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I “piccoli errori di traduzione” di Ha’aretz

Tradurre è tradire, si sa. Ma un giornale israeliano, Ha’aretz, sebbene la sua versione in ivrit sia di gran lunga meno diffusa di quella in inglese, puo’ continuamente sbagliare le sue traduzioni e, guarda caso, ogni volta che succede sempre e soltanto a scapito dell’immagine di Israele?

L’ultimo di questi “sbagli di traduzione” si è verificato nell’edizione inglese  del 23 aprile 2013. Il giornale israeliano aveva riportato la notizia della comparizione del terrorista Sameer Issawi davanti alla Corte di Giustizia. L’articolo, tradotto da quello in ivrit di Jack Khoury, raccontava di come l’apparizione in aula di Issawi, reduce da un lungo semi-digiuno di protesta, avesse scioccato i presenti, tanto che giudice e pubblici ministeri avevano concordato con Issawi quando quest’ultimo aveva paragonato le sue condizioni a quelle dei sopravvissuti nei lager, durante la Shoah. La correzione è apparsa sul giornale il 24 aprile. Ha’aretz ammettendo lo “sbaglio di traduzione” pubblicava la “versione giusta” di cio’ che Khoury aveva scritto:

L’articolo di Jack Khoury del 23 aprile conteneva un errore di traduzione: il giudice Dalia Kaufmann e il pubblico ministero si erano detti scioccati sia per le condizioni di Issawi, sia per il suo paragonarsi ai sopravvisuti dei campi di sterminio

Certo, un errore ci puo’ sempre stare, anche se -come in questo caso – le conseguenze morali e politiche che ne potrebbero derivare dovrebbero indurre all’accuratezza. Ma quante volte è successo lo stesso “incidente” a Ha’aretz? La maggior parte degli articoli della versione inglese di Ha’aretz sono tradotti da quella in ivrit. Ma, sempre per i soliti “errori” di traduzione – a volte macroscopici, a volte più sottili – quando si tratta di rendere noti fatti riguardanti la militanza e la violenza palestinese queste parti sono cancellate o “maltradotte”, tanto che alla fine la versione inglese differisce completamente da quella in ivrit. 

Per esempio, l’11 Gennaio 2011, Zvi Barel ha scritto in ivrit  in merito a un piano del sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, per collegare lo sfratto degli ebrei che risiedono in un edificio illegale nel quartiere di Silwan allo sfratto di arabi che vivono anch’essi in costruzioni abusive nello stesso quartiere: “una casa nella quale gli ebrei vivono illegalmente sarà scambiata con una casa nella quale palestinesi vivono illegalmente” .

L’articolo si riferiva all’avamposto di Beit Yonatan, nella zona di Silwan. Il sindaco Barkat aveva proposto uno scambio immobiliare: Beit Yonatan non sarebbe stata sigillata e in cambio il Comune avrebbe ritardato lo sfratto delle case di Abu Na’eb occupate illegalmente da palestinesi. Per ogni casa israeliana occupata illegalmente, avrebbe corrisposto una casa palestinese occupata illegalmente.

Ma nella versione inglese, la frase ha assunto un significato completamente diverso – e falso – modificando “illegale” palestinese con “legale” : “Una casa nella quale ebrei vivono illegalmente sarà scambiata con una casa dove palestinesi vivono del tutto legalmente.”  Sbaglio consapevole? Inconsapevole? E ‘impossibile sapere, ma l’introduzione della parola “tutto”, che non compare nel testo originale ebraico, suggerisce forse qualcosa di più deliberato di una semplice svista. (Le edizioni in inglese, on-line e cartacea, sono state successivamente corrette dopo che Presspectiva, il sito in ivrit di CAMERA, aveva contattato gli editori.

E ci fermiamo qui? Ma no! Ce ne sono una serie impressionante di questi “errorini di traduzione” di Ha’aretz:

Settembre 2011, tensioni in merito al riconoscimento Onu della Palestina nel ruolo di “stato non membro”. Ricca occasione per un po’ di “sbagli di traduzione”!  Il giornalista Avi Issacharoff riporto’ le testuali parole di Latifa Abu Hmeid, madre di quattro terroristi,  che furono citate dal presidente palestinese Mahmoud Abbas per dare il via al procedimento presso la sede delle Nazioni Unite a Ramallah e nella lettera, indirizzata al segretario generale Ban Ki-Moon, che lancio’ la campagna di statualità. La versione in ivrit dell’articolo di Issacharoff riportava le parole di Abu Hmeid:

Spero che non ci saranno sparatorie e non ci saranno feriti. Non vogliamo più vedere nostri morti. Ho pagato un prezzo molto alto, come ogni famiglia palestinese. C’è chi è morto, c’è chi è prigioniero. Mi si impedisce di vedere i miei quattro figli. Vogliamo la pace con Israele, ma Israele non vuole la pace. Torneremo alle nostre terre, incluse quelle del 1948

E nella versione inglese? Forse rendendosi conto che le ultime parole avrebbero un po’ “sciupato” il tono di quelle precedenti, il traduttore le ha semplicemente omesse.

