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Hamas è sempre innocente per i media occidentali

Hamas ha chiuso l’unica centrale elettrica presente a Gaza. Perché? Perché l’Egitto ha chiuso i tunnels attraverso i quali Hamas faceva entrare il gasolio di contrabbando. Un milione circa di litri al giorno. Ed è la catastrofe. Senza gasolio il Paese si ferma. Il numero di camion che portano le merci, compreso il combustibile, a Gaza da Israele è aumentato del 18 per cento dopo la cacciata nel luglio del presidente Mohamed Morsi d’Egitto, secondo Gisha, un gruppo israeliano che sostiene la libertà di movimento. Ma non basta.

L’Autorità palestinese acquista dalle aziende israeliane il carburante per la centrale elettrica a circa 4 sheqelim il litro, cercando  di rivenderlo a Hamas a quasi il doppio, accise comprese. Hamas, non solo non ha ammesso le proprie responsabilità nella crisi in corso, ma ha respinto i prezzi proposti ed ha fermato l’acquisto di carburante per la centrale elettrica. La conseguenza drammatica è che l’impianto è spento.

L’Amministrazione palestinese si rifiuta di rinunciare alle accise , una parte fondamentale del proprio bilancio e chi ci rimette sono gli abitanti di Gaza . C’è stato anche chi – a Gaza – ha notato che non c’è carburante per far funzionare l’ospedale o pompare i liquami dalle strade, evitando una catastrofe sanitaria, ma ce n’è a sufficienza per le auto blu dei dirigenti di Hamas.

Uno dei tunnel del contrabbando a Rafah

Dando uno sguardo alla stampa internazionale, occidentale ed araba, quello che colpisce immediatamente è l’assenza completa di un riepilogo, anche minimo, di cause ed effetti. Chi legge, potrebbe avere l’impressione che un giorno, inopinatamente, l’esercito egiziano si sia svegliato con l’idea di chiudere i tunnels, riducendo in miseria dei poveri Gazawi che con le loro tanichette cercavano di procurarsi un po’ di gasolio, vittime eterne della terribile “entità sionista”.

Il portavoce della polizia di frontiera egiziana ha riferito che 1.055 gallerie sono state chiuse, dal gennaio 2011, 794 delle quali nei nove mesi dal gennaio 2013. I tunnel sono stati uno dei progetti principali del governo di Hamas. L’attività impiega fino a 40.000 persone e partecipa al bilancio del governo quasi al 40% . I tunnel erano completamente intonacati (notare la famosa accusa “non entra cemento a Gaza“!), forniti di illuminazione elettrica, cavi per la telecomunicazione e passaggi appositi per il trasporto facilitato delle merci. Gli “imprenditori” che si erano aggiudicati la proprietà dei vari tunnels, decidevano se sfruttarli personalmente o sub-affittarli a terzi. Hamas ovviamente aveva il controllo completo delle gallerie e tassava pesantemente i proprietari dei tunnel. Ogni imprenditore doveva pagare le tasse al Comune di Rafah per una licenza che autorizzasse gli scavi. Una volta il tunnel scavato, le tasse erano applicate su tutti i prodotti trasportati.

Questo è quanto Hamas è riuscito a mettere in piedi con gli aiuti internazionali al “popolo martire”: un’industria del contrabbando che, muovendo ingenti somme di denaro, era difesa dai suoi boss con le armi in pugno.

Quando 16 poliziotti di frontiera egiziani furono uccisi nei pressi del confine di Rafah nel mese di agosto 2012, il Cairo si rese conto che i tunnel erano usati dal terrorismo internazionale per ricevere attrezzature militari da e per Gaza e introdurre elementi pericolosi in territorio egiziano. Con la caduta di Morsi, affiliato dei Fratelli Musulmani, organizzazione della quale Hamas è una costola, l’esercito egiziano non ha più tollerato né le perdite economiche né il rischio terrorismo che i tunnel incrementavano.

Che un “governo” rappresentato da un’entità unanimamente riconosciuta organizzazione terroristica, pretenda di vivere (oltre tutto) alle spalle dei Paesi confinanti e a spese dei contribuenti mondiali, questo non sembra turbare nessuno.

Che tra tutti i Paesi arabi confinanti, nessuno sia disposto a relazionarsi con Hamas, che solo Qatar e Turchia non ne rifiutino i contatti, non fa pensare nessuno?

Cifwatch ci propone la solita Harriet Sherwood, del The Guardian, e la sua “analisi” in merito: per la Sherwood, come per la maggior parte degli editorialisti, le responsabilità di Hamas sono inesistenti; quelle egiziane, ma soprattutto quelle israeliane, pesanti.

