dei moti di protesta nei paesi arabi? Non è forse importante riportare di manifestazioni di una resistenza che dura da 60 anni e che chiede la fine di un’occupazione e di un assedio che strangola un’ intera popolazione? Se i media non fossero piegati al ricatto… probabilmente avremmo fatto qualche passo in più.”

Rosa Schiano

E anche, della sua partecipazione attiva alla manifestazione:

“Una bella giornata di resistenza contro l’ occupazione. Il cuore ama, la gola brucia, l’aria è fresca ed il cielo e’ stellato. Nessun drone. Non ho paura stanotte, che sia una buonanotte.”

Ecco, per questa pacifista/pacificatrice/cooperante, ricordare e festeggiare l’Intifada ispira coraggio e amore al cuore. Su Wikipedia si puo’ leggere un elenco parziale delle vittime israeliane dell’Intifada, quell’impresa omicida e fallimentare, quel periodo di sangue e terrore che coinvolse tutti, palestinesi e israeliani.

Wichlav Zalsevsky (24), Rabbi Binyamin Herling (64), Amos Machlouf (30), Ayelet Shahar Levy (28), Hanan Levy (33), Noa Dahan (25), Sarah Leisha (42), Gabi Zaghouri (36), Miriam Amitai (35), Gavriel Biton (34), Itamar Yefet (18), Shoshana Reis (21), Meir Bahrame (35), Rina Didovsky (39), Eliyahu Ben-Ami (41), Eliahu Cohen (29), Binyamin Ze’ev Kahane (34), Talia Kahane (31), Ofir Rahum (16), Motti Dayan (27), and Etgar Zeituny (34), Dr. Shmuel Gillis, Simcha Shitrit (30), Staff-Sgt. Ofir Magidish (20), Sgt. David Iluz (21), Sgt. Julie Weiner (21), Sgt. Rachel Levy (19), Sgt. Kochava Polanski (19), Cpl. Alexander Manevich (18), Cpl. Yasmim Karisi (18), Naftali Dean (85), Yevgenya Malchin (70), Shlomit Ziv (58), Shalhevet Pass (10 months), Eliran Rosenberg-Zayat (15), Naftali Lanzkorn (13), Dina Guetta (42), Stanislav Sandomirsky (38), Dr. Mario Goldin (53), Simcha Ron (60), Yaakov “Koby” Mandell (13), Yosef Ishran (14), Idit Mizrahi (20), Tirza Polonsky (66), Vladislav Sorokin (34), Yulia Tratiakova (21), Miriam Waxman (51), David Yarkoni (53), Asher Iluz (33), Sara Blaustein (53), Esther Alvan (20), Gilad Zar (41), Maria Tagiltsiva (14), Raisa Nimrovsky (15), Ana Kazachkova (15), Katherine Kastaniyada-Talkir (15), Irena Nepomnyashchi (16), Mariana Medvedenko (16), Yulia Nelimov (16), Liana Saakyan (16), Marina Berkovizki (17), Simona Rodin (18), Aleksei Lupalu (16), Yelena Nelimov (18), Irena Usdachi (18), Ilya Gutman (19), Roman Dezanshvili (21), Diez Normanov (21), Ori Shahar (32), Yael-Yulia Sklianik (15), Sergei Panchenko (20), Jan Bloom (25), Yevgeniya Dorfman (15), Yehuda Shoham (5 months), Dan Yehuda (35), Doron Zisserman (38), Ilya Krivitz (62), Ekaterina (Katya) Weintraub (27), Aharon Obadyan (41) Yair Har Sinai (51), Eliahu Na’aman (32), Yosef Twito (45), Yehezkel (Hezi) Mualem (49), David Cohen (28), Yuri Gushchin (18), Ronen Landau (17), Tehiya Bloomberg (40, five months pregnant), Yitzhak Snir (51), Giora Balash (60), Zvika Golombek (26), Shoshana Yehudit Greenbaum (31), Tehila Moaz (18), Frieda Mendelsohn (62), Michal Raziel (16), Malka Chana Roth (15), Mordechai Schijveschuuder (43), Tzira Schijveschuuder (41), Ra’aya Schijveschuuder (14), Avraham Yitzhak Schijveschuuder (4), Hemda Schijveschuuder (2), Lily Shimashvili (33), Tamara Shimashvili (8), Yocheved Shoshan (10), Aliza Malka (17), Sharon Ben-Shalom (26), Yaniv Ben-Shalom (27), Doron Sviri (20), Dov Rosman (58), Meir Lixenberg (38), Oleg Sotnikov (35), Amos Tajouri (60), Dr. Yigal Goldstein (47), Morrel Derfler (45), Daniel Yifrach (19), Ruth Shua’i (46), Meir Weisshaus (23), Sarit Amrani (26), Salit Sheetrit (28), Zvia Pinhas (64), Sgt. Tali Ben-Armon (19), Sergei Freidin (20), Haim Ben-Ezra (76), Hananya Ben-Avraham (46), Tourism Minister Rehavam Ze’evi (75), Ayala Levy (39), Smadar Levy (23), Lydia Marko (63), Sima Menahem (30), Shoshana Ben Ishai (16), Menashe (Meni) Regev (14), Hadas Abutbul (39), Aharon Ussishkin (50), Noam Gozovsky (23), Michal Mor (25), Etty Fahima (45), Samuel Miloshevsky (45), Yehiav Elshad (28), Inbal Weiss (22), Assaf Avitan (15), Michael Moshe Dahan (21), Israel Ya’akov Donino (17), Yosef El-Ezra (18), Nir Haftzadi (19), Yuri Korganov (20), Golan Turgemen (15), Guy Vaknin (19), Adam Weinstein (14), Moshe Yedid-Levy (19), Ido Cohen (17), Rasem Safulin (78), Leah Strick (73), Cicilia Kozamin (76), Faina Zabiogailu (64), Mara Fishman (53), Ronen Kahalon (30), Riki Hadad (30), Samion Kalik (64), Mikha’el Zaraisky (71), Yitzhak Ringle (41), Ina Frenkel (60), Tatiana Borovik (23), Yelena Lumkin (62), Mark Khotimliansky (75), Rosaria Reyes (42), Prof. Baruch Singer (51), Yair Amar (13), Esther Avraham (42), Border Police Chief Warrant Officer Yoel Bienenfeld (35), Moshe Gutman (40), Avraham Nahman Nitzani (17), Yirmiyahu Salem (48), Israel Sternberg (46), David Tzarfati (38), Hananya Tzarfati (32), Ya’akov Tzarfati (64), Zion Ohana (45), Yoela Chen (45), Boris Melikhov (56), Aharon Ellis (32), Anatoly Bakshiev (62), Avi Yazdi (24), Edward Bakshayev (48), Dina Binayev (48), Sarah Hamburger (79), Svetlana Sandler (56), Pinhas Tokatli (81), Miri Ohana (45), Yael Ohana (11), St.-Sgt. 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German Rojyakov (25), Yehudit Cohen (33), Alexei Kotman (29), Ofer Kanerik (44), Atara Livne (25) Noa Auerbach (18), Mogus Mahento (65), Bella Schneider (53), Alon Goldenberg (28), Aharon Revivo (19), Shimon Edri (20), Mikhael Altfiro (19), Meir Fahima (40), Yitzhak Cohen (48), Tsipi Shemesh (29), Gadi Shemesh (34), Esther Kleiman (23), Avi Sabag (24), Shula Abramovitch (63), David Anichovitch (70), Alter Britvich (88), Frieda Britvich (86), Andre Fried (47), Idit Fried (47), Dvora Karim (73), Michael Karim (78), Eliezer Korman (74), Yehudit Korman (70), Sivan Vider (20), Ze’ev Vider (50), Ernest Weiss (80), Anna Yakobovitch (78), George Yakobovitch (76), Avraham Beckerman (25), Shimon Ben-Aroya (42), Miriam Gutenzgan (82), Amiram Hamami (44), Perla Hermele (79), Marianne Myriam Lehmann Zaoui (77), Lola Levkovitch (70), Sarah Levy-Hoffman (89), Furuk Na’imi (62), Eliahu Nakash (85), Chanah Rogan (90), Irit Rashel (45), Clara Rosenberger (77), Yulia Talmi (87), Rachel Gavish (50), David Gavish (50), Avraham Gavish (20), Yitzhak Kanner (83), Tuvia Wisner (79), Michael Orlansky (70), Haim Smadar (55), Rachel Levy (17), Rachel Charhi (36), Aviel Ron (54), Anat Ron (21), Ofer Ron (18), Shimon Koren (55), Ran Koren (18)* Gal Koren (15), Adi Shiran (17), Shimon Shiran (57), Suheil Adawi (32), Dov Chernobroda (67), Moshe Levin (52), Danielle Menchel (22), Orly Ofir (16), Ya’akov Shani (53), Daniel Carlos Wegman (50), Carlos Yerushalmi (52), Tomer Mordechai (19), Border Police Cpl. 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Questi sono i nomi di alcune delle vittime dell’Intifada; ricordare il loro assassinio con lanci di molotov e propositi omicidi a Rosa Schiano rende il cuor contento.

