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Il terrorismo in una mostra a Parigi

Basta con l’incitazione all’odio! Basta con i messaggi razzisti sul web! Stop all’antisemitismo! Sono appelli che leggiamo ovunque. In un discorso pronunciato il 5 novembre  2012, davanti all’Assemblea generale dell’Onu, il relatore speciale per le forme contemporanee di razzismo e di xenofobia, Mutuma Ruteere, ha deplorato l’aumento del razzismo su internet a livello mondiale. “Il numero di incidenti implicanti violenze e crimini a carattere razzista, perpetrati sotto l’influenza di una propaganda incitante all’odio su internet, è in aumento, malgrado l’adozione di misure positive…”

Dopo la strage compiuta da Mohammed Merah alla scuola Ozar Ha Torah di Toulouse, la Francia si interrogava: siamo di fronte a una recrudescenza di antisemitismo? Come deve reagire il governo?

Che i “discorsi d’odio” non sono innocui lo sappiamo tutti, ci sono esempi sanguinosi nella storia recente. Conosciamo il ruolo che le trasmissioni della radio “Le mille colline” in Kenya e Rwanda, hanno avuto nell’incoraggiare al genocidio. Sappiamo quanto, nei paesi arabi, i sermoni di alcuni imam abbiano contribuito agli scoppi di odio etnico e settario. Le piattaforme sociali come Youtube o Facebook invitano a segnalare post, pagine e video dai contenuti che “incitano all’odio”.

Il 30 gennaio scorso, la commissione Giustizia del Senato belga ha approvato un progetto di legge che rende punibile l’incitazione indiretta al terrorismo, il recrutamento e l’addestramento di terroristi. Adottando in questo modo nella sua legislazione nazionale una decisione-quadro europea.

Ma allora, come giudicare il museo di Parigi, sovvenzionato dal governo francese, che ha inaugurato una mostra di foto di shahid (attentatori suicidi) palestinesi, che il museo chiama “combattenti per la libertà”?

una delle foto esposte

La mostra di 68 fotografie si intitola “Morte”, di Ahlam Shibli, inaugurata il 28 maggio al Jeu de Paume, museo di arte contemporanea di Parigi. Il sito web del museo descrive i kamikaze come “coloro che hanno perso la vita nella lotta contro l’occupazione”, e la mostra come “sforzo della società palestinese, per preservare la loro presenza.” Secondo il CRIF, l’associazione delle comunità ebraiche francesi, le foto commemorano appartenenti “alle Brigate dei Martiri di al-Aqsa ‘, alle Brigate Izz ad-Din al-Qassam [di Hamas] e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. “Tutti e tre sono designati dall’Unione Europea come gruppi terroristici”.

In una delle foto appare Osama Buchkar, un operativo FPLP che ha ucciso tre persone e ne ha ferite 59 in un attacco terroristico compiuto in un mercato all’aperto a Netanya, il 19 maggio 2002. La didascalia della sua immagine dice che “ha commesso una missione martire a Netanya.”

In una lettera al ministro della Cultura e delle Comunicazioni di Francia, Aurélie Filippetti, il Presidente del CRIF, Roger Cukierman, ha definito “particolarmente deplorevole e inaccettabile una mostra che giustifica il terrorismo, nel cuore di Parigi.

Come si concilia questa iniziativa con la lotta al terrorismo nella quale la Francia si dichiara impegnata? Una mostra del genere non fa parte di quell’incitamento all’odio, condannato unanimamente da tutti i paesi europei?

una foto della mostra

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Al Dura: fine di una menzogna atroce

La “morte” in diretta di Mohammed Al Dura, avvenuta nel 2000 a Netzarin, nella Striscia di Gaza e attribuita all’IDF è stata una delle icone mondiali agitate contro Israele. La televisione di Stato francese France 2, compro’ senza verifica il servizio del cameraman free lance palestinese Talal Abu Rahma;  64 secondi drammatici che sono rimasti impressi nella memoria collettiva del mondo. Un bimbo cerca riparo tra le braccia del padre mentre infuriano scontri, il padre urla di non sparare, la polizia spara, il bimbo si accascia morto; questo è quanto le riprese volevano fosse percepito.

