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Pallywood, mon amour!

Il termine “Pallywood” si riferisce alle costruzioni giornalistiche, allestite da giornalisti arabi e occidentali, finalizzate a presentare i palestinesi come vittime inermi dell’aggressione israeliana. In alcuni casi Pallywood mette in scena veri e propri stage cinematografici nei quali i “fatti” sono inventati di sana pianta, secondo un copione accuratamente predisposto. Cio’ è possibile (o lo è stato finora) per la credulità della stampa occidentale e per il suo desiderio  di presentare  immagini capaci di rafforzare il mito del palestinese/ David che si batte valorosamente contro la sopraffazione di Golia/ israeliano.

Con Pallywood gli standard giornalistici sono caduti a livelli da “spaghetti western” e le messe in scena sono assurte al rango di  “eventi reali.”

1982: l’invasione del Libano

I primi chiari segnali di una emergente “industria Pallywood” risalgono all’invasione del Libano, del 1982. Lì, per la prima volta, i media sembrarono abbracciare quell’atteggiamento apertamente ostile nei confronti di Israele che porto’ Norman Podhoretz a scrivere un articolo molto discusso, dal titolo “J’Accuse”, nel quale accusava i principali media di ” antisemitismo” (su Commentary, febbraio 1983).

Podhoretz denuncio’ che: 

– Utilizzando il fratello di Arafat, Fathi Arafat, capo della Mezzaluna Rossa Palestinese, le fonti palestinesi dichiararono 10.000 morti e 600.000 profughi causati dall’attacco israeliano. Senza verificare la  notizia (all’epoca nel sud del Libano vivevano 300.000 persone), i mezzi di comunicazione ripetettero costantemente questi dati, fino a che divennero universalmente accettati.

– I giornalisti paragonarono l’assedio di Beirut a quello nazista di Varsavia. Difficile trovare un paragone più inappropriato, ma l’analogia tra israeliani e nazisti sembro’ avere un richiamo quasi irresistibile per alcuni giornalisti. Tra i più aggressivi, Peter Jennings.

– Furono utilizzate immagini chiaramente false, atte a screditare l’esercito israeliano, comprese quelle delle zone devastate dalla guerra civile tra palestinesi e libanesi, bambini morti che non erano morti, ecc (pp. 353-389).

– I massacri di Sabra e Shatila furono riportati in modo che nell’opinione pubblica si formasse la convinzione che fossero stati i soldati israeliani ad aver massacrato i profughi palestinesi, omettendo di informare in merito alle motivazioni della Falange maronita, responsabile dell’attacco.

Tutti conoscono la storia di Sabra e Shatila, ma solo di recente si è cominciato a sentir parlare del Darfur. Il netto contrasto tra le centinaia di morti di Sabra e Shatila e i più di diecimila di Hama, città nel centro della Siria, lo stesso anno, illustra quanto la propensione dei media sia di  accentrare l’attenzione sui misfatti, non importa se veri o presunti, di Israele e quanto sia forte il potere di intimidazione che di fatto impedisce ai giornalisti di accedere e riportare notizie in merito ai crimini arabi (v. Friedman, da Beirut a Gerusalemme, cap. 4.)

– La riluttanza della stampa – in particolare da parte dei giornalisti “residenti” a rivelare il grado di brutalità dell’OLP come “Stato nello Stato” nel sud del Libano (vedi pp 219-278).

I palestinesi davanti all’entusiasmo della stampa occidentale nel riferire il peggio degli israeliani per evitare di informare in merito al peggio dei palestinesi, alla suscettibilità all’intimidazione e all’assassinio di giornalisti invisi all’OLP, agli standard molto scadenti nel vagliare e verificare le fonti e i fatti,  compresero chiaramente di avere un valido alleato nei media occidentali e nei giornalisti installati presso l’hotel Commodore – (Chafets, Double Vision, capitolo 6.).

Avvelenamento di Studentesse palestinesi, Jenin (Cisgiordania), marzo, 1983

Un anno dopo la debacle dei media libanesi, Israele fu fatto oggetto di un falso premeditato, diffuso poi ampiamente  : un certo numero di ragazze palestinesi di una  scuola media dichiararono di essere state avvelenate da “gli israeliani.” La storia divento’ subito uno scandalo internazionale. Ogni Paese invento’ una tale varietà di dettagli che la storia fini’ per somigliare ad una versione di Rashoman. Nessuno, tuttavia, mise in dubbio la veridicità dell’avvelenamento, né le accuse a Israele. Solo dopo una lunga indagine risulto’ che non c’erano ragazze avvelenate, e che i miliziani dell’OLP avevano incoraggiato e intimidito le ragazze ed i funzionari dell’ospedale affinché confermassero la storia.

Dal punto di vista della copertura mediatica si rivelarono alcune particolarità:

– La stampa israeliana prese sul serio le accuse e solo dopo un esame medico concluse trattarsi di falsi.