Ma come hanno fatto i terroristi palestinesi a vincere la battaglia dei media? Come è possibile che nel ricco e pigro Occidente ci sia chi volentieri si schiera dalla parte degli assassini? Blaise Pascal una volta osservò che “la gente … arriva a credere non sulla base di prove, ma in base a quello che trova attraente”. ( De l’Art de persuader (“On the Art of Persuasion”), 1658) Oggi questo è confermato dalla scienza, e spiega perché i palestinesi hanno vinto la guerra dei media. Nel 2011 – un’epoca di informazioni abbondanti e verificabili – alcuni sondaggi rivelarono che ben il 40-60% dei cittadini europei ritiene che “Israele sta conducendo una guerra di sterminio contro i palestinesi.” Tanto più sconcertante se si considera che è Israele ad essere regolarmente minacciata di distruzione.  I risultati del sondaggio non sono peculiari all’Europa: simili tendenze preoccupanti sono state osservate tra i giovani americani, liberali, e le minoranze.

Memoriale ad alcune delle vittime israeliane del terrorismo

Nella lotta per i cuori e le menti (come diceva Rosa Schiano? “Il cuore ama, la gola brucia”), i propagandisti della “causa palestinese” hanno intuito da tempo ciò che la scienza dimostra ora. Immagini, spesso costruite completamente, in stages improvvisati sul posto, e accuse che attivano automaticamente la compassione pubblica sono incomparabilmente più convincenti della secca, argomentazione difensiva.

In effetti, la compassione – adattamento di sopravvivenza profondamente radicata – ha dimostrato di riuscire a far deviare pesantemente i nostri atteggiamenti sociali a favore di coloro che percepiamo essere vittime innocenti. I bambini che soffrono sono i testimonials ideali di questa istintiva compassione. Il nostro giudizio sociale “può essere influenzato più dalle emozioni che dalla ragione”: si tende a favorire quelli che vediamo come vittime in difficoltà anche a scapito delle più numerose, ma senza volto, altre vittime.

La rappresentazione dei palestinesi come vittime innocenti in pericolo è il filo conduttore che attraversa tutta la propaganda palestinese – ed è stata la chiave del suo successo popolare. Attraverso la produzione di massa di immagini strazianti, incentrate sui bambini, la messa in scena delle “news”, ​​la retorica manipolatrice, e la rigida censura, la propaganda palestinese ha usato con successo i media per imporre i Palestinesi come vittime del tutto innocenti della brutalità israeliana. Dopo essersi assicurata l’empatia del pubblico e bypassato il suo ragionamento critico, ritraendo i Palestinesi come vittime inermi, la propaganda palestinese si è creata milioni di alleati occidentali, ed i Palestinesi si sono messi al riparo da qualsiasi responsabilità delle loro scelte politiche. 

Dall’inizio della prima Intifada, i Palestinesi hanno deliberatamente usato i bambini come “fanteria” per le rivolte dedicate alla TV: l’immagine di David (i bambini palestinesi) inermi e pero’ irriducibili nel loro coraggio, di fronte a Golia-Israele, armato, organizzato e brutale, è risultata vincente, indipendentemente dai fatti reali:

“Le emozioni che tali immagini suscitano hanno più probabilità di vincere rispetto alla discussione razionale. Questa tendenza è così comune che nel campo della psicologia sociale è chiamata Errore Fondamentale di Attribuzione (FAE). Il FAE è “La tendenza a dare attribuzioni, interne oltre che esterne, per spiegare il comportamento osservato negli altri.” … Così, quando un telespettatore vede l’ennesima immagine di un soldato israeliano contro un lanciatore di pietre di sedici anni, rischia di credere che gli israeliani siano assassini assetati di sangue, mentre i Palestinesi semplicemente un popolo oppresso che vuole la sua libertà e la sua terra. L’attribuzione avviene quasi istantaneamente”.

Cosi’ i bambini sono stati sistematicamente impiegati per la rappresentazione del “martirio” e mandati in prima linea, davanti alle telecamere. 