Dubbi furono sollevati fin da subito: niente sangue, niente ambulanze, nessuna immagine del bimbo “dopo”. Il reporter si giustifico’ dicendo che “la pellicola era finita” e non aveva potuto filmare altro. Charles Enderlin all’epoca corrispondente di France 2 per il Medio Oriente, commento’ subito senza indugio le sequenze che furono una condanna senza appello all’esercito israeliano. Philippe Karsenty, analista dei media, francese, fondatore di Media Ratings, cito’ in causa Charles Enderlin, nel 2004, accusandolo di aver costruito di sana pianta le riprese de “l’affare Al Dura”. Più di dieci anni di dibattimenti processuali, prove richieste a France 2 e negate (i famosi rush originali) , il padre di Mohammed che a riprova della veridicità delle immagini mostra cicatrici di ferite che dice essere il risultato di quel maledetto giorno. Smentito platealmente: il medico che lo opero’ testimonia essere le cicatrici postumi di operazioni che niente avevano a che vedere con il fatto.

Il video presentato da Enderlin in dibattimento fu giudicato “confuso”: mancavano gli scatti decisivi, Mohammed Al Dura muoveva testa e gambe dopo la sua presunta morte, non c’era sangue sulla sua maglietta. Le foto che furono diffuse del bambino all’obitorio, risultarono essere quelle di Sami Al Dura e non di Mohammed. Le due morti non avevano nessuna attinenza l’una con l’altra. Piano piano, nel corso di questi tredici anni, c’è stato il tentativo da parte di France 2 e di una parte della stampa, di trasformare “l’affaire Al Dura” in “Karsenty contro Enderlin”, stravolgendo cosi’ quello che invece avrebbe dovuto essere impellente bisogno di verità.

“L’icona” Al Dura è stata il vessillo della Seconda Intifada, ha “giustificato” agli occhi del mondo atrocità come l’assassinio di Daniel Pearl, giornalista americano decapitato in diretta da islamisti pachistani, con alle spalle l’immagine del “piccolo martire” o come il massacro dei due riservisti dell’IDF, sconfinati a Ramallah e fatti a pezzi.

Il giornalista Daniel Pearl

Ed è arrivata ad essere utilizzata perfino da Mohammed Merah, autore della strage alla scuola ebraica Ozar Ha Torah di Toulouse, che disse di essere stato spinto ad agire dall”assassinio del “martire Al Dura”.

gli assassini dei due riservisti IDF

Ora forse, finalmente, la farsa si avvia alla sua conclusione. Il deputato laburista israeliano, Nahman Shai, ha incontrato il Ministro della Difesa, Moshe Yaalon, per consegnargli la copia del suo libro “Una guerra dei media che colpisce i cuori e gli animi”, che tratta del ruolo dei media nell’affaire Al Dura. Mohammed Al Dura non sarebbe mai stato né ferito né morto, ma al contrario, sarebbe ancora vivo e in buona salute. Una tesi che circola da anni. Yossi Kuperwasser, ex generale di Brigata che ha condotto l’inchiesta Al Dura, è arrivato alla conclusione che le immagini filmate dal cameraman di France 2 furono una messa in scena “volontaria o involontaria”.

Israele ha pubblicato, il 19 maggio 2013, un rapporto ufficiale che accusa France 2 e Charles Enderlin:

“…Le accuse di France 2 non avevano alcuna base riscontrabile nel materiale che l’emittente aveva in suo possesso al momento … Non ci sono prove che l’IDF sia stata in alcun modo responsabile della causa dei presunti danni a Jamal Al Dura o a suo figlio, Mohammed Al Dura ”

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ricevuto oggi la relazione del Comitato di revisione del governo “Rapporto France 2 Al-Durrah , conseguenze e implicazioni”. La relazione è stata presentata dal Ministro degli Affari Internazionali, Strategie e Intelligence, Yuval Steinitz, alla presenza del Direttore Generale del Ministero degli Affari Internazionali, Yossi Kuperwasser…. Il primo ministro Benjamin Netanyahu: “E’ importante concentrarsi su questo incidente – che ha diffamato la reputazione di Israele. Questa è una manifestazione della campagna menzognera di delegittimare di Israele. C’è solo un modo per combattere le menzogne, attraverso la verità.. . Solo la verità può prevalere sulla menzogna “.

Francobollo commemorativo del “martire”

E questa volta, probabilmente, gli elementi emersi sembrano essere convincenti se perfino un’agenzia come l’Ansa, di solito molto “restia” (per usare un eufemismo) a riconoscere le ragioni di Israele e a riportare in maniera equilibrata il conflitto, non ha potuto fare a meno di titolare:

Israele: immagine simbolo intifada, tv menti’ su morte bimbo. ‘Era vivo dopo la sparatoria, ma France 2 non lo mostro”’.