– La stampa palestinese e araba dette subito per scontato che la storia fosse vera e la uso’ per incitare all’odio e diffondere la paura degli israeliani. Nonostante la mole delle contro-prove non ci fu nessun  cambiamento nella copertura.

– La stampa occidentale accolse le accuse come probabili, se non vere (e gli europei furono molto più aggressivi rispetto agli americani), e quando le prove della messa in scena emersero,  cessarono di riferire in merito all’incidente, lasciando gli israeliani tra diffamazione e silenzio.

Le accuse di avvelenamento costituirono il primo chiaro caso di Pallywood: l’atrocità messa in scena dagli attivisti palestinesi per raffigurare gli israeliani avvelenatori di innocenti,  immediatamente sottoscritta da stampa locale e straniera.

“Questa è la storia della manifestazione straordinaria di una moderna “calunnia del sangue”  contro gli ebrei e Israele, che ha coinvolto non solo arabi e musulmani, ma anche i media europei e le organizzazioni del mondo….”  Poison, Raphael Israeli

La prima Intifada, 1987-1991

Durante la prima Intifada, i media trasformarono la Cisgiordania in una frenesia di brutalità israeliana in contrasto a quella molto spesso definita  “resistenza non-violenta”. Per la prima volta si evidenzio’ una collaborazione aperta tra cameramen, informati in precedenza del verificarsi dei fatti o che pagavano per le sequenze d’azione che avrebbero poi potuto fotografare.

Le autorità israeliane rese insicure dall’ostilità della stampa ostile e incerte su come fermare la violenza, chiusero, in certi momenti, i territori alla stampa estera. Spesso, mentre gli inviati delle testate estere cenavano o consumavano  i loro drinks all’Hotel American Colony a Gerusalemme Est, le telecamere palestinesi preparavano per loro filmati d’azione. Fu probabilmente la prima volta che i palestinesi ebbero a disposizione le apparecchiature occidentali e furono in grado di alimentare le immagini dei notiziari delle agenzie con le loro “scene di strada” .

In tempi recenti un numero crescente di articoli web e di giornale hanno descritto e denunciato la manipolazione dei media da parte dei palestinesi e il pregiudizio anti-Israele di molti media occidentali. Il regista palestinese, produttore di “Jenin, Jenin” ha ammesso, ad esempio, di aver falsificato delle scene del suo documentario, allo scopo di demonizzare Israele.

Jeff Helmreich ha pubblicato un modello di violazione della deontologia giornalistica da parte dei media che trattano del conflitto.

– In un’intervista multimediale l’analista David Bedein ha sostenuto che negli ultimi venti anni i palestinesi hanno battuto gli israeliani nella propaganda a uso dei media del mondo.

Josh Muravchik ha denunciato il pessimo lavoro dei media occidentali nell’informare in merito all’intifada e il meccanismo nel riportare il conflitto in modo da avvantaggiare le società autoritarie.

Stephanie Gutmann, in “The Other War: israeliani, palestinesi e la lotta per la supremazia dei Media”, sostiene che Israele si è dibattuto in un campo di battaglia fatto di pagine editoriali, schermi televisivi e Internet

La seconda  Intifada “Al Aqsa”, ottobre 2000-2004

Lo scoppio della seconda tornata di violenze palestinesi contro Israele prese avvio, ironia della sorte, a seguito dei negoziati di pace nei quali, secondo le fonti più accreditate, gli israeliani offrirono la maggior parte della Cisgiordania e tutta la Striscia di Gaza (compresa l’evacuazione degli insediamenti) in cambio della pace. Per un breve momento Barak e gli israeliani godettero di qualche simpatia sulla scena mondiale e Arafat si trovo’ in un raro stato di disapprovazione. Ma una volta che la violenza scoppio’ e Israele poté essere incolpato e, in particolare, dopo che le immagini di Muhamed al Durah (la più gigantesca frode mai messa in atto) furono  mostrate dalle televisioni di tutto il mondo, l’opinione pubblica si sposto’ drammaticamente.

Forse il modo migliore per capire come Pallywood fu in grado di avere tanto successo in quella fase è quello di esaminare cio’ che successe il 29 settembre 2000, il giorno dopo che Sharon visito’ il Monte del Tempio / Haram al Sharif. Quel giorno, le agenzie di stampa riferirono di violenti scontri tra le truppe israeliane e i palestinesi infuriati per la visita. L’Amministrazione palestinese pubblico’ la fotografia di un uomo giovane, sanguinante e in ginocchio. Di fronte a lui un israeliano che brandiva un bastone. Non ci voleva un esperto per capire che qualcosa non andava. Non ci sono stazioni di rifornimento da nessuna parte vicino al Monte del Tempio, quindi la collocazione era chiaramente falsa.