I primi due paragrafi servono ad impostare il tono della sua storia: 

Gaza sta diventando invivibile, le condizioni umanitarie si deteriorano rapidamente dopo la distruzione da parte dell’Egitto dei tunnel di contrabbando e il rinnovato divieto di Israele all’importazione di materiali da costruzione, dichiarano le Nazioni Unite e le agenzie umanitarie. Un anno dopo la fine della guerra di otto giorni tra Gaza e Israele lo scorso novembre, l’Onu ha detto che la situazione nella piccola fascia costiera è peggiore di quella prima del conflitto.”

Sherwood continua utilizzando un fatto di cronaca: Israele scopre un tunnel in ottobre :

Inoltre, Israele il mese scorso ha fermato l’importazione di materiali da costruzione attraverso i valichi da esso controllati, dopo la scoperta di un tunnel super organizzato, costruito da militanti di Hamas, che da Gaza portava in Israele. Secondo l’esercito israeliano, è stato costruito utilizzando materiali dei quali Israele aveva permesso l’entrata a Gaza.

Sherwood fa la gnorri sull’evidenza che lo scopo di questo tunnel, lungo 1,7 chilometri, fosse quello di rapire soldati israeliani, né la sfiora il pensiero che i materiali impiegati per realizzarlo avrebbero potuti essere utilizzati per costruire scuole, ospedali e altre infrastrutture necessarie. Né ha ritenuto utile informare che Israele ha incrementato l’entrata di generi di ogni tipo, da dopo la stretta egiziana.

Ma il punto più ingannevole appare verso la fine, dove Sherwood affronta i presunti effetti delle nuove restrizioni israeliane:

Come risultato del rinnovato divieto [di Israele], 19 su 20 progetti di costruzione – tra cui 12 scuole – avviati dall’ UNRWA si sono dovuti fermare, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. L’UNRWA [sic] ha detto che l’azione di Israele è una punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale.

Forse la Sherwood ha mal interpretato il comunicato di Filippo Grandi, Commissario generale UNRWA, nel suo comunicato del 19 novembre o forse si è limitata ad usare quella frase “punizione collettiva” che piace cosi’ tanto ad Abbas ed al suo pubblico occidentale:

Il Commissario Generale uscente dell’UNRWA , Filippo Grandi, ha reso noto  che 19 dei 20 progetti di costruzione dell’UNRWA a Gaza sono “a un punto morto” . Parlando alla Commissione consultiva dei principali donatori e dei governi che ospitano i rifugiati Palestinesi , Grandi ha detto che da marzo l’UNRWA

Non ha avuto progetti di costruzione  approvati dal governo israeliano , e per il mese passato , non è stata “in grado di importare materiali da costruzione . ”

Grandi ha detto ai delegati ” Adcom ” che:

a seguito della chiusura della maggior parte dei tunnel di contrabbando tra Gaza e l’Egitto ” , e  “dato che Israele non permette esportazioni e quindi una ripresa delle normali attività economiche , i prezzi sono in aumento a causa delle materie prime che stanno diventando scarse . La mancanza di carburante ha provocato la chiusura della centrale elettrica, i pochi posti di lavoro disponibili nel settore delle costruzioni stanno scomparendo e la lista continua.

Grandi ha espresso un duro monito sulla stabilità regionale .

Gaza sta rapidamente diventando inabitabile e il perdurare del conflitto affliggerà ancora i civili, a Gaza e nel sud di Israele , a meno che le sue cause siano rimosse “.

Grandi, che lascia l’ufficio nel nuovo anno , ha invitato la comunità internazionale a non dimenticare Gaza e ad affrontarne la dimensione umana:

E’ giunto il momento di ripensare i problemi della sicurezza e le questioni politiche”.  «Forse rafforzare la sicurezza  del popolo di Gaza è la strada migliore per garantire la stabilità regionale più che chiusure, isolamento politico e azione militare. Per ottenere questo, in primo luogo, il blocco israeliano – che è illegale – deve essere tolto. Nel frattempo, le Nazioni Unite devono poter almeno continuare i progetti di costruzione e fornire lavoro per la popolazione assediata.

In primo luogo, Grandi non fa menzione nella dichiarazione di “punizione collettiva”. Inoltre, è chiaro che non stava semplicemente discutendo – come Sherwood sembra suggerire – che il divieto israeliano su materiali da costruzione è “illegale”, ma che l’intero blocco militare di Israele che impedisce l’importazione di razzi e altre armi letali è “illegale “.