Nello stesso tempo, il “termometro” del web da la misura dell’importanza della notizia che appare su centinaia di blog e giornali on line. Perfino la “ricerca per immagini” al nome Al Dura, suggerisce “hoax”. Niente e nessuno potrà riparare al danno fatto, nessuna ammissione di frode potrà restituire la vita a chi è stato ucciso in nome di una messa in scena, nessuna verità, per quanto palese, potrà cancellare dall’immaginario collettivo mondiale la certezza che gli Ebrei si nutrano ancora del sangue dei bambini, come per secoli è stato creduto. Scrive Youval Steiniz, Ministro degli Affari Interni:

« l’affaire Al-Dura è un’accusa moderna di morte rituale contro lo Stato di Israele, come quelle che sostennero ci fosse stato un massacro a Jenin. Il réportage di France 2 è completamente senza fondamento».

Antisemitismo: il nuovo sonno della ragione

di Stefano Gatti

“Cinesi, ebrei, stessa vita, stesso forno”. Questo graffito antisemita, corredato da due svastiche, è comparso a Vercelli agli inizi dello scorso dicembre, e costituisce l’ennesimo episodio di scritte antisemite in Italia. L’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC, per il 2012, ha registrato un’ottantina di atti antisemiti, mentre nel 2011 invece erano stati 50. È dal 2002 – da quando, in seguito allo scatenamento della Seconda Intifada si ebbe un’ondata di antisemitismo che colpì violentemente tutto il mondo ed in particolare l’Europa-, che forme di intolleranza e violenza antiebraica hanno assunto la forma di un fenomeno consolidato, quasi sempre connesso al tema di Israele.

Ormai, infatti, i più alti indici di violenze antisemitiche vengono raggiunti durante momenti che vedono Israele al centro dell’attenzione: nel 2002, la Seconda Intifada; nel 2006, la Guerra nel Libano; nel 2008/09 l’operazione Piombo fuso a Gaza; nel 2010, l’assalto alla nave turca Mavi Marmara da parte delle forze speciali israeliane; e nel 2012, l’azione Pilastro di difesa, nella striscia di Gaza. Tuttavia, anche in mancanza di chiari eventi ‘scatenanti’, il numero di episodi di antisemitismo, specie nel Vecchio Continente, rimane elevato. Questo fenomeno, ribattezzato dallo studioso francese Pierre-André Taguieff, Nouvelle judeophobie, si connota per un modus operandi molto violento nei confronti degli individui, e per l’impiego di un linguaggio antisemita caratterizzato da una marcata aggressività verbale e visiva.

Nel corso dell’ultimo decennio -a livello globale- si è chiuso il cerchio: ovvero si è compiuta la sovrapposizione dell’antisemitismo all’antisionismo, nonché una sempre maggiore diffusione e legittimazione del parallelismo Israele-Sionismo equiparato al nazionalsocialismo, cui fa da corollario la tendenza ad attaccare le Comunità della Diaspora in quanto ritenute corresponsabili dei ‘genocidi’ compiuti dallo stato ‘nazisionista’. L’antisemitismo aperto e dichiarato viene generalmente considerato socialmente non accettabile e quindi talvolta punito anche dalla legge, e la visione del mondo strettamente antisemitica rimane confinata all’interno di frange estremistiche.

Tuttavia, gode di sempre maggiore accettabilità e legittimazione il cosiddetto ‘Secondary antisemitism’, ovvero l’impiego di stereotipi antisemiti coniugati ad episodi di politica nazionale o internazionale, basti pensare al fatto che il famigerato falso antisemita dei Protocolli dei savi di Sion, viene sempre più utilizzato come chiave di lettura dei problemi del mondo, come ad esempio ha fatto a maggio il noto professore norvegese Johan Galtung, raccomandandone la lettura, o l’italiana Radio Padania Libera che in un intervento di Pierluigi Pellegrin, del 22 novembre, ha sottolineato tra l’altro che «I Protocolli di Sion sono stati smentiti e smascherati, ma io li ho letti e sono pieni di spunti interessanti»; o ancora un professore, dirigente di un istituto superiore dell’Italia del Sud, che in una lettera inviata all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scritto: «Come può l’uomo non diventare, col tempo, antisemita? Qualche giorno fa facevo una riflessione, sempre scritta, indirizzata al vostro ambasciatore in Italia dove rappresentavo la veridicità dei Protocolli di Sion, altro che falso! E pezzo dopo pezzo si ricostruisce il mosaico del futuro dominio del mondo da parte dell’ebraismo».