Ma non si trattava di semplice collocazione errata del fatto e uno sguardo più attento suggeri’ che il soldato israeliano sembrava urlare a qualcuno che si trovasse oltre il ferito. L’uomo nella foto non era un palestinese, ma un Ebreo americano, un seminarista, che fu trascinato fuori dalla sua auto da una folla inferocita e quasi picchiato e pugnalato a morte. (Trascorse mesi in ospedale per riprendersi.) Era Tuvya Grossman. Il poliziotto israeliano non lo stava picchiando, ma proteggendo dalla folla. Il New York Times, senza controllare i fatti, pubblico’ l’immagine con la falsa didascalia.

Cio’ illustra benissimo il problema delle aspettative paradigmatiche che influenzano ciò che vediamo e come lo assimiliamo. La didascalia riscrive la storia: aggressivo israeliano attacca brutalmente disarmato palestinese nel terzo luogo santo all’Islam.

Esiste un equivalente israeliano di Pallywood?

“Anche gli israeliani diffondono notizie costruite?” I Media di ogni paese giocano su un margine di giudizio che renda le notizie presentabili al pubblico. Ci sono analisti che sostengono che Israele è di gran lunga superiore nel manipolare i mezzi di comunicazione: – Delinda C. Hanley, News Editor del Rapporto Washington  per gli affari in ​​Medio Oriente, sostiene che Israele  è riuscito a dare l’immagine, nei media americani, delle vittime (i palestinesi) come aggressori.

Il “morto resuscitato”

– Alison Weir, fondatrice di If American Knew,  sostiene che i media occidentali, in particolare americani, sono stati costantemente pro-israeliani nella copertura del conflitto. Lei lo chiama “un modello pervasivo di distorsione.”

– Daniel Dor, della Tel Aviv University, in “Intifada Head the Headlines,” (2004) sostiene che la stampa israeliana si è allineata con la propaganda dell’establishment israeliano. In tempi di conflitto la stampa nelle democrazie liberali svolge un “ruolo non del tutto dissimile da quello della stampa in paesi non democratici.” (Pagina 168)

Ma le differenze sono così grandi da richiedere una particolare attenzione a questo problema: – Gli israeliani non fabbricano immagini di feriti; al contrario, tabù profondi impediscono di pubblicare le immagini di cadaveri. – Gli israeliani non mostrano costantemente immagini destinate a suscitare l’odio, a differenza dei palestinesi. Basta confrontare la copertura data in Israele per le immagini orrende del linciaggio di Ramallah 12 OTTOBRE 2000 con la ripetizione costante in TV e nei programmi scolastici palestinesi delle riprese e delle ricostruzioni della storia di Muhamed Al Durah, due settimane prima.

– La stampa israeliana è una delle più autocritiche nel mondo. Errori raramente passano inosservati o taciuti. Quando l’esercito israeliano ha accusato le Nazioni Unite di usare le loro ambulanze per spostare missili Qassam e non è riuscito a fornirne la prova, la stampa israeliana ha denunciato l’errore bruscamente: “Israele si è comportato con fretta sconsiderata e ha ferito con le sue pretese di superiorità , perdendo in  credibilità. ”

Non vi è alcun equivalente nella stampa palestinese  di giornalisti come Gideon Levy e Amirah Hass, di Ha-Aretz . Elementi di auto-critica sono, per la maggior parte dei casi, assenti nei media arabi.

– Anche le organizzazioni denunciate dall’altra parte come “di propaganda”, ad esempio Palestinian Media Watch e MEMRI, sono scrupolosamente oneste nelle traduzioni del materiale che pubblicano dal mondo arabo  e prestano attenzione a non pubblicare solo i fatti negativi ma anche quelli positivi.

– Per rendere il confronto “equilibrato”  manca una distinzione importante tra le critiche ad una stampa libera in Israele e  le intimidazioni e i contenuti di propaganda della stampa araba diffusa in società autoritarie. Se non si riesce a capire queste differenze, non si può comprendere il valore e l’importanza dell’ auto-critica della stampa libera  che sostiene la società civile. La tolleranza per la critica e per i punti di vista diversi segna l’impegno verso la società civile.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE denunciare Pallywood?

– Pallywood distorce l’opinione pubblica occidentale e del Medio Oriente .

– Aggrava la narrativa vittima  / carnefice, dominante nell’Europa occidentale e nei media Medio Orientali, che prolunga il conflitto

– Perpetua la narrativa (palestinese) Davide Vs Golia (Israele) .

– Contribuisce alla demonizzazione di Israele / aumento di antisemitismo

– Con il suo drammaticismo, Pallywood porta alla romanticizzazione occidentale della lotta palestinese e alla giustificazione dei metodi più atroci per raggiungere i loro scopi.

“Sono belle, altamente qualificate e mortali. Sono le donne kamikaze. “Rivista New Idea  Australia, 7 aprile 2003.

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