Il 19 ottobre 2011, in occasione dello “scambio di prigionieri” tra Shalit e più di mille detenuti palestinesi, un articolo in ivrit precisava come questi ultimi si fossero resi responsabili di crimini di terrorismo odiosi:

I nomi dei 1.233 prigionieri liberati in questi ultimi anni significano poco per la maggior parte degli israeliani. Ma i prigionieri implicati nello scambio con Shalit sono ben conosciuti attraverso i nomi degli attacchi ai quali hanno partecipato: Sbarro, Delfinario, il Park Hotel, Moment Café, e altri tra gli attacchi più gravi mai avvenuti in Israele, questa è la differenza [tra questi rilasci e i precedenti.]

Incredibilmente, la versione in inglese dava una versione completamente diversa, nella quale si leggeva che i nomi dei detenuti coinvolti nello scambio con Shalit erano del tutto sconosciuti agli israeliani:

I nomi della maggior parte dei prigionieri liberati dal Luglio 2007 significano poco per la maggioranza degli israeliani, cosi’ come i nomi dei prigionieri liberati martedì (nel primo turno dello “scambio Shalit)”.

Il paragrafo in ivrit che sottolineava come Israele avesse inteso questo scambio nel senso di “gesto di buona volontà” fu completamente eliminato e al suo posto si leggeva un vago “per ragioni politiche”.

Il 14 luglio 2011, un articolo di Anshel Pfeffer, nella versione inglese di Ha’aretz, riportava l’uccisione di Ibrahim Sarhan come quella di “un civile di 22 anni”, nonostante la versione in ivrit riportasse: Hamas ha dichiarato trattarsi di un membro dell’associazione (La versione inglese fu poi modificata a seguito dell’intervento di Presspectiva).

L’elezione di Nabil ElAraby a ministro degli Interni egiziano, nel marzo 2011, nella versione inglese di Ha’aretz apparve cosi’:

“Nabil Elaraby ha partecipato, con gli israeliani, ai tavoli negoziali, in diverse occasioni, fin dai pienamente riusciti Accordi di Camp David, nel 1978, che ha portarono al trattato di pace tra Egitto e Israele.”

Come il sito Web CiFWatch ha sottolineato ironicamente: “Sembrerebbe proprio il tipo di bravo ragazzo che Israele dovrebbe essere felice di vedere salire in alto nel ‘nuovo Egitto’.” Eppure, il sottotitolo ivrit non recava un messaggio cosi speranzoso: “Nabil Elaraby, che ha servito come ambasciatore egiziano alle Nazioni Unite, ha sostituito Ahmed Abu el Rit. In passato ha guidato iniziative contro Israele “.

Ma i “fraintendimenti” di Ha’aretz non si limitano agli “errori di traduzione”, c’è di più e di peggio. Il primo maggio 2011, un articolo nella versione inglese informava che i soldati israeliani furono i responsabili della morte di Mohammed Al Dura :

Jamal Al-Dura (il padre di Mohammed Al Dura N.d.R.) aveva citato in giudizio il dott. Yehuda per diffamazione, dopo che il medico, che lo aveva  operato nel 1994, aveva esposto i dettagli della sua cartella clinica, al fine di sostenere che le cicatrici più vecchie di al-Dura furono il ​​risultato di un intervento chirurgico – e non causate dal fuoco dell’IDF che uccise suo figlio nel mese di settembre, 2000.

Le parole della versione in ivrit dalle quali si apprendeva senza ombra di dubbio che l’accusa all’IDF per la morte di Al Dura era un’idea di Jamal Al Dura e non di certo una realtà comunemente accertata, furono semplicemente tagliate. Anche questa volta, l’interevento di Presspective indusse i redattori a correggere il tiro.

Il 17 giugno 2011, la versione inglese di Ha’aretz riportava che “arabi e donne sposate non possono servire nell’esercito”, mentre, sebbene tali gruppi siano esentati dall’obbligo non sono fatti oggetto di divieto e infatti esistono casi in proposito. La frase inesatta non compariva nella versione in ivrit.

Il 4 dicembre 2011, la versione in inglese di Ha’aretz riportava un articolo di Gili Cohen:

La Legge della Nakba, che permette di privare le organizzazioni che si oppongono ai principi fondamentali dello Stato di Israele dei finanziamenti “fa grandi danni alla libertà di espressione politica, alla libertà artistica e al diritto di manifestare” .

Pero’, la cosiddetta Legge Nakba non si applica alle “organizzazioni” in generale, ma solo a enti finanziati dal governo, come le scuole pubbliche o comuni. E l’unico finanziamento a rischio è il denaro del governo, non donazioni, straniere o meno che siano.  Nella versione ivrit di questo articolo non è menzionata affatto la “Legge Nakba” . Perché Ha’aretz in inglese ha sentito il bisogno di storpiare la versione originale?

Le rettifiche, ovviamente, hanno sempre meno risalto della menzogna

Piccoli “aggiustamenti”, una cosetta qua una là, con qualche occasionale vero e proprio falso, servono a immettere nel cervello del lettore medio una serie di “informazioni” che resteranno, consciamente o meno, nella sua memoria e andranno a formare le sue idee politiche in merito a situazioni delle quali puo’ avere notizia solo tramite fonti privilegiate ed Ha’aretz, giornale israeliano, è considerato una di queste. In quanti saranno in grado di poter o voler verificare la versione originale del giornale e rendersi cosi’ conto fino a che punto un’omissione, un “piccolo errore” un aggettivo di troppo possono modificare completamente il senso di una informazione?

Grazie a CAMERA