Tuttavia, come Sherwood sicuramente sa, la Commissione Palmer delle Nazioni Unite ha concluso nel 2011 che il blocco IDF è pienamente coerente con il diritto internazionale e non è una forma di punizione collettiva. E’ particolarmente curioso che Sherwood non abbia rivelato questo fatto, dato che lei stessa  riferi’ in merito alle conclusioni della Commissione Palmer, in un articolo pubblicato il 23 gen 2011:

La commissione ha anche stabilito che il blocco navale israeliano a Gaza che la flottiglia stava tentando di violare, è attivato soprattutto per motivi di sicurezza ed è imposto legalmente. Ha inoltre aggiunto che il blocco non “costituisce ‘punizione collettiva’ della popolazione della Striscia di Gaza“.

Sherwood, come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi, non si cura delle cause generali ma solo degli effetti particolari: il colpevole, quello che solleva l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, c’è già. A che pro faticare per dimostrare le responsabilità altrui?

Grazie a Cifwatch

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Siamo l’Unrwa: fate la carità…

L’UNRWA tutti sanno cos’è, ma ricordiamolo: “UNRWA (United Nations Relief and Work Agency per i profughi Palestinesi nel Vicino Oriente) è una agenzia per lo sviluppo umano, l’istruzione, la sanità, i servizi sociali e gli aiuti di emergenza a oltre 4,4 milioni di rifugiati che vivono nella Striscia di Gaza, la Cisgiordania , la Giordania, il Libano e la Siria. ” L’Agenzia ha iniziato ad operare il 1 ° maggio 1950. In assenza di una soluzione al problema dei rifugiati Palestinesi, l’Assemblea Generale ha ripetutamente rinnovato il mandato all’UNRWA, inizialmente pensata come Agenzia temporanea. E’ un organismo Onu; i suoi uffici si trovano a Amman (Giordania), Beirut (Libano), Damasco (Siria), Gerusalemme Est (West Bank), Gaza City.

Le anomalie di questa Agenzia cominciano subito dalla sua definizione di profugo:

“In base alla definizione operativa dell’Unrwa, profughi palestinesi sono le persone il cui normale luogo di residenza era la Palestina fra giugno 1946 e maggio 1948, che perdettero sia le loro case che i loro mezzi di sostentamento come conseguenza del conflitto arabo-israeliano del 1948.[…] Anche i discendenti degli originari profughi Palestinesi possono registrarsi [presso l’UNRWA]”

Per “normale luogo di residenza” l’Unrwa intende anche un passaggio di quindici giorni nel territorio che “era la Palestina”. A differenza del UNHCR, che mira al reinserimento e alla riabilitazione dei profughi di tutto il mondo, l’Unrwa è stata dedicata completamente a quei Palestinesi ai quali l’Unrwa stessa ha assegnato lo status di rifugiato.

Assegnando lo status di profugo per via ereditaria, l’Unrwa ha perpetuato il problema dei rifugiati, piuttosto che cercarne l’inserimento, ma si è assicurata anche la sua propria sopravvivenza: con la morte dell’ultimo profugo avrebbe dovuto chiudere i battenti se nel frattempo non ne fossero nati altri milioni.

Da che esiste, nessun Palestinese ha mai perduto lo status di profugo. Esistono, ad esempio, centinaia di migliaia di profughi Palestinesi e loro discendenti che sono cittadini della Giordania: eppure, per quanto riguarda l’UNRWA, essi continuano ad essere dei profughi con pieno diritto all’assistenza.

Un murales che ritrae Ayat al-Akhras, una kamikaze palestinese, sul muro di una scuola dell’Unrwa, nel campo profughi di Deheishe, vicino a Betlemme.

In questi sessant’anni l’UNRWA si è trasformata in uno strumento fondamentale per la perpetuazione del problema dei profughi, e in un grosso ostacolo per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Quando l’UNRWA cominciò a contare i profughi, nel 1948, lo fece secondo modalità che non hanno precedenti: puntando cioè a registrare il massimo numero possibile di quelli che definiva “profughi”. Innanzitutto, venne considerato Palestinese chiunque avesse vissuto nella Palestina Mandataria britannica nei DUE anni precedenti lo scoppio del conflitto arabo-israeliano. Inoltre, l’UNRWA conta come profughi anche tutti i discendenti dei profughi originari: un sistema che dal 1948 in poi ha generato – caso unico al mondo – un incremento del 400% nel numero di profughi sotto la sua giurisdizione.