Altri caratteri ed elementi comuni dell’antisemitismo globale? Innanzitutto la vittoria degli stereotipi: le principali vittime delle violenze antisemitiche sono gli ebrei identificabili come tali, dalle apparenze. Secondo: la negazione e banalizzazione della Shoah, convinzioni in continua crescita. Infine la “dittatura informativa” del Web (spesso l’unica fonte di conoscenza per molta gente): ovvero che il maggiore strumento per la diffusione, amplificazione e sdoganamento dei paradigmi antisemiti è diventata la Rete.

Esempi emblematici del fatto che l’antisemitismo nel 2012 continua a mantenersi sopra il livello di guardia e, in certi paesi, a configurarsi persino come allarme sociale e di ordine pubblico, sono rappresentati dal massacro di Tolosa, del rabbino Sandler e di tre bambini, a marzo, ad opera dell’estremista islamico Mohamed Merah; dalla brutale uccisione di una donna ebrea il cui corpo è stato smembrato in Iran a novembre; e, sempre a novembre, dall’assalto alla sinagoga centrale di Caracas da parte di un gruppo di attivisti filopalestinesi. E che dire del consenso, in fatto di voti, raccolto da partiti apertamente antisemiti e razzisti come Alba dorata in Grecia o Jobbik in Ungheria?

È IL WEB CHE BANALIZZA

Ma veniamo all’Italia. L’Osservatorio antisemitismo del Cdec ha registrato in casa nostra 53 episodi di antisemitismo nel 2007, 69 nel 2008, 53 nel 2009, 40 nel 2010 e 50 nel 2011. L’anno 2012 sta registrando invece uno dei più alti picchi di antisemitismo dell’ultimo trentennio (circa 80). Da un lato questo aumento è dovuto in parte ad una raccolta dati più efficiente e capillare, ma dall’altro perché c’è stata una crescita effettiva. L’Italia, beninteso, continua a rimanere distante dall’antisemitismo dei paesi del Nord-Europa, dove accoltellamenti, pestaggi e gravi minacce sono all’ordine del giorno.

I nostri dati fattuali consistono principalmente in aggressioni verbali, atti di vandalismo ai danni di proprietà ebraiche, graffiti e scritte. Il principale collettore di antisemitismo è ormai diventato il cyberspazio che, specie attraverso le piattaforme sociali, ha creato un ambiente all’interno del quale l’antisemitismo è stato banalizzato e non viene più avvertito come una minaccia o un’aberrazione. A tal proposito, basti pensare alle frequenti sortite antisemite su Facebook da parte di personaggi pubblici anche di un certo spessore culturale. Il pregiudizio antisemitico in Italia è trasversale, ed è presente in circuiti di destra, di sinistra, laici, religiosi e persino esoterici, spesso è connesso al tema Isrele ed in questo modo ottiene più ampia legittimazione e diffusione. I pregiudizi e i paradigmi antisemiti continuano ad essere presenti nei discorsi di senso comune, e talvolta perfino nei discorsi pubblici di uomini politici, dirigenti, docenti universitari e giornalisti. Inoltre, si è ulteriormente rafforzato un clima che sembra rendere possibili atteggiamenti ed affermazioni inammissibili sino a pochi anni fa.

Tra i tanti esempi, un noto politico ha scritto sul suo profilo Facebook che la lobby ebraica è la più influente del pianeta; un dirigente Asl, in un incontro pubblico, ha raccontato la seguente barzelletta: “La differenza tra le torte e gli ebrei? Che le torte quando le metti nel forno non gridano”; mentre a Cagliari, un docente universitario scorrazza indisturbato sul web, prolifico e impunito diffusore di lunghi post antisemiti, razzisti e triviali. Il maggior numero di episodi si verificano in coincidenza di date che celebrano eventi storici significativi per le comunità ebraiche, connessi ad Israele, ovvero che pongono al centro dell’attenzione gli ebrei.

IL FANGO INFORMATIVO

Anche nel 2012, a gennaio, in coincidenza con la Giornata della Memoria, ci sono stati una ventina di atti antisemitici, spesso di stampo negazionista e quasi tutti riconducibili alla destra radicale. A Cadorago, in provincia di Como, rav Moshè Lazar invitato ad un incontro dedicato alla Giornata della Memoria, è stato accolto dalle scritte “La vostra falsa memoria oscura il vero olocausto palestinese” e “Fuori i sionisti dall’Europa”, suggellate dalla Croce Celtica; ed a Como, il 27 gennaio è stato organizzato un meeting negazionista in cui è stato mostrato “Wissen Macht Frei”, primo documentario negazionista prodotto in Italia, a cura dagli estremisti del sito web Stormfront.