L’efficacia dei bambini palestinesi morti come strumenti di propaganda fu sottolineata da Yasser Arafat nel 2002:

“Il bambino palestinese in possesso di una pietra, di fronte a un carro armato, è il più grande messaggio al mondo, quando quell’eroe diventa un ‘martire”

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=7M1Rq4WxEVU

La famosa foto AP di Faris Ouda, 15 anni,  che tirava pietre, divenne uno dei simboli iconici della resistenza palestinese.

Quando Ouda fu poi ucciso durante disordini, un Arafat raggiante dichiarò ai suoi giovani compagni di classe, “Salutiamo lo spirito del nostro eroe, il martire, Faris Ouda” Dopo aver cantato più volte il nome di Ouda tra applausi affascinati, Arafat incoraggio’ i bambini – alcuni di appena 11 o 12 anni – a emulare la “fermezza e il sacrificio,” di Ouda, attaccare i soldati e morire per le telecamere dei media occidentali. 

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=IHHP8CpvjnQ

I bambini sono inesorabilmente plagiati dalla più tenera età e nel modo più crudo a lottare per il “martirio” – nelle scuole, nello sport,  nei campi estivi, con la musica, nelle moschee, sui social media, nella cultura, nelle televisioni, e persino con le celebrazioni pubbliche dei terroristi suicidi.

E poi, oltre ai “bambini shahid” le costruzioni Pallywood, delle quali il “caso Al Dura” fu l’antesignano. Questo fenomeno di “news” confezionate per le telecamere è tutt’ora in corso ed è così dilagante che gli è stato dato un nome: “Pallywood.” Il Professor Richard Lande e i suoi colleghi hanno raccolto numerose prove,  esponendo la pratica di finte ferite, simulate per le telecamere occidentali, così come “finti funerali, messe in scena di sparatorie, … “nonne piangenti” professioniste “, e “false evacuazioni di ambulanze” . Gli attori sono diventati così sfacciati, e questa frode così comune, che in un video ormai famigerato del” funerale “di un palestinese, ucciso da Israele, il cadavere che cade fuori dalla sua barella salta rapidamente indietro.

Gli esempi sono innumerevoli e spesso sono stati “trattati” anche in questa pagina: uomini morti che dopo poco si alzano e aprono porte, come il  famoso video presentato dalla BBC;  

l’uomo che pur essendo ripreso mentre cerca disperatamente di salvarsi dal fuoco israeliano, chiamato al telefono si ferma e risponde e cosi’ via. Il fotografo italiano Ruben Salvadori ha ben evidenziato questa collusione tra sceneggiature da una parte, e media occidentali dall’altra. 

Le immagini mentali, moralmente cariche di storia, che vengono evocate da questa retorica stimolano il pubblico ad entrare in sintonia automatica e, quindi, a fianco con i Palestinesi. Le aggressioni palestinesi sono cancellate nel processo.

Come parte di questa strategia di riformulazione morale, i propagandisti palestinesi hanno riscritto il sionismo, la lotta per l’autodeterminazione ebraica nella patria ebraica, che è diventato “colonialismo” (e, per estensione, i Palestinesi sono stati accomunati ai nativi americani) . I Palestinesi che chiamano il loro terrorismo “resistenza” (“Mukawama”), sono equiparati quindi alle vittime della Shoah e ai combattenti della resistenza durante la seconda guerra mondiale. A rafforzare questo immaginario Ebreo / nazista, i Palestinesi si sono autonominati un popolo di “rifugiati” fuggiti dai “massacri” e dalla “pulizia etnica”. Allo stesso modo, la lotta al terrorismo di Israele è raffigurata come” razzismo “e il blocco contro Gaza, definito legittimo dalle Nazioni Unite, si caratterizza come “punizione collettiva“, per evocare ingiustizie come l’internamento giapponese nella seconda guerra mondiale . In altri momenti, i Palestinesi si paragonano a Gesù perseguitato dai Giudei, o alle vittime nere della supremazia bianca: Israele è accusato di essere uno stato di “apartheid” o, in alternativa, i Palestinesi sono identificati con Rosa Parks. In ogni caso, questa retorica calcolata, modella l’immagie dei Palestinesi vittime del tutto passive ed innocenti della ingiustificabile crudeltà israeliana.