Forse è utile fare un confronto veloce tra i fondi assegnati all’Unrwa e quelli destinati ai profughi del resto del mondo, quelli che per loro sfortuna non sono passati dalla Palestina fra il giugno 1946 e il maggio 1948:

(Il grafico viene da Il Centro di Ricerca Politica del Vicino Oriente, LTD)

Numero di rifugiati assistito:

UNRWA (Rif. Palestinesi): 4,7 milioni

UNHCR (Resto del mondo): 15,4 milioni (oltre 800.000 in attesa di status di rifugiato e 12 milioni di apolidi o rifugiato w/o)

bilancio:

UNRWA (Rif. Palestinesi): 1 miliardo dollari

UNHCR (Resto del mondo): 3,3 miliardi dollari

Paesi assistiti:

UNRWA (Rif. Palestinesi): 5

UNHCR (Resto del mondo): 123

Definizione dei rifugiati:

UNRWA (Rif. Palestinesi): Chi perde il luogo di residenza e i mezzi di sostentamento in conseguenza della guerra arabo-israeliana del 1948

UNHCR (Resto del mondo): Persona che si trova fuori del paese di sua residenza abituale a causa del fondato timore di essere perseguitato

(Nota: 1951 La Convenzione sui Rifugiati si applica a tutti i rifugiati tranne i Palestinesi )

Discendenti dei rifugiati contati come rifugiati:

UNRWA (Rif. Palestinesi): Sì. A tempo indeterminato, tramite linea maschile

UNHCR (Resto del mondo): No

Mandato:

UNRWA (Rif. Palestinesi): fornire servizi umanitari ai rifugiati

UNHCR (Resto del mondo): proteggere i rifugiati e risolvere i problemi dei rifugiati

Ritorno al luogo d’origine considerato diritto inalienabile

UNRWA (Rif. Palestinesi): sì. Altre opzioni vengono prese in considerazione. I rifugiati sono tenuti in situazione temporanea in attesa – con lo status di ‘rifugiato’ anche da coloro che mantengono la cittadinanza altrove.

UNHCR (Resto del mondo): No. Il diritto tutelato è quello di trovare asilo; il reinserimento nel paese di rifugio o di un paese terzo sono le opzioni, quando il ritorno non è possibile. Di conseguenza la maggior parte sono insediati, non rimpatriati.

Una montagna di soldi, budget da capogiro. Scrive Mudar Zahran, giornalista Palestinese, collaboratore del Gatestone Institute:

Anche se l’UNRWA è stata fondata nel 1948 come istituzione temporanea , dopo più di sei decenni esiste ancora , più grande che mai , in crescita esponenziale e con un bilancio annuo superiore a mezzo miliardo di dollari USA , pagati dalla comunità internazionale .

Tale budget enorme copre anche un ampio e crescente numero di persone a libro paga ; l’UNRWA è oggi il più grande organismo delle Nazioni Unite , con oltre 30.000 dipendenti . E ‘un tale spreco che se il problema dei “profughi Palestinesi” fosse risolto , 30.000 persone resterebbero senza lavoro .

Questo “piano” che dovrebbe essere funzionale a tutt’altro, di fatto costringe letteralmente milioni di persone a vivere nello squallore in perpetuo.  Un importante membro del Parlamento   australiano, Michael Danby , si è lamentato del finanziamento dell’Australia all’UNRWA, nel 2007, descrivendo l’Agenzia ” istituzione notoriamente corrotta ”  , e sostenendo che l’UNRWA canalizza i fondi per ” l’acquisto di armi , operazioni terroristiche e propaganda anti- Israele,  senza contare quelli che finiscono nelle tasche della dirigenza PA . ”

Sull’accusa di corruzione , Danby non è solo. I Palestinesi sono d’accordo : nel marzo 2011, la Fondazione per i diritti umani Palestinese ha condannato l’ UNRWA per quello che chiama ” disprezzo per la vita dei profughi Palestinesi in Libano . ” Questa accusa è emersa dopo che un ragazzo Palestinese mori’ ” davanti alla porta di un ospedale ” dopo che gli fu negata l’ammissione al ricovero, perché l’UNRWA si rifiuto’ di pagare per le sue medicine .