A novembre 2012 invece, la ventina di episodi di antisemitismo prodotti dall’operazione Pilastro di difesa a Gaza, si sono contraddistinti per la sovrapposizione dell’antisemitismo all’antisionismo, come ad esempio il post scritto da un famoso studioso (Pierluigi Oddifreddi, ndr), per uno dei principali giornali italiani (il suo blog su repubblica.it, ndr) in cui lo stato di Israele viene accusato di essere “dieci volte peggio dei nazisti”. O, ancora, i numerosi commenti antisemiti postati sulla pagina Facebook legata a Beppe Grillo; a tweet come quello pubblicato dal noto sito di satira e informazione Spinoza.it , il 20 novembre scorso: “L’attacco israeliano è talmente massiccio che Hitler verrà ricordato come l’uomo che voleva salvare i palestinesi”.

E infine, che dire delle numerose mail che hanno intasato le caselle di posta comunitarie, con messaggi di questo stampo: “Vi ricordo che se siete sionisti siete per una potenza straniera e quindi ostili alla mia nazione. Ricordo agli ebrei italiani, che siete italici… quindi dovete fedeltà all’Italia, non dovete avere relazioni con Israele… dichiariamo morte ai sionisti nel mondo!”. Oppure alla scritta “Israele stato nazista”, tracciata nella notte tra il 23 ed il 24 novembre sul portone della sinagoga di Genova. A parte queste esternazioni verbali, l’antisemitismo italiano si caratterizza comunque per un basso tasso di violenza. Cionostante, a gennaio 2012, il professor Renato Pallavidini, -titolare di una cattedra al prestigioso liceo d’Azeglio di Torino e già noto per certi suoi atteggiamenti antisemiti-, è stato indagato dalle forze dell’ordine in seguito alla pubblicazione di messaggi di questo genere: “Avviso ai luridi bastardi ebrei che ci controllano in quella terra di merda e di froci chiamata California.

Se mi togliete questa foto, vado con la mia pistola, alla sinagoga vicinissima a casa mia e stendo un po’ di parassiti ebrei che la frequentano”.

A marzo 2012 è stato arrestato l’italiano di origine marocchina Mohamed Jarmoune: voleva compiere un attentato dinamitardo alla sinagoga di via Guastalla a Milano. Un’aggressiva campagna diffamatoria attraverso il Web, ha costretto il giornalista Enrico Sassoon a dimettersi da una società di cui faceva parte: degli estremisti di destra hanno gettato dell’acido sul portone di casa di una coppia di ebrei del centro-Italia, ed un famoso rabbino è stato volgarmente insultato su un mezzo pubblico di una grande città del Nord. Il 2012 s’è caratterizzato anche per le numerosissime campagne antisemite promosse dalla sezione Italia del sito ‘suprematista bianco’ Stormfront, i cui principali gestori sono stati recentemente arrestati dalla polizia italiana, dopo una difficile indagine durata due anni.

Questi estremisti neonazisti, attraverso il loro spazio online, da anni attaccavano in modo violento e triviale l’ebraismo italiano, rimettendo in circolo tutta una serie di temi caratteristici del nazionalsocialismo. In una delle ultime liste di discussione, aperte prima dell’oscuramento da parte della polizia, suggerivano di compiere un attentato nel nuovo ristorante kasher di Torino.

LE CONTROMOSSE

Fortunatamente, il pericolo della grave recrudescenza dell’antisemitismo in Italia è stata colta da magistrati come Giuseppe Corasaniti, e dal ‘padre’ della Polizia postale, Domenico Vulpiani. Entrambi, da anni, si impegnano per far ratificare il Protocollo di Budapest, studiato apposta per contrastare il cyberhate, l’odio razziale che dilaga sul web. Anche molte forze politiche presenti nel Parlamento italiano si stanno dando da fare per far approvare due Decreti legge contro il negazionismo, l’antisemitismo e il razzismo nel Web. Motore di tutto è la proposta della senatrice del PD Silvana Amati e del Ministro per l’integrazione, Andrea Riccardi, ampiamente sostenuti in modo ‘bipartisan’. Ahimè, la caduta del governo Monti ha bloccato sino alla prossima legislatura questi importanti strumenti di lotta all’antisemitismo.

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