La compassione è un potente adattamento evolutivo che, quando innescato da immagini di sofferenza ingiusta, ostacola la nostra capacità di rendere razionali giudizi morali. L’esperienza della compassione è di fattopsicologicamente gratificante e ci costringe a restare al fianco delle vittime percepite, indipendentemente dal contesto e dei fatti. Attraverso la messa in pericolo deliberata di bambini, delle immagini costruite, della retorica manipolatrice e della prepotenza dei giornalisti, i Palestinesi hanno sapientemente proposto sé stessi come vittime innocenti della crudeltà, e hanno quindi sfruttato la compassione pubblica. Di conseguenza, possono ora contare sull’appoggio di milioni di occidentali. E, dopo aver cementato la loro immagine di vittime innocenti, i crimini compiuti dai terroristi sono regolarmente assunti come semplici reazioni a reati israeliani. Gli israeliani hanno a lungo cercato di conquistare le menti con una moltitudine di argomenti difensivi e giustificazioni legali, e hanno perso. I terroristi palestinesi hanno invece scommesso su i “cuori”, e hanno vinto. 

Grazie a Honest Reporting

Campi estivi roventi a Gaza

Anche a Gaza le scuole chiudono per le vacanze estive, ma per i bambini non si prospettano giorni di divertimento e relax dopo le fatiche scolastiche. Per loro ci sono i campi estivi di addestramento di Hamas.

Si tratta di veri e propri campi paramilitari, nei quali i bambini sono addestrati alle azioni di guerra tramite esercizi e simulazioni che istigano all’odio per gli ebrei e gli israeliani. Cerchi di fuoco da saltare, uso delle armi, bambini travestiti da soldati israeliani “torturano” bambini nella parte dei mujahiddin, immergendo loro la testa nell’acqua o lasciandoli in piedi per ore. I bambini e i ragazzi devono dimostrare di saper resistere.

Ismayil Haneyah, leader di Hamas, parlando allo Stadio ha detto a proposito dei “campi estivi”: Porteremo la vittoria e la liberazione…Una volta liberata Gerusalemme e la moschea Al Aqsa, i campi estivi avranno termine.

Ogni anno più di 100.000 bambini palestinesi (dall’età di sei anni) partecipano a questi campi, vere e proprie scuole di terrorismo.

Prove di coraggio come saltare nel fuoco o camminare sui chiodi, prove di resistenza fisica, costretti a mangiare la terra, a marciare sul ventre, a lottare, a maneggiare armi, indottrinati all’odio: queste sono le vacanze estive di migliaia di bambini e adolescenti palestinesi. Chi se ne cura? Che dicono le Ong e le Associazioni umanitarie? Niente! Silenzio assoluto.

“I bambini lavorano nell’interesse della loro Patria e sono educati nella cultura  della fede islamica. Cosi’ ricorderanno i loro scopi, Gerusalemme e prigionieri compresi.” Sono le parole di Ismail Radwan, portavoce di Hamas.

A Gaza è questa l’unica “attività” per ragazzi e bambini permessa: nel 2010 Hamas incendio’ un villaggio-vacanza dell’UNRWA. Un articolo di Sky TG 24, nel riportare la notizia, specifico’ che “Hamas ha suoi propri campi per i bambini”!!! Quando la notizia dell’esistenza di questi campi comincio’ a circolare, non furono pochi in Italia, stampa e gruppi politici, a rallegrarsene. Questo un esempio dal forum marxista-leninista, comunicato Ansa e commento:

(ANSA) – GAZA, 6 LUG – Chiuse le scuole sulle spiagge di Gaza sono spuntate numerose tende dove Hamas organizza campi estivi gratuiti rivolti a 150mila ragazzi. Analoghe iniziative da Jihad islamica e Unrwa, l’ente dell’Onu per i profughi. A volte i genitori pagano pochi spiccioli, perche’ non abbiano la sensazione di ricevere elemosina. I ragazzi ospiti di Hamas (cui vengono date speciali uniformi) ricevono lezioni di buona condotta e di religione. Ma si gioca anche a ping-pong e si fa merenda.

Beh.. che dire.. non è mica un idea stupida.. si portano dalla loro un sacco di giovani, che cominciano a pensarla così in giovane età.. ricordo che l’MSI organizzava i campi hobbit già dagli anni 80 mi risulta (o forse prima?).. e hanno avuto i loro risultati.. no? A quando un camping di addestramento di Sr?

Anno dopo anno, questi campi indottrinano la gioventù palestinese, quella dalla quale si spererebbe un impegno per la pace futura, nel silenzio e nella passività generale del mondo occidentale. Perché? Non sono gli stessi bambini per i quali tutto il mondo dice di piangere?