Perché i riflettori si sono accesi su una situazione che va avanti da decenni? Perché ancora una volta (e non sarà di certo l’ultima) l’UNRWA dichiara di essere in deficit e di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti! Era ovviamente già successo in passato: l’ultima volta a luglio 2013. La notizia è trattata anche da Nenanews, l’agenzia di stampa pro-Palestinese di Michele Giorgio (un nome, una garanzia!) cosi’:

Dal prossimo mese migliaia di lavoratori dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati Palestinesi) non saranno pagati a causa della grave crisi economica che sta attraversando l’Agenzia. E’ quanto ha dichiarato ieri al Consiglio di Sicurezza dell’ONU Jeffry Feltman, Sottosegretario Generale degli Affari Politici.  

Campo profughi Unrwa in Giordania

Parlando della situazione economica dell’UNRWA, Feltman l’ha definita «disastrosa». Con un deficit di 36 milioni di dollari «l’UNRWA avrà difficoltà a finanziare i suoi servizi principali – soprattutto in campo educativo, sanitario e nel combattere la povertà – e non riuscirà a pagare gli stipendi di dicembre di 30.000 persone tra insegnanti, personale medico e lavoratori sociali» ha dichiarato preoccupato.La drammatica crisi finanziaria che vive da diversi anni l’UNRWA lancia un messaggio più sinistro della già terribile notizia della perdita di salario per decina di migliaia di lavoratori (principalmente palestinesi). E’ l’ennesimo segnale tangibile di quanto la causa palestinese abbia perso centralità in Medio Oriente. Una centralità che mai nessuno si sarebbe azzardato a contrastare una decina di anni fa. Sempre più relegata a problema di serie B dalle agende politiche europee e statunitensi, la Palestina con i suoi abitanti sta scomparendo. Le recenti (e prossime) visite di Kerry a Gerusalemme per informare Tel Aviv su “l’affare Iran” snobbando Ramallah non devono pertanto stupire più nessuno. Nena News

Per Michele Giorgio, i finanziamenti miliardari all’Agenzia sono insufficienti, evidentemente. Chissà a quanto dovrebbero ammontare per evitare che la “Palestina con i suoi abitanti” scompaia! A giugno 2013, In una conferenza stampa, Robert Turner, direttore generale delle operazioni dell’UNRWA nei Territori occupati, ha detto che il bilancio necessario per le attività dell’organizzazione per il 2013 è 582 milioni dollari mentre i fondi previsti ammontano a “soli” $ 233 milioni.  Nell’aprile dello stesso anno:

Una generosa donazione di US 15,6 milioni dollari dal Fondo saudita per lo sviluppo (SFD) consentirà all’UNRWA di fornire sussidi di cassa urgenti, direttamente alle famiglie di profughi colpiti per sostenere la ricostruzione e la riabilitazione dei loro rifugi danneggiate dagli scontri del novembre 2012.

Campo profughi Unrwa in Libano

Sempre in aprile 2013:

Per la prima volta, la Russia ha contribuito con 2 milioni di dollari all’UNRWA. I fondi andranno a sostenere programmi di salute, istruzione e servizi sociali dell’UNRWA a circa 5 milioni di profughi Palestinesi registrati nella regione. Annunciando la donazione, il rappresentante russo dell’Autorità Palestinese Alexander Rudakov ha detto: “Il nostro contributo oggi è finalizzato a fronteggiare la difficile situazione dei profughi Palestinesi e mitigare le difficoltà che sopportano. La vita di molte persone dipende dalla capacità dell’UNRWA di fornire un aiuto urgente e necessario a migliaia di rifugiati Palestinesi. “

A novembre:

Oggi a Ramallah, l’UNRWA ha ricevuto un contributo 6,4 milioni dollari da parte del governo giapponese che aiuterà l’Agenzia.

Campo profughi Unrwa in Giordania

Sempre ad aprile 2013:

Il governo olandese ha dato un contributo volontario di 13 milioni di euro (US $ 16.25 milioni) all’UNRWA, per l’anno 2013. Tale contributo andrà per l’assistenza, la protezione e la difesa che l’UNRWA fornisce a circa 5 milioni di profughi Palestinesi registrati in Giordania, Libano, Siria e Territori palestinesi occupati. Accettando la donazione,  il commissario generale Unrwa, Filippo Grandi, ha ringraziato il governo olandese, affermando: “Ci affidiamo a partner forti come l’Olanda per mantenere i nostri programmi tanto necessari per i rifugiati Palestinesi. Siamo estremamente grati al governo e il popolo dei Paesi Bassi per il loro sostegno costante e generoso”

Intanto nel settembre 2013, 118 scuole Unrwa chiudevano in Siria.

Campo Unrwa in West Bank

Ma anche nel 2001 il deficit dell’Unrwa ammontava a 58 milioni di dollari e la Comunità Europea, agli aiuti già stanziati, aggiunse 15 milioni di euro supplementari.

Che questa sia la volta buona per chiarire che fine fanno tutte queste montagne di dollari e che senso abbia mantenere ancora in piedi un carrozzone corrotto come l’Unrwa? Difficile.

L’esempio che l’URWA propone agli scolari? Ma Hitler, ovvio!

Che cosa sia l’UNRWA lo sappiamo già: un carrozzone mangia-soldi che si è dovuto inventare un diritto ereditario allo status di profugo, applicato solo ai palestinesi- tra i profughi di tutto il mondo, per non dover chiudere i battenti con la morte dell’ultimo “rifugiato” e continuare a incassare i miliardi che girano da anni nelle sue casse. E va bene. Già con quello che è noto ce ne sarebbe abbastanza. Ma come si dice? Al peggio non c’è mai fine.

Per esempio, che i suoi strumenti didattici si concentrino sul riaffermare la “necessità della lotta armata”, finalizzata alla “liberazione della Palestina” è abbastanza grave. Oppure che nei suoi campi estivi, rivolti ai bambini, si insegnino i “valori” della jihad e del martirio, anche questo non fa stare allegri. Ma se si legge che il decano del settore educativo dell’UNRWA in Giordania, il dottor Fares Haider, pubblica un ritratto di Adolf Hitler sulla home page della sua pagina Facebook, e divulga poi la stessa pagina in tutto il sistema scolastico dell’UNRWA, come si puo’ commentare?

Ecco che cosa si legge sulla pagina Facebook del Dr. Fares Haider, accanto al ritratto di Hitler:

“Le due regole più importanti per raggiungere il successo: La prima: non arrendersi assolutamente. La seconda: Ricordare la prima regola. Firmato, Adolf Hitler

Invece più sotto si legge: “La piattaforma di conoscenza e illuminazione intellettuale” il nome del Dr. Fares Haider in inglese e sotto le seguenti parole in arabo: “Regole militari di successo … Buongiorno a tutti voi”

Sul lato sinistro della pagina Facebook si legge:

“Non esitate a prendere decisioni. La vostra esitazione è fortemente connessa al modo con il quale la vostra istruzione ed educazione familiare sono sopraffatte da una visione poco chiara. Una persona esitante è una persona che non definisce le sue priorità. Avere una visione chiara è vedere il movimento del mondo e la realtà così come sono e non come si immaginano. ” “La scorsa settimana la discussione verteva su due elementi fondamentali nel [campo] del processo decisionale. Il primo elemento è rappresentato dalla disamina e il secondo dalla consultazione Per quanto riguarda il terzo elemento di oggi, il terzo passo:.. Preparazione…. ecc.ecc.

Eh beh certo! Cosa c’è di meglio che proporre a degli scolari che vivono già nella violenza e che crescono in case dove -nei loro salotti- gocano sotto le gigantografie dei “martiri”, un esempio cosi’ pregnante come quello di Hitler? Chi meglio di Hitler è adatto a dare consigli di comportamento alle giovani generazioni? Questi personaggi, il prof. Haider non sarà di certo il solo, sono pagati anche con i VOSTRI soldi. Rifletteteci quando esortate a “restare umani”!

Grazie a Emet News Service

 

Campi estivi roventi a Gaza

Anche a Gaza le scuole chiudono per le vacanze estive, ma per i bambini non si prospettano giorni di divertimento e relax dopo le fatiche scolastiche. Per loro ci sono i campi estivi di addestramento di Hamas.

Si tratta di veri e propri campi paramilitari, nei quali i bambini sono addestrati alle azioni di guerra tramite esercizi e simulazioni che istigano all’odio per gli ebrei e gli israeliani. Cerchi di fuoco da saltare, uso delle armi, bambini travestiti da soldati israeliani “torturano” bambini nella parte dei mujahiddin, immergendo loro la testa nell’acqua o lasciandoli in piedi per ore. I bambini e i ragazzi devono dimostrare di saper resistere.

Ismayil Haneyah, leader di Hamas, parlando allo Stadio ha detto a proposito dei “campi estivi”: Porteremo la vittoria e la liberazione…Una volta liberata Gerusalemme e la moschea Al Aqsa, i campi estivi avranno termine.

Ogni anno più di 100.000 bambini palestinesi (dall’età di sei anni) partecipano a questi campi, vere e proprie scuole di terrorismo.