Era primavera due anni fa a Itamar?

Oggi, 11 marzo 2013 il tempo è mite in Israele. Una bella giornata di sole, anche a Gerusalemme che di solito è una delle città più fredde del Paese. Si sente la primavera che prepotentemente bussa alla porta. Si riconosce il suo arrivo dagli uccellini che cantano allegri, dai fiori di pesco che sbocciano, dalle donne che si mettono in terrazza, al sole. Come sarà stato due anni fa, l’11 marzo, a Itamar?

Ci sarà stato il sole anche in quel giorno? Ci saranno stati uccellini che cantavano in quel piccolo agglomerato di case a sud-est di Nablus, in quella zona C che con gli accordi di Oslo fu assegnata (con accordo delle due parti: palestinese e israeliana) al completo controllo di Israele? Che cosa aveva preparato Ruth per cena? Come sarà stata la sua giornata? L’avranno fatta stancare i bambini? Yoav, 11 anni, di sicuro sarà stato a scuola, sarà rientrato il pomeriggio, avrà fatto i compiti per casa, cenato e sarà andato a letto. Elad, quattro anni, andava all’asilo? Avrà disegnato la primavera in arrivo quel giorno? E Hadas? Oh beh, lei a tre mesi pensava solo alla sua dose di latte quotidiana e a piangere quando il suo pannolino andava cambiato! E Hudi? Non sappiamo nulla di lui, come di nessun altro essere che un tempo era vivente in questa famiglia. Dove lavorava? A Itamar sono specializzati nelle colture biologiche. Era un agricoltore anche lui come tanti suoi vicini? Che cosa gli piaceva? Che cosa leggeva? Che cosa amava? Non lo sappiamo, era un COLONO, come Hadas, come Yoav, come Elad. Non bambini, COLONI, nati con questo “marchio d’infamia” addosso. Cosi’ la stampa mondiale li descrisse: UCCISI CINQUE COLONI. Tanto per  evitare che qualcuno si potesse mettere a piangere per loro.

Ma cosa successe quel giorno, mentre si aspettava la primavera? Erano andati a letto presto, forse era la loro abitudine, in campagna si usa. Erano le nove di sera. Amjad e Hakim Awad avevano cercato di comprare delle armi, senza successo. Che si dissero? Va beh, usiamo i coltelli. Cercano di tagliare il recinto che circonda l’abitato, non ci riescono, lo scavalcano. Scatto’ l’allarme ma l’addetto alla sorveglianza non vide nulla di sospetto. “Sarà stato un animale”, penso’. Ma come? I “feroci coloni”, descritti sempre armati e pronti a far fuoco su qualsiasi cosa in movimento si comportarono come degli innocui portieri di palazzo qualsiasi?

I due Awad entrano in casa dei Fogel alle dieci e mezzo di sera. Vanno subito nella camera dei bambini. Sgozzano Yoav per primo, poi strangolano Elad e lo colpiscono al petto con il coltello. Entrano nella camera di Hudi e Ruth. Sgozzano Hudi che cerca di difendersi, e sgozzano Ruth. Sono ebbri di sangue, stanno per andarsene. Ma, diranno al processo sereni e per niente pentiti: “sentimmo un pianto, tornammo indietro e finimmo il lavoro”. Era il pianto di Hadas. Sgozzano anche lei, ma siccome ha solo tre mesi “nell’operazione” le tagliano la testa . E Tamar, dodici anni, che era in gita scolastica e rientra verso mezzanotte, trova i giocattoli dei suoi fratellini che galleggiano nel sangue di quella che poche ore prima era la sua famiglia.

Noi Ebrei non amiamo esibire i nostri morti, non abbiamo il culto del martirio. Ma Rabbi Yehuda e Tali Ben Yshai, i genitori di Ruth, davanti all’indifferenza del mondo, davanti a quel “uccisi cinque coloni” che cancellava in un attimo  dalle menti e dai cuori di chi leggeva distrattamente la notizia, l’umanità di quelle cinque persone care, come estremo urlo di dolore, autorizzarono la diffusione delle foto della strage.

Non ci siete più, sono oggi due anni. I vostri assassini sono in galera, circondati dalla simpatia di coloro che stentano a definire esseri umani “cinque coloni uccisi”, dalla connivenza di quelli che li chiamano “resistenti palestinesi”. Fratelli, che vi sia lieve la terra. Che possiate starci accanto e benedirci ora, mentre la primavera è in arrivo.