Prove di coraggio come saltare nel fuoco o camminare sui chiodi, prove di resistenza fisica, costretti a mangiare la terra, a marciare sul ventre, a lottare, a maneggiare armi, indottrinati all’odio: queste sono le vacanze estive di migliaia di bambini e adolescenti palestinesi. Chi se ne cura? Che dicono le Ong e le Associazioni umanitarie? Niente! Silenzio assoluto.

“I bambini lavorano nell’interesse della loro Patria e sono educati nella cultura  della fede islamica. Cosi’ ricorderanno i loro scopi, Gerusalemme e prigionieri compresi.” Sono le parole di Ismail Radwan, portavoce di Hamas.

A Gaza è questa l’unica “attività” per ragazzi e bambini permessa: nel 2010 Hamas incendio’ un villaggio-vacanza dell’UNRWA. Un articolo di Sky TG 24, nel riportare la notizia, specifico’ che “Hamas ha suoi propri campi per i bambini”!!! Quando la notizia dell’esistenza di questi campi comincio’ a circolare, non furono pochi in Italia, stampa e gruppi politici, a rallegrarsene. Questo un esempio dal forum marxista-leninista, comunicato Ansa e commento:

(ANSA) – GAZA, 6 LUG – Chiuse le scuole sulle spiagge di Gaza sono spuntate numerose tende dove Hamas organizza campi estivi gratuiti rivolti a 150mila ragazzi. Analoghe iniziative da Jihad islamica e Unrwa, l’ente dell’Onu per i profughi. A volte i genitori pagano pochi spiccioli, perche’ non abbiano la sensazione di ricevere elemosina. I ragazzi ospiti di Hamas (cui vengono date speciali uniformi) ricevono lezioni di buona condotta e di religione. Ma si gioca anche a ping-pong e si fa merenda.

Beh.. che dire.. non è mica un idea stupida.. si portano dalla loro un sacco di giovani, che cominciano a pensarla così in giovane età.. ricordo che l’MSI organizzava i campi hobbit già dagli anni 80 mi risulta (o forse prima?).. e hanno avuto i loro risultati.. no? A quando un camping di addestramento di Sr?

Anno dopo anno, questi campi indottrinano la gioventù palestinese, quella dalla quale si spererebbe un impegno per la pace futura, nel silenzio e nella passività generale del mondo occidentale. Perché? Non sono gli stessi bambini per i quali tutto il mondo dice di piangere?

“I profughi? Non diventeranno mai cittadini”, parola di Ambasciatore

L’argomento era già stato affrontato da Mahmud Abbas in passato: i profughi palestinesi non diventeranno cittadini di un eventuale Stato di Palestina. Ora il proposito torna a riaffacciarsi con forza.

L’ambasciatore palestinese in Libano

L’ambasciatore palestinese in Libano, Abdullah Abdullah, ha rilasciato un’intervista al Daily Star Wednesday, nella quale ha inequivocabilmente confermato che i profughi palestinesi non diventerebbero cittadini in uno Stato palestinese riconosciuto: “Sono Palestinesi…. è la loro identità… ma non sono automaticamente cittadini”. E l’Ambasciatore non si riferiva ai soli profughi che vivono in stati arabi, in Libano, Siria, Egitto e Giordania, ma anche a quelli che ancora vivono nei campi all’interno del territorio palestinese. “Anche i profughi che vivono nei campi all’interno dello Stato palestinese rimarranno profughi. Non saranno considerati cittadini palestinesi”.

Campo profughi in Siria

Né il presente status, né quello delle Nazioni Unite, comprenderebbero l’eventuale ritorno dei profughi in Palestina, ha detto l’Ambasciatore. “Come sarà risolta la questione del sacro diritto al ritorno non lo so, ma dovrà essere affrontata con l’accettazione di tutti”. La statualità “non potrà mai incidere sul diritto al ritorno dei Palestinesi”. “Lo Stato è nei confini del 1967, ma i profughi non sono solo quelli dei confini del 1967. I rifugiati provengono da tutta la Palestina. Quando avremo uno Stato accettato e membro delle Nazioni Unite, questa non sarà la fine del conflitto. Non sarà la soluzione al conflitto. Sarà solo un nuovo quadro che cambierà le regole del gioco “.

campo profughi in Libano

L’Organizzazione per la Liberazione Palestinese potrebbe rimanere responsabile per i rifugiati, e Abdullah dice che l’UNRWA continuerebbe il suo lavoro come al solito. L’amministrazione del presidente americano Barack Obama ha recentemente garantito di porre il veto statuale alConsiglio di Sicurezza, che lascerebbe ai palestinesi il diritto di ottenere una risoluzione dall’Assemblea Generale. Se questo accadrà, dice Abdullah, 129 paesi si sono impegnati a voti positivi.

Gli Stati Uniti hanno di recente adottato misure per dissuadere i palestinesi dal cercare di ottenere il voto delle Nazioni Unite, inviando negoziatori ad incontri con funzionari palestinesi. L’ambasciatore dice che questi colloqui non sono stati fruttuosi. “Non ci offriranno nulla … che salverà il processo di pace”, dice. “Non ci avrebbero offerto nulla se non dirci che taglieranno gli aiuti finanziari, e altre simili minacce. La dignità è molto più importante di una pagnotta di pane. ”

Le “minacce” alle quali si riferisce l’Ambasciatore riguarderebbero il disegno di legge proposto dal presidente del U.S. House Foreign Relations Committee, Ileana Ros-Lehtinen, che taglierebbe i finanziamenti degli Stati Uniti a qualsiasi organismo delle Nazioni Unite che riconosca la sovranità palestinese. Secondo Abdullah, ora è il momento di cercare il riconoscimento statuale, perché il processo di pace è stato bloccato per circa un anno, e snocciola le date delle riunioni con gli israeliani fallite , lo scorso settembre. “Queste riunioni non ci portano un briciolo più vicino a raggiungere l’obiettivo dei negoziati.” Affermando che a suo parere ci sarebbero nuovi ostacoli, tra i quali le costruzioni di insediamenti “frettolosi” e l’insistenza di Israele affinché i palestinesi riconoscano Israele come Stato ebraico o “focolare nazionale per il popolo ebraico”.

Secondo Abdullah, i palestinesi non hanno altra scelta che andare alle Nazioni Unite a negoziati bloccati “non ci è stato lasciato nulla a  proteggere il consenso internazionale della soluzione a due Stati”. “Gli Stati Uniti sbandierano di essere il campione della libertà e della democrazia in tutto il mondo, ma se negano ai palestinesi il diritto di essere liberi, di essere democratici, e di vivere con dignità, non è un buon segno per gli Stati Uniti, cio’ lascia una macchia scura … Non è buono per l’America “, dice. “L’America merita di meglio.” Accena poi alle tesioni nella regione, ricordando le tensioni tra Turchia, Israele e Egitto: “Se  politiche sbagliate saranno adottate dagli Stati Uniti, si darà solo una mano libera all’estremismo, autorizzando solo forze negative. E questo renderà più difficile e complicato per le forze razionali prevalere. ”

Fin qui il resoconto del discorso. Resta da riflettere sul cinismo di una leadership che ha imbracciato in tutti questi anni il “problema profughi” e il “diritto al ritorno” come un’arma contro Israele e che candidamente ammette ora di non essere minimamente intenzionata a integrare questi profughi che cosi’ tanto hanno fruttato loro in consensi internazionali, lasciandoli dove si trovano, nei campi squallidi di quegli stessi Paesi arabi “fratelli” che si sono lavati le mani delle loro sorti. Non diventeranno cittadini palestinesi né quelli che vivono nei campi del Libano, dove le condizioni di vita sono disastrose e le discriminazioni nei confronti dei palestinesi totali; né quelli dei campi siriani, che Assad bombarda periodicamente.

E nemmeno quelli che Hamas continua a mantenere nei campi di Gaza, nonostante abbia il controllo totale della regione dal 2005. Nulla cambierà, dice l’Ambasciatore, non sarà di certo la pace. E questo lo si era intuito da tempo: i profughi palestinesi, strumentalizzati dai Paesi arabi che, a guerra perduta, se ne sono poi lavati le mani; fatti ballare come pupazzi da tutte le leadership palestinesi che in “nome loro” hanno impietosito il mondo, riscuotendo miliardi di dollari e simpatia; utilizzati dall’UNRWA che gonfiando a dismisura il loro numero iniziale, assegnando lo status di profugo ereditariamente, si è assicurata la gestione di un giro di affari favoloso, resteranno quello che sono. Non diventeranno cittadini di quello Stato che cosi’ tanto si è avvalso di loro per nascere. Nulla cambierà. L’Olp si incaricherà di “gestirli”, l’UNRWA non correrà il rischio di chiudere i battenti e rinunciare cosi’ a maneggiare montagne di soldi. Nulla cambierà. Non ci sarà la pace “dopo”. Chissà cosa ne pensano i “profughi”? C’è di che meditare.